Rito lavoro: il potere istruttorio d’ufficio prevale sulle preclusioni e «salva» la prova
di Alessandro Guglielmino Scarica in PDFCass., Sez. Lavoro, 17 luglio 2015, n. 15043
Procedimento civile – Rito del lavoro – Preclusioni istruttorie – Poteri del giudice di ammissione di nuovi mezzi di prova – Presupposti
(C.p.c. artt. 420, 421, 437)
Procedimento civile – Ricorso in cassazione – Principio di autosufficienza – Indicazione specifica delle circostanze oggetto di prova e del contenuto del documento erroneamente interpretato dal giudice del merito – Necessità
(C.p.c. artt. 360, 366)
[1] Nel rito del lavoro il rigoroso sistema delle preclusioni, che regola in egual modo sia l’ammissione delle prove costituite che di quelle costituende, trova un contemperamento – ispirato all’esigenza della ricerca della ‘verità materiale’, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro – nei poteri d’ufficio del giudice di ammissione di nuovi mezzi di prova ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa e abbiano ad oggetto fatti ritualmente allegati dalle parti.
[2] Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere, a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività del fatto da provare e, quindi, delle prove stesse.
CASO
[1-2] In una causa avviata da un gruppo di dipendenti nei confronti del datore di lavoro e avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni subiti per la mancata fruizione dei riposi minimi giornalieri e settimanali stabiliti dalla normativa europea, la società di trasporti datrice di lavoro veniva condannata dal Giudice di primo grado, con statuizione confermata dalla Corte d’Appello, al risarcimento dei danni richiesti, alla luce delle risultanze della CTU espletata nel corso del giudizio di primo grado, che aveva quantificato i riposi non fruiti.
La società convenuta ricorreva in cassazione, deducendo il vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto prove utilizzate, in quanto la CTU, in forza della quale era stata operata la quantificazione dei riposi non fruiti, sarebbe stata illegittimamente espletata sulla base di documenti che il Consulente aveva acquisito direttamente dalle parti, in violazione dei termini di produzione documentale.
La Corte di cassazione dichiara il ricorso, in parte, inammissibile e, in parte, infondato, enunciando i principi riportati nella massime.
SOLUZIONE
[1-2] la Suprema Corte riafferma i poteri d’ufficio del Giudice del lavoro in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova non tempestivamente dedotti dalle parti, purché sussista il requisito della indispensabilità degli stessi ai fini della decisione e dell’inerenza a fatti ritualmente dedotti dalle parti, specificando come la parte che intenda, invece, censurare tale operato abbia l’onere di dedurre non solo l’irritualità dell’utilizzazione del materiale probatorio, ma anche l’inutilità di tale materiale ai fini della ricerca della verità materiale.
Inoltre, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso in cassazione, la Corte ribadisce che il ricorrente, il quale deduca un vizio di motivazione nell’ammissione o meno di una prova costituita o costituenda ovvero nella valutazione delle stesse, ha l’onere di indicare specificamente, a pena di inammissibilità del ricorso, il contenuto della prova, che assume erroneamente interpretata, provvedendo alla sua trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sul requisito della decisività dei fatti oggetto della prova stessa.
QUESTIONI
[1] La pronuncia in commento si sofferma sui poteri d’ufficio del giudice del lavoro nell’ammissione e nell’acquisizione del materiale probatorio, sia con riferimento al giudizio di primo grado, ai sensi dell’art.421, comma 2, c.p.c., sia, con limiti più stringenti, nel giudizio d’appello, ai sensi dell’art.437, comma 2, c.p.c. e chiarisce come il ricorrente che voglia censurare in cassazione l’operato del giudice di merito sul punto abbia l’onere di dedurre non soltanto l’irritualità dell’acquisizione del materiale probatorio, ma anche il difetto dei requisiti di rilevanza e di indispensabilità del materiale probatorio acquisito ai fini della ricerca della verità materiale. In mancanza di tale secondo aspetto delle deduzioni del ricorrente, infatti, la questione processuale sollevata risulta priva di carattere decisivo, essendo la sola censura dell’irritualità superabile con il riferimento ai poteri d’ufficio previsti dal codice di rito.
Si tratta di un principio consolidato in giurisprudenza: v. Cass., 9 novembre 2006, n.23882, in Giust. Civ., 2007, 2, I, 388, Cass., 22 maggio 2006, n.11922 in Mass. Foro It., 2006, Cass., SS.UU., 20 aprile 2005, n.8202, in Foro It., 2005, I, 2719 e Cass. SS. UU., 17 giugno 2004, n.11353, in Mass. Foro It., 2004. In dottrina, sul punto, v. Mandrioli, Diritto processuale civile, III, Torino, 2014, 530 ss., Finocchiaro, in La giurisprudenza sul codice di procedura civile coordinata con la dottrina, II, IV, Milano, 2006, 3205 ss.; Di Nanni, in Codice di procedura civile commentato, II, Torino, 1160 ss.
[2] Con riferimento invece al principio dell’autosufficienza, v. amplius, Picozzi, Autosufficienza ed eterosufficienza del ricorso per Cassazione (nota a Cass., 6 febbraio 2015, n. 2218), in EC Legal, 22 giugno 2015. Nel caso concreto il ricorso viene dichiarato inammissibile, sulla base del principio enunciato in massima e già più volte affermato dalla Corte di cassazione, secondo la quale il ricorrente “ha l’onere di riprodurre nel ricorso il tenore esatto della risultanza processuale il cui omesso o inadeguato esame è censurato, e ciò al fine di rendere possibile alla Corte di cassazione, sulla base soltanto del ricorso e senza necessità di indagini integrative non consentite, di valutare la pertinenza e la decisività di quelle risultanze” (sul punto, v., tra le più recenti, Cass., 3 gennaio 2014, n.48, in Mass. Foro It., 2014, Cass., 20 settembre 2013, n.21632, in Mass. Foro It., 2013, Cass., 31 luglio 2012, n.13677 in Diritto e Giustizia online, 2012, Cass., 30 luglio 2010, n.17915 in Mass. Foro It., 2010 e Cass., 21 ottobre 2003, n.15751, in Diritto e giustizia online, 2003; in dottrina, sul principio di autosufficienza del ricorso in cassazione e sulle sue applicazioni giurisprudenziali, v. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 2015, 126 ss.; nonché, per condivisibili osservazioni critiche sugli eccessi rigoristici in materia da parte della Corte di cassazione, Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2006, 186 e Verde, Profili del processo civile, II, Napoli, 2006, 292 ss.).