30 Aprile 2024

Revocabilità della dispensa da imputazione

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 3352 del 06/02/2024

Divisione – Divisione Ereditaria – Operazioni Divisionali – Formazione Dello Stato Attivo Dell’eredita’ – Collazione Ed Imputazione – Resa Dei Conti – In Genere Dispensa dall’imputazione ex se – Natura di negozio autonomo – Conseguenze – Revocabilità con successivo testamento – Ammissibilità – Condizioni – Fattispecie.

Massima: “La dispensa del donatario dall’imputare la donazione alla propria quota di legittima, costituendo un autonomo negozio con funzione mortis causa destinato a produrre effetti dopo la morte del disponente, può essere revocata con un successivo testamento del donante, purché la revoca sia deducibile con certezza dal contesto della disposizione, senza possibilità di equivoci sul significato sia logico che letterale dell’espressione usata, restando conseguentemente esclusa l’utilizzabilità di elementi extracontrattuali e la desumibilità di una volontà in tal senso per implicito dalle disposizioni del testatore”.[1]

Disposizioni applicate

Artt. 564, 587, 682 e 671 cod. civ

[1] In un giudizio di divisione relativo alle eredità dei coniugi Tizio e Tizia, che vedeva contrapposti i di loro figli Primo, Secondo e Terza, il Tribunale di primo grado statuiva assegnando a ciascuno dei fratelli distinte unità immobiliari nell’edificio originariamente di proprietà dei genitori ponendo a carico di Primo e Secondo conguagli a favore di Terza e attribuendo ai tre condividendi, in proporzione delle rispettive quote, le rendite sino ad allora maturate dal patrimonio comune.

Avverso tale decisione proponeva appello Primo, lamentando che la quota a lui attribuita era stata erroneamente calcolata sia per la mancata attribuzione in suo favore di una quota di disponibile, sia per errori di calcolo commessi dal consulente d’ufficio; in particolare, sosteneva che in suo favore doveva essere riconosciuta parte della quota disponibile, in misura pari al valore del lastrico solare, a lui pervenuto per donazione ricevuta dai genitori in conto disponibile e con espressa dispensa dall’onere di imputazione.

La Corte d’Appello accoglieva l’appello limitatamente alla quantificazione dei conguagli, dichiarando che gli stessi erano stati erroneamente quantificati e provvedendo a rideterminarli. Per il resto, l’appello veniva rigettato, rilevando la corte che con la citata donazione Tizio ed Tizia avevano sì donato al figlio Primo l’area edificabile del lastrico solare dichiarando che la donazione era effettuata a titolo di disponibile sulle future donazioni, ma che successivamente entrambi – a mezzo testamento pubblico – avevano lasciato la quota disponibile del patrimonio alla figlia Terza. Il Giudice di secondo grado precisava, in particolare, che Tizio e Tizia, nell’atto di donazione, “con una manifestazione chiara ed univoca davano conto della loro volontà di disporre di parte della quota legittima del loro patrimonio in favore del figlio Primo per il tempo successivo alla loro morte e la loro manifestazione di volontà rivestiva la forma dell’atto pubblico. I successivi testamenti, pur non revocando in modo espresso quanto in precedenza previsto con la donazione, annullavano le disposizioni incompatibili, in applicazione del generale principio di conservazione delle disposizioni di ultima volontà, cosicché deve ritenersi che l’intera quota disponibile del patrimonio dei sigg. Tizio e Tizia debba essere attribuita a Terza per l’impossibilità di configurare una sopravvivenza neanche parziale di quanto in precedenza disposto”.

[2] Primo ha proposto ricorso in Cassazione fondandolo su due motivi, dei quali è il primo a venire ad evidenza nella presente sede.

Secondo il ricorrente la sentenza ha errato laddove ha dichiarato che la donazione in suo favore era stata fatta “in conto di legittima” in quanto la stessa era stata fatta in conto di disponibile con espressa dispensa dall’imputazione; lamentava, inoltre, che la sentenza avesse dichiarato trattarsi di manifestazione della volontà dei donanti di disporre della quota di legittima per il tempo successivo alla loro morte, perché la donazione ai sensi dell’art. 769 cod. civ. è contratto tra vivi soggetto a revoca solo nei casi previsti dalla legge e, quindi, ad essa è inapplicabile la disposizione dell’art. 682 cod. civ. relativa al testamento posteriore incompatibile.

Tale motivo è stato ritenuto fondato dalla Suprema Corte. In primo luogo, gli Ermellini evidenziano come nella sentenza d’appello l’affermazione che i donanti avevano manifestato la volontà “di disporre di parte della quota legittima” debba considerarsi mero errore materiale, posto che in ogni altro passaggio i giudici di secondo grado hanno dato che con la donazione i genitori avevano effettuato una liberalità in favore del figlio “a titolo di disponibile”, dispensandolo dall’imputazione.

Viene, invece, cassata la sentenza laddove ha considerato che i genitori avessero revocato detta dispensa.

A giudizio della Suprema Corte, se è vero che la dispensa dall’imputazione ha natura di atto unilaterale di ultima volontà sempre revocabile, il giudice d’appello ha errato nel ritenere “che i successivi testamenti avessero “annullato” la precedente dispensa dall’imputazione. Infatti in questo modo, pur senza richiamarlo espressamente, la sentenza impugnata ha applicato in termini che non resistono alle critiche del ricorrente l’art. 682 cod. civ.”, che disciplina la revoca da parte di un testamento posteriore delle disposizioni incompatibili contenute in un testamento anteriore.  La sentenza in epigrafe ritiene di dover, invece, applicare – in virtù del c.d. principio di simmetria, in ragione del quale un atto successivo e di contenuto contrario ad altro atto per il quale sono previsti particolari requisiti di forma deve rivestire la medesima forma – la previsione dell’art. 564, comma 2, cod. civ. e, conseguentemente, afferma la necessità che la revoca della dispensa dall’imputazione debba rispettare le medesime caratteristiche ritenute necessarie per la dispensa, ossia debba essere espressa. E ciò, nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, deve essere “deducibile con certezza dal contesto della disposizione, senza possibilità di equivoci sul significato sia logico che letterale dell’espressione, restando esclusa l’utilizzabilità di elementi extranegoziali e la desumibilità di una volontà in tal senso per implicito”. [2]

[3] La pronuncia in commento fornisce lo spunto per alcune brevi riflessioni in tema di dispensa da imputazione contenuta in una donazione.

Come noto, il nostro ordinamento prevede che il donante possa dispensare il legittimario che viene beneficiato dalla liberalità dalla collazione nonché dalla imputazione.

Dalla natura giuridica riconosciuta a tali dispense discendono conseguenze che, inevitabilmente, si riflettono sul dibattito in ordine alla revocabilità della dispensa ed alla sua forma.

Parte della dottrina e la giurisprudenza più datata riconoscevano alla dispensa natura di clausola accessoria al contratto donativo. Aderendo a tale impostazione dovrebbe, coerentemente, concludersi che la dispensa, se contenuta nell’atto di donazione, sarebbe irrevocabile unilateralmente dal donante, trattandosi di clausola accedente ad un contratto bilaterale.[3]

Di diverso avviso la dottrina dominante, che riconosce alla dispensa da imputazione e collazione la natura di negozio autonomo, sebbene collegato all’atto donativo. La prima considerazione che porta a tale conclusione è che essa può essere contenuta anche in un testamento, ossia un negozio giuridico separato. In secondo luogo, la funzione della dispensa è pacificamente mortis causa e, dunque, ben distinta dal negozio di donazione, tipicamente inter vivos.[4]

Anche alcuni più recenti arresti giurisprudenziali sembrano accogliere tale ultima ricostruzione.[5]

È la stessa pronuncia in commento ad affermare che la “disposizione con la quale il donante regolamenta la donazione in conto disponibile e con dispensa dall’imputazione, anche se contenuta nell’atto di donazione, è per definizione destinata a produrre effetti dopo la morte del disponente e ha specifica funzione mortis causa, quale atto di ultima volontà, palesemente distinta dalla donazione, negozio tipicamente inter vivos. Per queste ragioni, si deve condividere e dare continuità a quanto già statuito da Cass. Sez. 2 29-10-2015 n. 22097 Rv. 636879-01 laddove, richiamando l’insegnamento sulla questione della dottrina prevalente, ha dichiarato che la dispensa dall’imputazione costituisce un negozio autonomo rispetto alla donazione, traendo da tale considerazione la conseguenza che la dispensa relativa all’imputazione di una donazione possa essere indifferentemente effettuata nello stesso atto di donazione o in un successivo testamento o in un successivo atto tra vivi”.

Tuttavia, la Suprema Corte non sembra aver pienamente sposato la tesi sostenuta dalla dottrina prevalente e, per far convivere i diversi orientamenti di legittimità rinvenibili, sottolinea (senza approfondirne realmente le ragioni) come debba distinguersi tra dispensa da collazione e dispensa da imputazione: “non ostano a tale conclusione i precedenti di Cass. Sez. 2 1-10-2003 n. 14590 Rv. 567254-01, Cass. Sez. 2 7-5-1984 n. 2752 Rv. 434793-01 e Cass. Sez. 2 27-7-1961 n. 1845 Rv. 882772, in quanto ai fini della presente decisione è sufficiente osservare che la definizione data in quei precedenti alla dispensa dalla collazione quale clausola accessoria al contratto, come tale non eliminabile ex post per volontà di uno solo dei contraenti, non si attaglia alla dispensa dall’imputazione, destinata a produrre effetti dopo la morte del donante attribuendo al donatario divenuto erede il vantaggio ulteriore riferito all’attribuzione della sua intera quota di legittima, in aggiunta alla donazione già ricevuta”.

A voler così ragionare, dovrebbe giungersi alla conclusione che in caso di donazione contenente la dispensa sia da collazione che imputazione, il donatario, con successiva disposizione testamentaria, potrebbe revocare la dispensa da imputazione, ma non quella da collazione…  Una tale distinzione non sembra trovar riscontro in dottrina, né sembra potersi rinvenire un fondamento nel quadro normativo vigente.[6]

Condivisibile, invece, a giudizio dello scrivente, il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte in ordine alla forma espressa che la revoca della dispensa debba avere. Se, come è generalmente riconosciuto, si ritiene che la dispensa da collazione debba essere espressa in modo chiaro e inequivoco, le stesse caratteristiche deve avere il successivo atto di revoca.

[1] Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata che, pur dando atto correttamente che la dispensa dall’imputazione ex se possa essere successivamente revocata, non aveva proceduto ad un esame specifico delle disposizioni testamentarie, ritenendo sufficiente l’esistenza di un successivo testamento.

[2] Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 3852 del 06/06/1983

[3] In questo senso, in dottrina MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. III, parte 2, Milano, 1952, pag. 423, AZZARITI, Le successioni e donazioni, Napoli, 1990, pag. 764. In giurisprudenza, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 14590 del 01/10/2003: “In tema di divisioni ereditarie, la dispensa dalla collazione, contenuta in una donazione, si configura come una clausola accessoria al contratto che, come tale, non può essere eliminata dal contesto per atto unilaterale di volontà di uno solo dei contraenti. La natura contrattuale di tale clausola non contrasta col divieto dei patti successori, trattandosi di una mera modalità dell’attribuzione, destinata ad avere efficacia dopo la morte del donante, e non di un atto con cui questi dispone da vivo della propria successione”. Si vedano, altresì; Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 2752 del 07/05/1984; Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 1845 del 27/07/1961.

[4] In tal senso, BARBA, La dispensa dalla collazione, Studio n. 78-2023/C del Consiglio Nazionale del notariato, in Studi e materiali, Rivista semestrale del CNN, 2023, 3, pagg. 17-45, reperibile al link https://www.notaioricciardi.it/Portale/Successioni_Donazioni/dispensa%20dalla%20collazione%20(studio%20n.%2078-2023).pdf; CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2009, pag. 1394; GAZZARA, Collazione (Dir. Civ.), in Enciclopedia del diritto, VII, Milano, 1960, pag. 337; BURDESE, La divisione ereditaria, in Trattato del diritto civile italiano diretto da Vassalli, Torino, 1980, pag. 311;

[5] Si veda, oltre alla sentenza in commento, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 22097 del 29/10/2015.

[6] Ancor prima e a prescindere dalla distinzione tra dispensa da collazione e imputazione, la dottrina più recente evidenzia come nel ragionare in termini di irrevocabilità della dispensa contenuta nell’atto donativo si giungerebbe “al paradossale risultato che il donante che, in vita, abbia dispensato dalla collazione il proprio donatario non possa revocare il beneficio per testamento, come se egli avesse perduto, rispetto a un atto, indiscutibilmente, destinato a regolare la propria successione, quel «diritto di esclusiva»10 che è tipico e solo di una volontà testamentaria”. Così BARBA, op. cit., pag. 19.

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