23 Aprile 2024

Il dovere dell’amministratore di recuperare le spese condominiali

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. III, Ordinanza del 28.12.2023 n. 36277, Presidente G. Travaglino, Estensore A. Moscarini

Massima:Nel caso in cui l’amministratore di condominio non recuperi i crediti condominiali è soggetto al risarcimento dei danni ai sensi della L. 220/2012, dell’art. 1130 c.c., comma 1, n. 3, nonché ex articolo 63 disp. att. c.c.”.

CASO

Caio conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Milano il Condominio Alfa in persona dell’amministratore chiedendo la condanna di quest’ultimo al pagamento del complessivo importo di Euro 5.074,03 a titolo di compensi e rimborsi spese per il periodo in cui egli aveva ricoperto la carica di amministratore del condominio.

Il convenuto si costituiva in giudizio opponendosi alle istanze ex adverso proposte e formulava domanda riconvenzionale per sentir condannare Caio al risarcimento dei danni procurati al Condominio nell’ambito della sua attività gestionale di amministratore.

Il Tribunale accoglieva la domanda principale di Caio nei limiti dell’importo di Euro 388,90 e rigettava la riconvenzionale.

Proposto appello principale da Caio ed incidentale dal Condominio, la Corte d’Appello rigettava il gravame principale ed accoglieva in parte quello incidentale condannando Caio a pagare al Condominio la somma di Euro 20.905,17, stante l’inadempimento di Caio ai propri obblighi di amministratore per non aver promosso azioni giudiziarie volte al recupero delle spese condominiali non versate dai soci morosi e in special modo dalla Società Beta; poiché tale inadempimento comportava, infatti, l’impossibilità definitiva del recupero del credito, in esito alla definitiva cancellazione della società dal Registro delle Imprese.

Caio proponeva, pertanto, ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado sulla base di tre motivi.

Il Condominio, conseguentemente, resisteva con controricorso, eccependo in via preliminare la mancata istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio richiesta a pena di improcedibilità del ricorso.

SOLUZIONE

La Suprema Corte rigettava il ricorso e condannava parte ricorrente a pagare in favore di controparte le spese del corrente giudizio.

QUESTIONI

In via preliminare, la Suprema Corte rigettava l’eccezione sollevata da parte controricorrente rilevando, al contrario, la sussistenza dell’istanza di trasmissione del fascicolo.

Nel merito, con il primo motivo di ricorso Caio lamentava violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., poiché asseriva come la Corte d’Appello non avesse diligentemente esaminato le prove e, in particolare, avesse omesso di valorizzare un documento dal quale avrebbe dovuto desumere che il debito della Società Beta ammontava, all’atto del passaggio delle consegne al nuovo amministratore, all’importo di Euro 4.736,10 anziché a quello di Euro 20.905,17. Secondo Caio, pertanto, la Corte del gravame avrebbe violato il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., nonché l’obbligo di valutare le prove proposte dalle parti in base al suo prudente apprezzamento.

I giudici di legittimità, tuttavia, dichiaravano il motivo inammissibile sulla base del consolidato principio per cui nel ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.[1].

Con la seconda doglianza Caio evidenziava violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1130, comma 1, n. 3 c.c. e dell’art. 63 disp att. c.c. giacché la sentenza riteneva, secondo il ricorrente, negligente il comportamento dell’amministratore sottolineando la mancata iniziativa di riscossione coattiva dei crediti del Condominio nei confronti di Beta, sulla base di una normativa sopravvenuta costituita dalla L. n. 220 del 2012, che, in quanto sopravvenuta, non avrebbe dovuto essere applicata.

Orbene, ai sensi dell’art. 1129, comma 9, c.c., l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa degli oneri dovuti dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso.

Per gli Ermellini la motivazione risultava, quindi, inammissibile stante il dovere già previsto all’interno del codice civile, secondo il quale l’ex amministratore avrebbe dovuto proporre ricorso per decreto ingiuntivo ottenendone anche la provvisoria esecuzione e iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili in vendita così da scongiurare il rischio che la società debitrice, venendo cancellata dal registro delle imprese, non potesse essere più un soggetto solvibile.

La riscossione, in particolare, trova il suo fondamento nella delibera di assemblea che approva la spesa e nello stato di ripartizione della stessa, tant’è vero che ove i condomini siano inadempienti, l’amministratore, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., può chiedere al giudice di emettere nei loro confronti un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e ciò anche in costanza dell’applicazione della legge precedente alla riforma L.220/12, che ha solo specificato il termine nel quale l’amministratore deve procedere – salvo deroga concessa dall’assemblea dei condomini – e di fatto  ha chiarito, che le iniziative giudiziali finalizzate al recupero delle quote dei morosi non debbano passare al vaglio dell’assemblea, come dalla nuova formulazione dell’art. 63 disp. att. c.c.

Pertanto, anche antecedentemente all’entrata in vigore della L. 220/2012, chiarisce la Suprema Corte, l’amministratore aveva l’obbligo di provvedere al recupero dei crediti del condominio in base all’art. 1130, comma 1, n. 3 c.c. nonché ex art. 63 disp. att. c.c..

Con il terzo motivo Caio censurava la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 4, asserendo come la Corte non avesse tenuto conto del fatto che nemmeno i successivi amministratori a lui subentrati avessero posto in essere il recupero forzoso dei contributi condominiali  nei confronti degli aventi causa della società Beta ed in ragione della solidarietà prevista dall’art. 63 disp. att. c.c., comma 4. Secondo il ricorrente, quindi, se la solidarietà fosse stata tempestivamente attivata, avrebbe attutito se non eliso la perdita economica del Condominio, dispensando di conseguenza Caio da qualsivoglia responsabilità.

Quest’ultimo motivo veniva considerato inammissibile in quanto il ricorrente avrebbe disatteso i requisiti di contenuto-forma del ricorso omettendo di indicare dove e come aveva proposto la censura nei pregressi gradi. La violazione del principio di autosufficienza non consentiva, quindi, alla Corte di cassazione di poter escludere che la critica avesse carattere di novità.

[1] Cass. SS. UU., Sent. n. 20867/2020.

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