26 Marzo 2024

Canone di locazione “vile” ed opponibilità del contratto alla procedura esecutiva

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sezione III, Ordinanza del 09.05.2023 n. 12437, Presidente F. De Stefano, Estensore G. Fanticini.

« È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2923, comma 3, c.c. (norma che, rendendo inopponibile all’aggiudicatario, alla procedura e ai creditori la locazione “a canone vile”, consente al giudice dell’esecuzione l’emanazione diretta dell’ordine di liberazione), il quale non impedisce al conduttore l’esercizio del diritto di difesa, né ostacola l’impresa privata, mirando, piuttosto, a salvaguardare il diritto al recupero del credito – che gode di tutela costituzionale e anche sovranazionale[1] – da iniziative economiche fraudolente o, comunque, lesive delle ragioni creditorie».

Il presente commento risulta di interesse perché pone al centro, per la prima volta, il rilevo di un interesse meritorio del creditore procedente “il diritto al recupero del credito”, in funzione costituzionale e sovranazionale a tutela della libera circolazione dei crediti ed in una visione puramente mercatoria, che salvaguardia nella ns. c.d. “era economica” un sacrosanto principio alla protezione da iniziative economiche “fraudolente” messe in atto dalle parti – nella fattispecie in esame, il canone “vile”, per eludere le iniziative dei creditori.

A quanto ci consta la Suprema Corte respingendo la declaratoria di illegittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente relativamente all’articolo 2923, comma 3, c.c. ha salvaguardato chiaramente l’esigenza del rispetto dello svolgimento della procedura esecutiva nella sua compiutezza, affinché il diritto al recupero del credito una volta accertato nella fase piena cognitoria    non venga pregiudicato da intenti fraudolenti messi in atto dalle parti, che possano ledere le ragioni del procedente, una volta accertate, nel rispetto del principio chiovendiano che sintetizza le caratteristiche dell’attività esecutiva, “nell’esattezza e completezza”, dovendo tale attività giurisdizionale fare conseguire al creditore: “tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire”.[2]

Essa si inserisce all’interno di un percorso motivazionale condivisibile e trae origine da una vertenza di opposizione all’esecuzione ex artt. 615 e 617 cpc, afferente un contratto di locazione a canone cd. “vile”.

La creditrice procedente Alfa instaurava una procedura esecutiva immobiliare nei confronti di Tizio, Caio e Sempronio.

Contro detta procedura esecutiva immobiliare, i suindicati debitori esecutati nonché la Società Gamma, proponevano – ciascuno per le rispettive ragioni – opposizione all’esecuzione ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c.: in particolare la Società Gamma con il proprio atto sosteneva di essere conduttore dell’immobile pignorato in forza di un contratto di locazione anteriore all’instaurazione del giudizio esecutivo (infatti, lo stesso contratto veniva registrato in data 13 gennaio 2010 a fronte dell’instaurazione di detta procedura perfezionatasi solo in data 2 aprile 2012) e di essere venuta a conoscenza della pendenza del giudizio, solo a seguito dell’emanazione del provvedimento di aggiudicazione dell’immobile.

Sosteneva a tal proposito che l’opponibilità del contratto avrebbe comportato l’invalidità dell’aggiudicazione e dei conseguenti decreto di trasferimento contenente peraltro anche l’ordine di liberazione dell’immobile pignorato.

Orbene, il giudice dell’esecuzione rilevava l’inopponibilità del contratto di locazione in quanto stipulato a canone “vile” ai sensi dell’art. 2923, comma 3, c.c. e, a sua volta, lo stesso Tribunale dell’opposizione rigettava la domanda promossa da Gamma con sentenza n. 912 del 22 novembre 2019.

Avverso detta sentenza, i soccombenti in primo grado interponevano appello innanzi la Corte di Appello di Trento, la quale con sentenza n. 4 del 12 gennaio 2021 da un lato, dichiarava inammissibile il gravame nella parte in cui si censuravano i vizi di notificazione degli atti esecutivi in quanto le decisioni sul punto del giudice delle prime cure non erano impugnabili ai sensi dell’art. 618 c.p.c.; dall’altro, respingeva l’appello nella parte in cui si censurava la decisione di primo grado in ordine alla inopponibilità del contratto di locazione ad uso commerciale concluso tra Gamma e i debitori esecutati, confermando pertanto la sentenza di primo grado.

La società Gamma proponeva ricorso per Cassazione sulla base di due motivi.

Resisteva con controricorso Alfa, e nessuna difesa veniva spiegata da parte dell’aggiudicatario Filano.

Le parti depositavano memorie ai sensi dell’art. 380 bis, comma 1, c.p.c.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 12473 del 9 maggio 2023, integralmente rigettato il ricorso proposto dalla società Gamma, ha pertanto condannato la ricorrente alla refusione delle spese di giudizio in favore della controricorrente Alfa.

La Corte di legittimità ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 condannava, altresì, la ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1 bis della norma sopra richiamata, se dovuto.

QUESTIONI

Con il primo motivo la società ricorrente rilevava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2923 e 2929 del Codice civile.

In particolare censurava la decisione, confermata dal giudice di appello, in punto di inopponibilità del contratto di locazione perchè adottata d’ufficio, così impedendo al locatario di esercitare correttamente il proprio diritto di difesa e perchè adottata senza accertare compiutamente la sussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 2923, comma 3, c.c. o in ogni caso tralasciando importanti elementi probatori idonei a provare la congruità del canone pattuito. Ne sarebbe pertanto derivata, a favore di Filano, aggiudicatario, una tutela ulteriore rispetto a quella prevista dall’art. 2929 c.c..

Infine, la società Gamma sollevava un dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 2923, comma 3, c.c., in quanto asseritamente in contrasto con le disposizioni normative di cui agli artt. 41 e 24 della Carta fondamentale, nonché da ultimo dell’art. 2929 c.c. per contrasto con l’art. 42 Cost..

La Corte di Cassazione riteneva tale motivo infondato.

In primo luogo occorre premettere che l’ordine di liberazione ex art. 560 c.p.c. emesso nel caso di specie, così come formulato alla luce della legge n. 119 del 2016 e della legge n. 12 del 2019 (ma anche nella attuale formulazione introdotta col D.Lgs. n. 149 del 2022), è suscettibile di opposizione agli atti esecutivi da parte di terzi.

Il testo della disposizione al tempo vigente disponeva che “per il terzo che vanta la titolarità di un diritto di godimento del bene opponibile alla procedura, il termine per l’opposizione decorre dal giorno in cui si è perfezionata nei confronti del terzo la notificazione del provvedimento”, a dimostrazione che al soggetto terzo è riconosciuta la possibilità di difendersi rispetto all’accertamento del giudice sia nella fase endoesecutiva che nel giudizio di opposizione a cognizione piena.

Orbene, con riferimento alla censura relativa all’estensione dei poteri ufficiosi del giudice dell’esecuzione, a differenza di quanto sostenuto dalla società Gamma, sussiste in capo al giudicante un effettivo generale potere-dovere di verificare d’ufficio l’esistenza di eventuali diritti di godimento da opporre alla procedura nella fase di determinazione del prezzo base dell’immobile pignorato ovvero nella indicazione dello stato del bene ai potenziali acquirenti.

Invero, l’attività di verifica è tanto più cogente specialmente nella fase di emissione dell’ordine di liberazione, ai sensi dell’art. 560 c.p.c., il quale non sarà emanato dal giudice dell’esecuzione ove sussistano i presupposti per l’opponibilità di diritti a vario titolo vantati dai soggetti terzi, tra i quali rientra la sussistenza di un contratto di locazione.

Questo perchè, infatti, uno dei motivi che può incidere sulla efficacia delle procedure espropriative immobiliari è senza dubbio lo stato di occupazione del cespite di cui viene disposta la vendita che può condizionare in maniera apprezzabile la scelta di acquistare il bene all’asta da parte del potenziale aggiudicatario.

A ben vedere, pertanto, tra le verifiche affidate all’autorità giudiziaria vi è anche il sindacato sull’opponibilità della “locazione a canone vile” così come disciplinata dall’art. 2923, comma 3, c.c..

In particolare suddetta norma prevede che “in ogni caso l’acquirente non è tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo convento sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni”.

Sicchè ne deriva che laddove ne sussistano i presupposti, la locazione così conclusa non potrà considerarsi opponibile alla procedura esecutiva onde interdire l’emanazione dell’ordine di liberazione.

Sul punto è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione, a conferma del consolidato orientamento, in tal senso: “la locazione a “canone vile” stipulata in data anteriore al pignoramento non è opponibile all’aggiudicatario ai sensi dell’art. 2923, comma 3, c.c., ed è inopponibile anche alla procedura o ai creditori che ad essa danno impulso, stante l’interesse pubblicistico al rituale sviluppo del processo esecutivo e, quindi, per un motivo di ordine processuale, il quale impone l’anticipazione degli effetti favorevoli dell’aggiudicazione e del decreto di trasferimento, col peculiare regime di efficacia “ultra partes” di quest’ultimo: ne consegue che è pienamente legittima l’emanazione diretta da parte del giudice dell’esecuzione, dell’ordine di liberazione – con la successiva attuazione da parte del custode e senza che sia necessario munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva – avvalendosi delle stesse inopponibilità previste per l’aggiudicatario, potendo i vari soggetti coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento trovare tutela delle loro ragioni nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi”[3].

Tale attività di verifica – riservata al giudice dell’esecuzione ovvero dell’opposizione – investe elementi fattuali non sindacabili in sede di legittimità al di fuori dei casi previsi dall’art. 360 c.p.c. con riferimento ai profili di logicità e legittimità della decisione del giudice del merito.

Nel caso di specie il Supremo Collegio ha ritenuto la decisione del giudice di seconde cure adeguatamente giustificata in punto di “viltà” del canone pattutito “con argomenti non solo scevri da vizi logici o giuridici, ma anche ben più che plausibili”.

Sul sindacato di legittimità costituzionale la Corte ha rilevato la manifesta infondatezza non solo della censura relativa all’art. 2929 c.c., in quanto ritenuta irrilevante nel caso concreto e “senza alcuna attinenza con la decisione impugnata”; ma anche della censura relativa all’art. 2923, comma 3, c.c., in quanto norma che non “impedisce al conduttore di esercitare il diritto di difesa, né ostacola l’impresa privata, trattandosi di norma che, al contrario, mira a salvaguardare il diritto al recupero del credito da iniziative economiche caratterizzate da intenti frodatori o, comunque, lesive delle ragioni creditorie”.

Con il secondo motivo i ricorrenti rilevavano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 97 c.p.c., per aver la Corte di Appello di Trento confermato la condanna alla rifusione delle spese di lite in solido tra tutti gli opponenti e appellanti.

La Corte di Cassazione riteneva anche tale motivo infondato.

Secondo il collegio, infatti, conformandosi al consolidato orientamento, la condanna alla refusione delle spese di lite in solido può essere disposta anche nel caso in cui sussista una mera “comunanza di interessi” la quale si può evincere dalla “convergenza di atteggiamenti difensivi[4].

Nel caso di specie il giudice di appello ha omesso di rendere una espressa motivazione in punto di condanna solidale al pagamento delle spese di lite. Orbene dal tenore letterale del provvedimento è evincibile come la Corte di Trento abbia implicitamente riconosciuto la summenzionata comunanza.

Si legge infatti che gli “appellanti hanno unitariamente a suo tempo proposto “ricorso ex artt. 615 e/o 617 c.p.c.”, prospettando peraltro “ragioni di connessione” ed “un’ipotesi di litisconsorzio per cumulo di domande e comunque facoltativo” e pure unitariamente hanno poi promosso con il rito ordinario il giudizio di merito: ed unitariamente la causa è stata trattata, benchè la posizione della società Gamma fosse almeno parzialmente distinta da quella degli altri tre opponenti”.

Tale omissione è stata in conclusione ritenuta irrilevante ai fini della cassazione della sentenza.

[1] Cass. Sez. U. n.28387 del 14.12.2020.

[2] G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1935, 41

[3] Cass. Civ. sent. n. 9877/22, ma anche Cass. Civ. ord. n. 16718/12.

[4] Cass. Civ. ord. n. 1659/22.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Acquisti immobiliari, proposte, preliminari e rogiti