22 Marzo 2022

Vizio di extrapetizione della sentenza d’appello e cassazione senza rinvio: un’ipotesi particolare

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., sent., 7 marzo 2022, n. 7367Pres. Lombardo – Rel. Grasso

Appello – Esame di motivo non proposto – Vizio di extrapetizione – Cassazione con rinvio per l’esame di motivi di gravame rimasti indebitamente assorbiti (C.p.c. artt. 112, 342, 382, 383, 384)

Massima: “Consolidata dal sopraggiunto giudicato quella parte della statuizione di primo grado non impugnata dall’appellante, non v’è ragione di precludere al giudice dell’appello il vaglio di quei profili di doglianza (questi sì devoluti), rimasti non esaminati, perché assorbiti dalla pronuncia di accoglimento di motivi d’appello mai posti; preclusione inevitabile ove la decisione d’appello fosse cassata senza rinvio”.

CASO

[1] L’asserito proprietario di un terreno, divenuto tale in forza di successione ereditaria, ha convenuto in giudizio una coppia di coniugi ai fini del riconoscimento, nei loro confronti, del suo diritto dominicale sul bene, previa declaratoria di nullità dell’atto di donazione con cui il marito, nella sua pretesa qualità di proprietario del fondo per intervenuta usucapione, aveva disposto dello stesso bene a favore della moglie.

L’iniziativa non ha avuto, in prima battuta, successo: l’adito Tribunale di Lecce ha infatti respinto la domanda così proposta, riconoscendo, in via di accoglimento della riconvenzionale appositamente esperita, che l’usucapione era effettivamente maturata a favore di una delle parti convenute, con annessa declaratoria di legittimità dell’intercorso atto di donazione. Ma le sorti del giudizio sono state completamente ribaltate in seconde cure, dove la Corte d’appello del capoluogo salentino è pervenuta all’accertamento della fondatezza della domanda introduttiva di lite e alla conseguente, integrale, riforma della sentenza impugnata.

La decisione della Corte di merito è stata allora, e a sua volta, fatta segno d’impugnazione davanti al giudice di legittimità, con ricorso articolato su tre motivi, il secondo dei quali è stato dichiarato fondato, con assorbimento degli altri motivi, dalla pronuncia cui sono dedicate le presenti note di commento.

SOLUZIONE

[1] L’unica censura su cui la Suprema Corte ha soffermato la propria attenzione è stata quella con cui il ricorrente ha denunciato la sentenza impugnata come affetta dal vizio di extrapetizione nella tipica dimensione che questo vizio assume nei giudizi d’impugnativa, ovverosia in quella della violazione del principio del tantum devolutum quantum appellatum quale ricavabile dal combinato disposto degli artt. 112 e 342 c.p.c.: e questo, per avere, la pronuncia d’appello, riformato il capo della sentenza di primo grado concernente l’avvenuta usucapione del bene conteso a favore di uno dei convenuti, senza che nessuna doglianza di merito fosse stata svolta al riguardo nell’atto di gravame.

La Corte, come anticipato, ha giudicato fondata quella censura. Essa ha, invero, dato atto che l’appellante avesse contestato anche il capo della sentenza di primo grado di cui poc’anzi s’è detto, deducendo che la declaratoria dell’acquisto per usucapione da parte del convenuto-parte appellata non avesse fatto séguito a una domanda riconvenzionale ritualmente spiegata. Ma si trattava, all’evidenza, di una contestazione d’ordine meramente processuale, sicché, nel momento in cui lo stesso giudice del gravame era venuto ad ammettere che la riconvenzionale era stata, all’opposto, compiutamente esperita, esso non avrebbe potuto, come viceversa accaduto, sindacare il fondamento di merito della decisione, affermando, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite e in difetto, oltretutto, di eccezione di parte, che il possesso ultraventennale del bene fosse stato il frutto di mera tolleranza da parte del proprietario, sì da doversi per ciò stesso escludere l’integrazione degli estremi richiesti dalla legge per il perfezionamento dell’usucapione.

Come si legge nella sentenza in esame, «oggetto esclusivo dell’impugnazione» – o, meglio, oggetto esclusivo delle doglianze di merito contenute nell’impugnazione – era stata «la declaratoria di validità dell’atto di donazione», censurata sotto il profilo che il donante non avrebbe avuto titolo per disporre del bene, «poiché il di lui acquisto per usucapione non era stato, in precedenza, dichiarato giudizialmente, e, comunque, trattandosi di donazione di cosa futura». Orbene, la Corte non trascura in proposito il corrente insegnamento della sua stessa giurisprudenza per cui non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel thema decidendum del giudizio (come testimonianze di questo orientamento la sentenza richiama Cass., 13 aprile 2018, n. 9202; Cass., 3 aprile 2017, n. 8604; Cass., 26 gennaio 2016, n. 1377). Il fatto è, però, che, nella fattispecie decisa, gli estremi di quella connessione non sarebbero stati affatto predicabili, dal momento che affermare, come avvenuto da parte dell’appellante, che, ai fini della validità dell’atto traslativo, «l’alienante avrebbe dovuto previamente munirsi di statuizione giudiziaria che lo avesse proclamato proprietario, non bastando che l’interessato, davanti al notaio, si fosse dichiarato proprietario per usucapione» non significa assolutamente, e neppure per implicito, contestare la sussistenza, propugnata dal giudice di primo grado, delle condizioni legali dalle quali discende ope legis l’acquisto in oggetto.

Stabilito come la sentenza impugnata sia stata resa «su un punto non compreso neppure implicitamente nel “thema decidendum”, come delimitato dai motivi di gravame», la Corte non ha potuto che disporne la cassazione. Ma non con l’abituale formula, per le ipotesi in cui il vizio riscontrato sia, appunto, quello di ultra- o extrapetizione (per riferimenti, v. infra, al § successivo), bensì con rinvio alla Corte di merito. E questo perché, avendo quest’ultima decretato il mancato avveramento dell’usucapione (in tal modo pronunciando su un motivo di gravame in realtà mai proposto), erano rimaste automaticamente assorbite le critiche (queste sì, per contro, effettivamente) avanzate contro quella distinta parte della sentenza impugnata che aveva ammesso la validità dell’intercorsa donazione a dispetto di ciò, che il donante avesse disposto del bene senza previo accertamento giudiziale della relativa usucapione: critiche cui l’acclarata intangibilità della sentenza di prime cure, nella parte che aveva accolto la riconvenzionale diretta all’accertamento dell’intervenuta usucapione, ha nuovamente conferito rilevanza e che il giudice di legittimità ha escluso di poter direttamente scrutinare senza un previo scrutinio da parte del giudice di merito che ne era stato originariamente investito

QUESTIONI

[1] Che il vizio di cui sia affetta la sentenza d’appello per aver pronunciato oltre i limiti segnati dai motivi del gravame proposto, sia causa, ove acclarato in sede di legittimità, di cassazione senza rinvio della sentenza medesima, è dato da sempre e saldamente acquisito così nell’elaborazione giurisprudenziale (in aggiunta alle pronunce richiamate nella sentenza in esame – Cass., 29 settembre 2015, n. 19229; Cass., 9 giugno 1994, n. 5601 – si aggiungano Cass., 26 giugno 2018, n. 16786; Cass., 18 maggio 2018, n. 12275; Cass., 23 ottobre 2014, n. 22558) come in quella dottrinale (cfr. Asprella, sub Art. 382, in Commentario del Codice di procedura civile, diretto da L.P. Comoglio – C. Consolo – B. Sassani – R. Vaccarella, IV, Milanofiori Assago (MI), 2013, 1075; nonché, in termini più generali, ossia con riferimento anche alle ipotesi di extrapetizione consumatasi in primo grado e non rimossa nel giudizio di seconda istanza, Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 3a ed., II, Napoli, 1956, 237; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, 4a ed., Napoli, 2002, 520; Sassani, La cassazione, in Diritto processuale civile, diretto da L. Dittrich, II, Milano, 2019, 2753; in questa stessa prospettiva, in giurisprudenza, Cass., 23 maggio 2001, n. 7049).

La sentenza in epigrafe si è discostata soltanto apparentemente da quel tòpos applicativo. Ben lungi, infatti, dal volerne mettere in discussione le ragioni fondanti – e attinenti a ciò, che, ai fini dell’eliminazione dell’extra petitum, è sufficiente la mera cassazione (parziale) della sentenza che ne sia inficiata (Sassani, La cassazione, cit., loc. cit.) -, il supremo giudice si è limitato a rilevare che, all’applicazione di quell’orientamento nella fattispecie portata al suo esame, erano d’ostacolo le peculiarità della fattispecie medesima: i.e., la circostanza per cui, a causa dello straripamento del giudice d’appello dai confini di quanto doveva intendersi ad esso devoluto, era rimasta assorbita l’altra fondamentale questione sollevata dall’appellante davanti a quel giudice, ossia se colui che si dichiari proprietario di un bene per usucapione senza previo accertamento giudiziale del suo acquisto, di quel bene possa poi validamente disporre; e che la verifica della fondatezza di tale questione sarebbe risultata definitivamente preclusa senza rinvio della causa alla Corte di merito.

La soluzione adottata, nell’occasione, dalla Suprema Corte merita senz’altro consenso. Il fatto che la questione testé richiamata sia rimasta assorbita nel giudizio di seconde cure e non sia stata oggetto, in quella sede, di decisione negativa nei confronti dell’appellante, comporta che nessun impedimento possa opporsi al suo esame da parte del giudice di rinvio, ancorché la parte convenuta nel giudizio di cassazione, e vincitrice in appello, non abbia proposto ricorso incidentale condizionato al riguardo (sul ricorso incidentale condizionato come requisito di sindacabilità, da parte del giudice di rinvio, delle sole questioni effettivamente esaminate e risolte dal giudice d’appello, v., per ogni altro, Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. II. Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, 12a ed., Torino, 2019, 605). Né può sostenersi, pur trattandosi, indubbiamente, di una questione di puro diritto, che la sua rimessione al giudice di merito avrebbe potuto evitarsi qualora la Corte si fosse avvalsa dei suoi poteri di cassazione sostitutiva ex art. 384, 2° co., c.p.c. Per espresso disposto di questa norma, infatti, la decisione di merito sulla controversia che la Cassazione è abilitata a pronunciare può scaturire soltanto all’atto dell’accoglimento del ricorso, vale a dire in via di diretta applicazione ai fatti di causa, così come accertati nel giudizio di merito, della soluzione offerta dalla Corte, nel senso auspicato dal ricorrente, della (o delle) questione(i) sottoposta(e) al suo sindacato: quanto, nella fattispecie, non sarebbe certo potuto accadere, visto che la questione di cui poco sopra s’è detto non era stata affacciata al cospetto della Suprema Corte e questa, pertanto, non avrebbe certo potuto occuparsene né, tantomeno, definire la causa attraverso la sua soluzione.

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