10 Ottobre 2017

Violazione del consenso informato e onere della prova

di Etienne Fabio Invernizzi Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III, 5 luglio 2017, n. 16503 – Pres. Travaglino – Est. Di Stefano

Prova civile – Lesione del diritto al consenso informato  – Risarcimento del dannoRipartizione dell’onere probatorio (Cost. artt. 3, 32; Cod. civ. art. 2697; l. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 33).

[1] In caso di violazione del diritto al consenso informato, il paziente può essere risarcito per lesione del diritto al consenso informato anche se non dimostra che, ove correttamente informato, non si sarebbe sottoposto al trattamento medico .

 IL CASO

[1] Con atto di citazione notificato nel marzo del 2007, l’attore si rivolge al Tribunale per chiedere la condanna sia dell’Azienda ospedaliera, che del medico, al risarcimento del danno iatrogeno e quello derivato dalla mancata informazione circa la natura e le conseguenze dell’intervento medico. In primo grado le domande attoree vennero respinte, mentre in secondo grado, la Corte di Appello ritenne fondata esclusivamente la domanda relativa al danno derivato dalla mancata corretta informazione, escludendo la responsabilità in relazione all’intervento in sé considerato, essendo stato questo eseguito a regola d’arte nonostante l’esito sfavorevole per il paziente. Nel giudizio di cassazione instaurato dal paziente, i convenuti propongono ricorso incidentale nel quale contestano la mancata allegazione e prova del fatto che, in presenza di più compiuta informazione, il paziente non si sarebbe sottoposto all’intervento.

 LA SOLUZIONE

[1]  Con la pronuncia in epigrafe, la Corte di cassazione, nel confermare la decisione della Corte di appello, ritiene non corretta la tesi prospettata dai ricorrenti incidentali in virtù della quale l’inadempimento dell’obbligo informativo si avrebbe solo in caso di allegazione e prova, da parte del paziente, di un suo probabile rifiuto all’intervento in caso di avvenuta adeguata informazione; al riguardo, la Corte di cassazione evidenzia la natura contrattuale dell’obbligo gravante sul medico e quindi la sufficienza dell’allegazione dell’inadempimento da parte del paziente-creditore. Dunque, secondo la Suprema Corte, il paziente deve essere risarcito anche se l’intervento è stato eseguito a regola d’arte, in quanto l’obbligo informativo che grava sul medico ha natura contrattuale e trova il proprio fondamento nel diritto all’autodeterminazione e non nel diritto alla salute ex art. 32 Cost.

LA QUESTIONE

[1]  Con la sentenza in esame la Suprema Corte respinge l’orientamento dottrinale minoritario secondo il quale l’obbligo informativo gravante sul medico è da ricondursi al principio di buona fede, al cui rigoroso rispetto sono tenute le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.), la cui violazione da parte del sanitario integrerebbe responsabilità di tipo extra-contrattuale, con la conseguenza che la prova del fatto illecito – la mancata acquisizione del consenso – dovrebbe essere fornita dal paziente. Dunque, la Corte di cassazione accoglie la tesi contrattuale del rapporto medico-paziente, in virtu’ della quale l’illustrazione al paziente delle caratteristiche e dei rischi del trattamento medico, al fine di ottenere il consenso dello stesso, costituisce obbligazione, il cui adempimento deve essere provato dal sanitario a fronte dell’allegazione dell’inadempimento da parte del paziente. Con la sentenza in commento la Corte sconfessa altresì una pronuncia della sua terza sezione (Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847) che specificava che se il paziente lamentava anche la lesione del diritto alla salute per mancanza del consenso informato, questo doveva dimostrare che, se messo al corrente dei rischi, non si sarebbe sottoposto all’intervento; al riguardo, la Suprema Corte evidenzia come l’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella relativa all’intervento medico, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente (Cass. 16 maggio 2013, n. 11950); in altre parole, la Corte di cassazione distingue nettamente tra il diritto all’autodeterminazione del paziente, al quale si collega il consenso informato e il diritto alla salute che si collega, invece, al trattamento terapeutico; in base a questa distinzione, la Corte afferma che la lesione del primo diritto – quello all’autodeterminazione – si verifica per il solo fatto che il medico compie atti sul paziente senza averne ottenuto il consenso (c.d. danno evento), e dove il danno conseguenza è rappresentato dall’effetto pregiudizievole nella sfera del paziente; sul punto, la Suprema Corte precisa che la sofferenza e la contrazione della libertà di disporre di se stessi sono certamente effetti pregiudizievoli derivanti dal compimento di atti terapeutici senza consenso, tali per cui il paziente deve ritenersi esentato dall’onere di fornire prova specifica, salvo che  voglia far valere conseguenze ulteriori e più gravi, quali, ad esempio, la decisione di non sottoporsi all’intervento o di acquisire pareri e soluzioni alternative (in senso conforme anche Cass. 23 novembre 2015, n. 23204).  In conclusione, il paziente che intenda formulare domanda risarcitoria invocando la violazione del consenso informato, dovrà limitarsi ad allegare l’inadempimento del sanitario, dovendosi ritenere provato sulla base di nozioni di comune esperienza il danno evento nelle forme della sofferenza e della costrizione della libertà.

Per approfondimenti: Pizzimenti, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 3, 436; Cattaneo, Il consenso del paziente al trattamento medico-chirurgico, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, 949; Simone, Consenso informato e onere della prova, in Danno e resp., 2010, 690; Gorgoni, Il diritto alla salute e il diritto all’autodeterminazione nella responsabilità medica, in Obbl. e contr., 2011, 911; Riccio, La violazione dell’autodeterminazione è, dunque, autonomamente risarcibile, in Contr. impr., 2010, 313.