Violazione CEDU e riapertura dei processi: nelle cause civili e amministrative la Corte costituzionale non apre alla revocazione
di Stefano Nicita Scarica in PDFCorte Cost., 26 maggio 2017, n. 123 – Pres. Grossi – Est. Coraggio
Cosa giudicata –Corte Europea Diritti dell’Uomo –Obbligo di conformarsi alle decisioni della Corte EDU –Misure ripristinatorie – Riapertura dei processi – Necessità – Esclusione (Artt. 24, 111, 117 Cost.; artt. 6, 41, 46 CEDU; artt. 395, 396 c.p.c.; art. 106 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104; art. 69, comma 7, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165).
[1] L’obbligo di conformazione alle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha un contenuto variabile: le misure ripristinatorie individuali, diverse dall’indennizzo, sono solo eventuali e vanno adottate esclusivamente laddove siano “necessarie” per dare esecuzione alle sentenze stesse. Non emerge, nelle materie diverse da quella penale (allo stato della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), l’esistenza di un obbligo generale di adottare la misura ripristinatoria della riapertura del processo (con conseguente travolgimento del relativo giudicato civile o amministrativo) e la eventuale decisione di prevederla è rimessa in via prioritaria al legislatore Statale, sulla base di una ponderazione fra il diritto di azione degli interessati (art. 24 Cost.) e il diritto di difesa dei terzi.
Cosa giudicata – Revocazione – Revocazione diretta a ottemperare alle decisioni della Corte EDU – Mancata previsione – Questione di legittimità costituzionale – Inammissibilità (Artt. 24, 111, 117 Cost.; artt. 6, 41, 46 CEDU; artt. 395 e 396 c.p.c.; art. 106 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104; art. 69, comma 7, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165).
[2] E’ inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della L. 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), e degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione.
Cosa giudicata – Revocazione – Revocazione diretta a ottemperare alle decisioni della Corte EDU – Mancata previsione – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza (Artt. 24, 111, 117 Cost.; artt. 6, 41, 46 CEDU; artt. 395 e 396 c.p.c.; art. 106 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104; art. 69, comma 7, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165)
[3] E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, e degli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione.
CASO
[1-3] Dal 1983 al 1997, alcuni medici svolgono funzioni assistenziali presso il Policlinico dell’Università degli studi di Napoli Federico II, sulla base di contratti a termine aventi ad oggetto attività professionale medica remunerata a gettone.
Successivamente, con ricorsi proposti nel 2004, innanzi al TAR Campania, gli stessi chiedono il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro di fatto alle dipendenze dell’Università e del diritto al versamento dei relativi contributi previdenziali.
Il TAR adito accoglie i ricorsi. Al contrario, nel 2007, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in sede di appello, dichiara l’inammissibilità per tardività dei ricorsi, poiché, nelle liti relative al pubblico impiego “privatizzato”, le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto anteriore al 30 giugno 1998 restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000 (cfr. art. 69, comma 7, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165).
Alcuni dei ricorrenti soccombenti nel giudizio di appello ricorrono alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte EDU (con le sentenze Mottola contro Italia e Staibano contro Italia del 4 febbraio 2014) accerta la violazione: (a) dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, relativamente al diritto di accesso a un tribunale, poiché, “anche se tale diritto non è assoluto, potendo in astratto essere condizionato, nel caso di specie era risultato ingiustamente leso nella sua sostanza”; nonché (b) dell’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, per cui: “i ricorrenti erano titolari di un “bene” ai sensi del citato parametro convenzionale, poiché il loro diritto di credito pensionistico aveva una base sufficiente nel diritto interno alla luce della giurisprudenza all’epoca consolidata, e la decisione del Consiglio di Stato aveva svuotato la loro legittima aspettativa al conseguimento di tale bene”.
A questo punto, i soccombenti nel giudizio di appello intraprendono giudizio per la revocazione della sentenza del 2007 del Consiglio di Stato (passata in giudicato).
I ricorrenti chiedono al Consiglio di Stato di “procedere a una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 106 del D.Lgs. n. 104 del 2010 e degli artt. 395 e 396 c.p.c., ovvero, in subordine, di sollevare questione di legittimità costituzionale di tali articoli, per violazione degli artt. 24, 111 e 117, primo comma, Cost.”
Nel giudizio di revocazione si costituiscono quali terzi controinteressati l’I.N.P.S. e l’Università di Napoli Federico II eccependo l’inammissibilità del ricorso, non vertendosi in alcuno dei casi di revocazione previsti dalla legge, e lamentando che il giudicato non può essere travolto da una sentenza della Corte EDU.
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza del 2015, solleva, in riferimento agli artt. 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione (in relazione all’art. 46, paragrafo 1 CEDU), questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e degli artt. 395 e 396 c.p.c., “nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1, della CEDU, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte EDU”.
SOLUZIONE
[1-3] La Corte Costituzionale si pronuncia in senso negativo, come riportato in massima.
Decisive per la pronuncia sono le esigenze di tutela dei soggetti diversi dallo Stato che hanno preso parte al giudizio interno civile o amministrativo, spettando al legislatore regolare le condizioni per proporre revocazione in tali casi.
E’ noto, invece, che riguardo ai processi penali Corte cost., 25 novembre 2011, n. 113 (c.d. caso Dorigo) aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte EDU (Per una disamina riassuntiva del caso Dorigo cfr.: Lonati, La Corte Costituzionale individua lo strumento per dare attuazione alle sentenze della Corte Europea: un nuovo caso di revisione per vizi processuali, Dir. Pen. Contemp., www.penalecontemporaneo.it, 2011; Corbetta, Revisione del processo se il processo non è stato “equo”, Quotidiano del Diritto, www.quotidianodeldiritto.it, 2011; Canzio, Kastoris, Ruggeri, Giudicato “Europeo” e Giudicato penale italiano: la svolta della Corte Costituzionale, Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, www.rivistaaic.it, 2011. Invece, sulle fasi precedenti dell’iter giurisprudenziale del caso Dorigo: Cfr. Cass., 1° dicembre 2006, n. 2800, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, con nota di Lonati, Il caso «Dorigo»: un altro tentativo della giurisprudenza di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo in attesa di un (auspicato) intervento legislativo).
QUESTIONI
[1-3] Nucleo concettuale della pronuncia in esame è costituito dalla “tensione tra le norme interne che disciplinano la revocazione della sentenza passata in giudicato e l’obbligo assunto dall’Italia di conformarsi alle decisioni della Corte di Strasburgo (art. 46 CEDU)”. Obbligo, quest’ultimo, che deve essere contemperato con la tutela dei soggetti terzi, diversi dallo Stato, che hanno preso parte al giudizio interno civile o amministrativo, ma non sono necessari contraddittori nel processo avanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
In termini sistematici, infatti, la decisione scaturisce dal confronto di due principi generali.
Da una parte c’è il diritto costituzionale (artt. 24 e 111 Cost.) e riconosciuto dalla Convenzione EDU di poter accedere alla cognizione di un giudice statuale precostituito per legge (art. 6, paragrafo 1 CEDU). Da altra parte, c’è il principio di intangibilità del giudicato che tutela interessi delle parti e dei terzi aventi causa (desumibile dal combinato disposto degli artt. 24 e 111 Cost. e dall’art. 2909. c.c.). In effetti, la certezza delle situazioni giuridiche derivante dal giudicato civile è un valore costituzionalmente protetto che giustifica la tassatività dei casi di revocazione.
Orbene, la Corte Costituzionale ha indagato sulla possibilità di estendere, solo per coloro che hanno adito vittoriosamente la Corte EDU, il rimedio della “riapertura” anche ai processi diversi da quelli penali. In particolare, la Consulta si è soffermata su alcuni arresti della giurisprudenza della Corte EDU, seguendo un serrato iter argomentativo in relazione dell’art. 117 Cost.:
(I) La Corte EDU (Corte EDU, Grande Camera, 13 luglio 2000, Scozzari e Giunta contro Italia) ha stabilito che: ” l’obbligo di conformazione alle proprie sentenze implichi, anche cumulativamente, a carico dello Stato condannato: 1) il pagamento dell’equa soddisfazione, ove attribuita dalla Corte ai sensi dell’art. 41 della CEDU; 2) l’adozione, se del caso, di misure individuali necessarie all’eliminazione delle conseguenze della violazione accertata; 3) l’introduzione di misure generali volte a far cessare la violazione derivante da un atto normativo o da prassi amministrative o giurisprudenziali e ad evitare violazioni future” (da ultimo, cfr. Corte EDU, 14 febbraio 2017, S.K. contro Russia, paragrafo 132).
(II) Se è pur vero che le misure individuali consistono nella c.d. restitutio in integrum (Corte EDU, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, paragrafo 151; Corte EDU, Grande Camera, 12 marzo 2014, Kuric e altri contro Slovenia, paragrafo 79), d’altra parte, la Corte EDU ha più volte statuito che “non spetti ad essa indicare le misure atte a concretizzare la restitutio in integrum o le misure generali necessarie a porre fine alla violazione convenzionale, restando gli Stati liberi di scegliere i mezzi per l’adempimento di tale obbligo, purché compatibili con le conclusioni contenute nelle sue sentenze” (per tutte, Corte EDU, Grande Camera, 5 febbraio 2015, Bochan contro Ucraina, paragrafo 57), ed ha invece indicato il tipo di misure da adottare solo in taluni casi eccezionali (cfr. Corte EDU, 30 ottobre 2014, Davydov contro Russia, paragrafo 27; Corte EDU, 9 gennaio 2013, Oleksandr Volkov contro Ucraina, paragrafo 195).
In particolare, nel caso di violazione delle norme sul giusto processo (art. 6 della CEDU), la Corte EDU ha anche ritenuto che la riapertura del processo o il riesame del caso rappresentano, in linea di principio, il mezzo più appropriato per operare la restitutio in integrum, (Corte EDU, 20 settembre 2016, Karelin contro Russia, paragrafo 97), senza però indebitamente stravolgere i princìpi della res iudicata o la certezza del diritto nel contenzioso civile, in particolare quando tale contenzioso riguarda terzi con i propri legittimi interessi da tutelare (Corte EDU, Grande Camera, 5 febbraio 2015, Bochan contro Ucraina, paragrafo 58).
(III) L’indicazione della Corte EDU circa l’obbligatorietà della riapertura del processo, quale misura atta a garantire la restitutio in integrum, è presente esclusivamente in sentenze rese nei confronti di Stati i cui ordinamenti interni già prevedono, in caso di violazione delle norme convenzionali, strumenti di revisione delle sentenze passate in giudicato (Corte EDU, 22 novembre 2016, Artemenko contro Russia, paragrafo 34; 26 aprile 2016, Kardoš contro Croazia, paragrafo 67).
(IV) La Raccomandazione R(2000)2 del 19 gennaio 2000 del Comitato dei Ministri CEDU (pur non vincolante), indica come: (a) l’obbligo conformativo può «in certe circostanze» ricomprendere misure individuali diverse dall’equo indennizzo; (b) «in circostanze eccezionali» il riesame del caso o la riapertura dei processi si è dimostrata la misura più adeguata, se non l’unica, per raggiungere la restitutio in integrum; (c) infine, quest’ultima appare indicata laddove «la parte continui a soffrire conseguenze negative molto serie a causa della decisione interna, che non possono essere adeguatamente rimosse attraverso l’equa soddisfazione».
In conclusione, dalla giurisprudenza della Corte EDU e dalla Raccomandazione, nel rispetto dei canoni del contraddittorio e dell’intangibilità del giudicato, la Consulta ricava i principi richiamati nella massima in oggetto.
In chiusura, la Consulta giunge, persino, ad auspicare “una sistematica apertura del processo convenzionale ai terzi (per mutamento delle fonti convenzionali o in forza di una loro interpretazione adeguatrice da parte della Corte EDU)” che renderebbe più agevole l’opera del legislatore nazionale.
A questo punto, va però dato conto che la decisione in commento ha già suscitato un ampio dibattito tra gli interpreti (per tutti v.: Conti, L’esecuzione delle sentenze della Corte edu nei processi non penali dopo Corte cost. n.123 del 2017, in Consulta online, 2017; Trapuzzano, Conformazione alla Corte Edu: non è un caso di revocazione delle sentenze civili o amministrative, Quotidiano del Diritto, www.quotidianodeldiritto.it, 2017; v. anche la nota redazionale La Corte costituzionale non amplia i casi di revocazione in presenza di un giudicato amministrativo contrastante con una sopravvenuta sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in www.giustizia-amministrativa.it, 2017. Inoltre, per un esauriente commento dell’ordinanza di rinvio alla Corte Cost. da parte dell’Ad. Plen. del C.St., n.2 del 2015, cfr.: Grillo, Un nuovo motivo di revocazione straordinaria del giudicato amministrativo per dare esecuzione alle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?, Dir. Proc. Amm., 2017, 194, che tra l’altro, ipotizza, come rimedio generale praticabile, l’utilizzo dell’istituto della rimessione in termini, ex art. 37 c.p.a, per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto) che si è innestato nel solco dei molteplici interventi dottrinali pregressi (Patrito, Se sia ammissibile l’impugnativa per revocazione delle sentenze del Consiglio di Stato per contrasto con decisione sopravvenuta della Corte Edu, Giur. It., 2015, 2710; Vitale, Revocazione del giudicato civile e amministrativo per violazione della CEDU? Il Consiglio di Stato porta la questione alla Corte costituzionale, in Corr. giur., 2015, 11, 1427; Ubertis, La revisione successiva a condanne della Corte di Strasburgo, in Giurisprudenza Costituzione, in Giur. Cost., 2011, 1542; Cozzi, L’impatto delle Sentenze della Corte di Strasburgo sulle situazioni giuridiche interne definite da sentenze passate in giudicato: la configurabilità di un obbligo di riapertura o di revisione del processo, in L’incidenza del diritto comunitario e della Cedu sugli atti nazionali definitivi, a cura di Spitaleri, Milano, 2009, 159).
La pronuncia della Consulta è stata sottoposta a critica da parte di chi ha considerato la decisione come un arresto rispetto al progresso giurisprudenziale costituzionale precedente (che aveva già portato all’ampliamento dei casi di revisione in sede penale): a partire dal caso Dorigo, scandito da una prima pronuncia, Corte cost. 30 aprile 2008, n. 129, che dichiarò infondata la questione di legittimità costituzionale, e dalla svolta poi impressa da Corte cost., 25 novembre 2011, n. 113; fino alle recenti Corte cost. 26 marzo 2015, n. 49 (in tema di confisca urbanistica, nella quale si legge che il giudice interno: “non potrà negare di dar corso alla decisione promanante dalla Corte di Strasburgo, che abbia definito la causa di cui tale giudice torna ad occuparsi, quando necessario perché cessino, doverosamente, gli effetti lesivi della violazione accertata”) e Corte cost., 20 luglio 2016, n. 193, in tema di sanzioni amministrative (cfr., tra i molti: Conti, La Cedu assediata? (osservazioni a Corte cost. sent. n. 49/2015), in www.giurcost.org, 2015; Viganò, La Consulta e la tela di Penelope. Osservazioni a primissima lettura su Corte cost., sent. 26 marzo 2015, n. 49, Pres. Criscuolo, Red. Lattanzi, in materia di confisca di terreni abusivamente lottizzati e proscioglimento per prescrizione, in www.penalecontemporaneo.it, 2015).
In particolare, poi, certa dottrina (cfr. per tutti: Conti, op.cit., 2017) ha ritenuto poco incisivi gli argomenti addotti nella sentenza in esame in merito alla garanzia del contraddittorio – e alla connessa esigenza di tutelare le parti del processo a quo che sono però terzi in quello davanti alla Corte EDU – in quanto la Corte EDU, comunque, si pronuncia, in via di principio, su vicende già definite a livello interno con decisione irrevocabile e maturata a seguito di un “giusto processo” (sul punto, la dottrina si era già espressa per tempo, cfr.: LUPO, La vincolatività delle sentenze della Corte europea per il giudice interno e la svolta recente della Cassazione civile e penale, in Cass. pen., 2007, 2247; DI CARIA, Il bivio dopo Strasburgo: tutela effettiva o vittoria morale? l’obbligo per gli stati di «conformarsi alle sentenze definitive della corte» edu nella prospettiva italiana, in Giur. cost., 2009, 2191).
Per di più, anche l’affermazione contenuta nella pronuncia della Consulta, secondo cui la richiesta di “riapertura” dei processi non penali può essere rivolta solo a Paesi nei quali essa sia già prevista per legge nel caso di violazione di norme convenzionali, pare smentita da altre sentenze della Corte EDU in cui l’invito alla “riapertura” del processo è stato rivolto proprio a Paesi privi di tale rimedio (cfr., ancora in Conti, op. cit., 2017: Corte EDU, Tence c. Slovenia, 31 maggio 2016; Corte EDU, Perak c. Slovenia, 1 marzo 2016).
Allo stato, in conclusione, la questione è tutt’altro che chiusa e di certo non mancherà di alimentare ancora il dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Va rammentato, per altro, che è ancora pendente, innanzi alla Corte Costituzionale, la questione rimessa dalla IV sezione del Consiglio di Stato, Ordinanza 17 novembre 2016, n. 4765, che ha per oggetto la domanda di alcuni magistrati di vedersi riconosciuto il c.d. allineamento stipendiale. Nell’Ordinanza, la IV sez. del Cons. di Stato riprende anche argomenti della Corte EDU nei casi Mottola e Staibano c. Italia, qui in esame. Sul punto, cfr. ancora Grillo, op. cit.