Sulla vincolatività del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione
di Michele Ciccarè Scarica in PDFCass., Sez. I, 13 giugno 2016, n. 12119
Ricorso per cassazione – Cassazione con rinvio – Enunciazione principio di diritto – Giudizio di rinvio – Potere del giudice di discostarsi dal principio di diritto per mutato orientamento di legittimità sulla medesima questione – Esclusione (C.p.c. artt. 383, 384, co. 2, 394)
[1] L’enunciazione del principio di diritto ex art. 384 c.p.c. vincola il giudice di rinvio anche qualora siano successivamente intervenuti mutamenti nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla medesima questione.
CASO
[1] La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso proposto, cassava con rinvio la sentenza di secondo grado impugnata, con enunciazione ex art. 384 c.p.c. del principio di diritto, al quale avrebbe dovuto uniformarsi il giudice del rinvio.
In particolare, la questione di diritto controversa riguardava la prededucibilità o meno, ex art. 111 l. fall., dei crediti maturati da alcuni professionisti nell’ambito di una procedura di amministrazione controllata.
Il giudice del rinvio, applicando al caso di specie lo specifico principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, negava la prededuzione di siffatti crediti.
I professionisti impugnavano per cassazione la sentenza di rinvio, lamentando – fra l’altro – un mutamento dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte rigetta il ricorso proposto, in quanto «a norma dell’art. 384 c.p.c., l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicché anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte».
QUESTIONI
[1] La sentenza applica al caso de quo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (conformi Cass., 17 marzo 2014, n. 6086; Cass., 3 settembre 2013, n. 20128; Cass., 2 agosto 2012, n. 13873; Cass., 7 maggio 2009, n. 496; Cass., 9 luglio 2008, n. 18824; Cass., 24 maggio 2007, n. 12095; Cass. 31 luglio 2006, n. 12095; Cass., 28 maggio 2003, n. 8485; Cass., 24 luglio 2001 n. 10037; Cass., 13 maggio 1995 n. 5249).
Concorde anche la giurisprudenza di merito, la quale ha confermato tale indirizzo nell’ipotesi di mutamento interpretativo conseguito all’intervento nomofilattico delle sezioni unite (così App. Genova, 28 giugno 1984, in Foro pad., 1984, I, 220).
Infatti, il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte ex art. 384 c.p.c., oltre ad assumere – in generale – forza certamente persuasiva, costituisce – in concreto – la regola iuris per la decisione della fattispecie specificamente dedotta in giudizio, cui il giudice di rinvio deve attenersi (in dottrina cfr. Fazzalari, Il processo ordinario di cognizione, II, Torino, 1990, 316 ss.; Ricci E.F., Il giudizio civile di rinvio, Milano, 1967, 140 ss.).
Tuttavia, il giudice del rinvio non rimane sempre vincolato al principio di diritto enunciato: la giurisprudenza di legittimità ha infatti precisato che in determinate ipotesi egli possa prescinderne.
Nello specifico, tali eccezioni sono costituite:
- dallo ius superveniens, cioè quando la disposizione oggetto d’interpretazione sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita, ovvero quando essa sia stata dichiarata incostituzionale dopo l’emanazione della pronuncia rescindente (Cass., 2 ottobre 2014, n. 20821; Cass., 21 agosto 2004, n. 16518, Cass., 3 luglio 1998, n. 6548);
- dalla successiva emanazione di una norma d’interpretazione autentica di senso contrario (Cass., 27 settembre 2002, n. 14022);
- c) dalla sopravvenienza di un fatto – estintivo o modificativo – del diritto dedotto in giudizio, se esso è tale da porsi oltre il perimetro applicativo del decisum della Suprema Corte (Cass., 24 luglio 2001, n. 10037).