Via libera al sequestro preventivo ed alla confisca delle quote della società anche laddove il reato presupposto della responsabilità amministrativa abbia natura associativa
di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDFCassazione penale., Sez. III, Sentenza n. 47810 del 19 dicembre 2022
Parole chiave: Società – Società cooperativa agricola – Sequestro di beni mobili e immobili in materia penale – Responsabilità amministrativa – Reati di associazione a delinquere
Massima: “È legittimo il sequestro di quote di una società cooperativa agricola, alla quale siano stati addebitati gli illeciti amministrativi ex artt. 25 bis, c. 1, lett. a) e 24 ter, c. 2, D.Lgs. 231/2001, in relazione a reati di associazione a delinquere “allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti contro l’economia pubblica, ovvero di frodi nell’esercizio del commercio di uve mosti e vini, contraffazione di indicazioni geografiche e denominazioni di origine”.
Disposizioni applicate: art. 34 D.Lgs. n.231/2001, art. 325 c.p.p.
Nel caso di specie, il presidente del consiglio di amministrazione ed il consigliere di una società cooperativa agricola, agendo in qualità di mediatori di prodotti vitivinicoli sono stati indagati, insieme ad altri individui, per essersi associati allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti contro l’economia pubblica, ovvero di frodi nell’esercizio del commercio di uve mosti e vini, contraffazione di indicazioni geografiche e denominazioni di origine.
Mettendo a punto un complesso meccanismo, gli indagati avrebbero infatti (i) creato enormi volumi fittizi di vini, (ii) prodotto e commercializzato vino e mosto ottenuti mediante tipologie di uva diverse da quelle indicate, con creazione di masse di vino generico poi vendute come vino di qualità, ovvero attraverso l’utilizzazione di mosto concentrato rettificato oltre i limiti consentiti o di prodotti correttivi vietati dalle norme di settore, (iii) emettendo ed utilizzando fatture per operazioni inesistenti e (iv) falsificando registri e altri documenti.
Nell’ambito della contestazione alla società cooperativa agricola dell’illecito di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, comma 1, lett. a), artt. 9 e 10, art. 25 bis, comma 1, lett. a) (falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento), art. 24 ter, comma 2 (delitti di criminalità organizzata), in relazione ai reati di cui agli artt. 81, comma 2 (concorso formale, reato continuato), 110, 515 (frode nell’esercizio del commercio), 517 (vendita di prodotti industriali con segni mendaci), 517 quater (contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari) e 416 (associazione per delinquere) c.p., per i fatti penalmente rilevanti commessi nel suo interesse o vantaggio da persone aventi posizioni di amministrazione e rappresentanza e in assenza delle cause di esclusione di responsabilità di cui gli artt. 5 e 6 dello stesso D.Lgs., il Gip ha emesso un decreto di sequestro preventivo in relazione alle quote sociali.
Il presidente del consiglio di amministrazione ed il consigliere della società cooperativa hanno proposto istanza di riesame avverso il suddetto decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, poi respinta con ordinanza del Tribunale di prime cure, poi oggetto di un ricorso in cassazione da parte loro.
Dinanzi alla Corte di Cassazione, il presidente del consiglio di amministrazione ed il consigliere della società cooperativa hanno, in particolare, sollevato contestazioni in relazione:
- alla riconducibilità di quanto confiscato al profitto del reato;
- al fatto che il sequestro finalizzato alla confisca non poteva essere supportato dal reato associativo e
- alla presunta violazione di legge ed alla mancanza di motivazione quanto alla scelta dell’oggetto del sequestro, rivolto prioritariamente alla società e poi ai soci.
Sul tema della riconducibilità di quanto confiscato al profitto del reato, la Corte ha sottolineato che, trattandosi di confisca per equivalente, non esiste, per definizione, alcun rapporto tra il profitto e quanto confiscato.
Per quanto riguarda invece il fatto che il sequestro finalizzato alla confisca non potrebbe essere supportato dal reato associativo (il quale di per sé è solo uno strumento per la commissione di reati che possono potenzialmente portare ad un profitto, mentre la contraffazione è anch’essa improduttiva di profitto. La Corte ha sottolineato come il Tribunale di prime cure avesse giustamente individuato il profitto attraverso la stima dei corrispettivi conseguiti dalle vendite dei vini ceduti in frode e quindi, sulla base della differenza tra quanto incassato dalla vendita fraudolenta e quanto invece la società cooperativa avrebbe potuto incassare se fosse stato dato corso alla commercializzazione di analoghi quantitativi come vini da tavola comuni, come avrebbe dovuto.
Per disattendere la doglianza relativa alla presunta violazione di legge ed alla mancanza di motivazione quanto alla scelta dell’oggetto del sequestro, rivolto prioritariamente alla società e poi ai soci, gli ermellini hanno sottolineato che il sequestro è stato operato in prima battuta nei confronti della società e solo successivamente nei confronti dei soci, in maniera del tutto legittima, ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. n. 231/2001.
Alla luce di tutto quanto precede, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e la Corte ha confermato la legittimità del sequestro preventivo e della confisca delle quote della società anche laddove il reato presupposto della responsabilità amministrativa abbia natura associativa.
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