Verifica sul campo per la fallibilità della società agricola
di Redazione Scarica in PDFLa Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17343 del 13 luglio 2017, è tornata a occuparsi della fallibilità o meno delle imprese agricole consolidando, nelle proprie conclusioni, quel filone giuridico per il quale è necessario procedere a una disamina della fattispecie concreta e non limitarsi al mero dato letterale.
La problematica si è indubbiamente alimentata a decorrere dalla riforma del settore agricolo, attuata a mezzo della L. 57/2001 da cui, come noto, sono scaturiti 3 decreti legislativi, tra cui il 228/2001 il cui articolo 2 è intervenuto, seppur implicitamente, sul cosiddetto statuto speciale previsto per l’imprenditore agricolo e disciplinato dall’articolo 2136 e ss. cod. civ..
A questo deve aggiungersi l’integrale riscrittura dell’articolo 2135, cod. civ. a mezzo dell’articolo 1, D.Lgs. 228/2001 con l’introduzione di una figura di imprenditore agricolo moderna, non più obbligatoriamente ancorata al fondo, bensì soggetto dinamico che può svolgere anche solo una frazione del ciclo biologico, a condizione che sia rilevante.
Nei fatti, si è assistito nel tempo, anche in ragione di una riscrittura delle attività connesse, che si ricorda sono quelle attività che nascono come commerciali ma che per effetto di una fictio iuris si considerano quali connesse a quelle agricole ex se, quale categoria aperta e quindi ampliabile, a un sempre maggior avvicinamento, se non sovrapposizione della figura dell’imprenditore agricolo a quella dell’imprenditore commerciale.
Questa evoluzione dell’imprenditore agricolo ha, tuttavia, comportato, l’affermarsi di soggetti che nella realtà non svolgono più attività agricola ma commerciale.
Ne deriva che spesso in giurisprudenza si è discusso in merito alla fallibilità dell’imprenditore agricolo.
Sul punto, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24995/2010 è tranchant nell’affermare come “… tale maggiore ampiezza (di attività esercitabili dall’imprenditore agricolo n.d.A.), proprio in quanto riconducibile a criteri diversi da quelli rispetto ai quali era stata riconosciuta la specialità dell’impresa agricola, può legittimare riserve (peraltro specificatamente sollevate da parte della dottrina) in ordine all’affermata assoggettabilità al fallimento del solo imprenditore commerciale (L. Fall., art.1). Tuttavia i recenti interventi del legislatore aventi ad oggetto la disciplina delle procedure concorsuali (L, n. 80 del 2005, L. n. 5 del 2006, L. n. 169 del 2007) non hanno operato sul punto alcuna modifica, sicché nella specie un giudizio in ordine all’esistenza o meno dei presupposti indicati dall’art.2135 c.c. rileva ai fini della decisione sulla fallibilità dell’imprenditore agricolo”.
Preso atto che allo stato attuale l’imprenditore agricolo non è un soggetto fallibile, con la sentenza n. 17343 richiamata in premessa, la Suprema Corte ha modo di precisa come, non sia fallibile anche il soggetto che virtualmente prevede l’esercizio di attività squisitamente commerciali ma che nei fatti non le esercita.
Nello specifico, il caso riguardava una Srl società agricola, esercente l’attività di allevamento di animali, che nell’oggetto sociale prevedeva anche l’attività di compravendita di immobili, ed è proprio su questo dato letterale che i giudici avevano statuito la fallibilità della società in quanto esercente attività commerciale.
La sentenza, al contrario, evidenzia come solamente un’indagine concreta, che prescinde dallo stesso veicolo societario prescelto, delle attività effettivamente svolte consente di azionare o meno l’infallibilità.
In tal senso del resto si è già espressa la Cassazione con la sentenza n. 9788/2016 in cui i Supremi giudici affermano come “ai fini dell’esenzione dal fallimento di una cooperativa avente ad oggetto attività agricole, è dovere del giudice, oltre che verificarne le clausole statutarie ed il loro tenore, esaminare anche in concreto l’atteggiarsi dell’attività di impresa svolta dal sodalizio mutualisitico, valutando le attività economiche dalla stessa effettivamente svolte, alla luce della disciplina introdotta dall’art.1 del d.lgs. n. 228 del 2001,senza che su tale esame si sovrapponga la considerazione dell’effettività dello scopo mutualistico rilevante a diversi fini, ma non assorbente della verifica dei presupposti di legge, previsti dall’art. 2135 c.c., per il riconoscimento (o l’esclusione) della qualità di impresa agricola esentata dal fallimento”.
Nel caso di specie, semmai, la società non aveva i requisiti per essere considerata società agricola ex D.Lgs. 99/2004 in quanto l’oggetto sociale non prevedeva, come richiesto dalla norma, l’esercizio esclusivo delle attività di cui all’articolo 2135, cod. civ., ma questo incide esclusivamente da un punto di vista fiscale in quanto, in questo caso, vengono meno le agevolazioni in materia di imposte sia dirette sia indirette.
A chiusura si rileva come correttamente i giudici precisino che non costituisce attività commerciale, se esercitata da parte di imprese agricole, la compravendita immobiliare di terreni, a condizione, ovviamente, che la stessa sia funzionale a un’ordinaria operazione incrementativa o sostitutiva dell’elemento terra. Se così non fosse si attuerebbe un’ingiustificata limitazione della marginalità contrattuale ed economica dell’impresa, di fatto controllandone la possibilità espansiva e la stessa libertà imprenditoriale.
Articolo tratto da “Euroconferencenews“
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