27 Aprile 2021

Usucapione di bene ereditario da parte di uno dei coeredi

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sez. 2, ordinanza n. 9359 del 08 aprile 2021  

Possesso – Effetti – Usucapione – Comunione ereditaria – Usucapione da parte del coerede della quota degli altri eredi – Ammissibilità – Condizioni – Mutamento del compossesso in possesso esclusivo – Necessità – Fattispecie

Il coerede che, dopo la morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, però, egli, che già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus“, risultando a tal fine insufficiente l’astensione degli altri partecipanti dall’uso della cosa comune[1].

Disposizioni applicate

Articoli 714, 1140, 1141, 1146, 1158, 1164 e 1102, comma 2, cod. civ

[1] Tizio conveniva in giudizio le proprie parenti domandando che venisse accertato in suo favore l’intervenuto acquisto per usucapione dell’intera proprietà di un immobile, di cui l’attore e le convenute erano comproprietari pro indiviso e iure hereditario, ma sul quale, a giudizio dell’attore stesso, egli esercitava da oltre un ventennio il possesso in via esclusiva.

Le convenute si costituivano nel giudizio di primo grado chiedendo il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, di accertare l’illegittima occupazione dell’immobile da parte dell’attore e la sua condanna al pagamento dell’indennità dovuta per l’occupazione abusiva.

Il Tribunale adito rigettava sia la domanda dell’attore che quella riconvenzionale delle convenute.

Tizio impugnava la sentenza e la Corte di Appello accoglieva il gravame, dichiarandolo “esclusivo proprietario, per intervenuta usucapione, dell’appartamento”.

[2] La cugina e la zia di Tizio hanno proposto ricorso in Cassazione, articolandolo su tre motivi, strettamente connessi tra loro; l’attenzione del presente contributo verrà focalizzata sugli ultimi due

Il secondo motivo, in particolare, contestava la valutazione che il Giudice di secondo grado ha fatto in ordine alla mancata disponibilità delle chiavi dell’appartamento in capo alle ricorrenti, ritenendola elemento sufficiente ai fini della sussistenza dell’animus excludendi.

Con il terzo si è rilevato come la Corte d’appello abbia erroneamente affermato che il possesso esercitato da Tizio non poteva essere conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte degli altri compossessori, non solo perché ciò doveva essere provato da questi ultimi, ma anche perché l’uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la tolleranza.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati i motivi ed ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

[3] La pronuncia in oggetto ha costituito l’occasione per ribadire e chiarire la posizione, che può dirsi costante nella giurisprudenza di legittimità, in ordine alla usucapibilità di un bene in comunione ereditaria da parte di uno dei coeredi.

Nel proprio percorso argomentativo, la Suprema Corte – al fine di evidenziare come il fatto che le comproprietarie non fossero nella disponibilità delle chiavi dell’appartamento in oggetto non potesse essere ritenuto elemento di per sé sufficiente ad attestare il possesso necessario per l’acquisto per usucapione della proprietà del bene – ricorda come sia vero che “il coerede che, a seguito della morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso[2]. Precisa, però, che a tal fine “egli, che già possiede animo proprio e a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus[3], non essendo sufficiente l’astensione degli altri partecipanti dall’uso della cosa comune“.

Gli ermellini evidenziano pertanto come il fatto che Tizio – che già abitava con il padre l’appartamento e quindi aveva le chiavi del medesimo – abbia continuato ad essere il solo ad averne la disponibilità non indicasse, di per sé, il possesso esclusivo dell’immobile.

Diverso valore, potrebbe avere la sostituzione di una serratura della quale tutti i coeredi avessero la chiave. In tale ipotesi sarebbe, in ogni caso, necessario provare che tale sostituzione sia stata compiuta al fine d’escludere i coeredi dal possesso.[4]

In ultimo, la Corte di Cassazione esamina la circostanza della tolleranza da parte degli altri compossessori all’utilizzo esclusivo del bene da parte di Tizio. Viene, a tal proposito richiamata la giurisprudenza anteriore, a giudizio della quale “in tema di usucapione, per stabilire se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l’altrui tolleranza e sia quindi inidonea all’acquisto del possesso, la lunga durata dell’attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell’esclusione della tolleranza qualora non si tratti di rapporti di parentela, ma di rapporti di mera amicizia o buon vicinato, giacché nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile, a differenza dei primi, il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo“.[5] Pur tuttavia, evidenziano i Giudici come il riferimento alla tolleranza operato dalla Corte d’Appello non fosse conferente nel caso di specie, ove Tizio, essendo coerede, era già possessore e ciò che doveva provarsi era l’esercizio esclusivo – nel senso di esclusione del compossesso dei coeredi – del dominio sulla res comune.

[4] La posizione della Giurisprudenza di legittimità appare, dunque, univoca e consolidata nel ritenere necessaria l’individuazione dell’elemento soggettivo ai fini dell’usucapione di un bene ereditario da parte di uno dei coeredi: deve provarsi l’esistenza di una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus.

Non può tuttavia, al riguardo, ignorarsi la diversa opinione di parte della dottrina, a giudizio della quale dovrebbe escludersi rilevanza all’animus possidendi.[6]

Tale teoria si fonda sull’interpretazione dell’articolo 714 cod. civ., ove non si rinviene alcun riferimento all’elemento soggettivo. Bisognerebbe, pertanto, aversi riguardo esclusivamente alle caratteristiche oggettive del rapporto che il soggetto ha con il bene; rapporto che deve esser tale da escludere gli atri coeredi dalla possibilità di godere del bene stesso. “L’esame del giudice di merito per l’accertamento della esclusività del possesso non deve quindi indirizzarsi all'(incerto) elemento soggettivo del possessore ma alle circostanze oggettive sopra descritte”.[7]

[1] Nella specie la Suprema Corte, riformando la pronuncia di merito, ha escluso che possa costituire prova dell’usucapione di un appartamento la circostanza che il coerede, che già vi abitava con il padre, abbia continuato, dopo la morte di questi, ad essere l’unico ad averne la disponibilità.

[2] È la stessa pronuncia in commento a richiamare Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 966 del 16/01/2019, nelle cui motivazioni, testualmente si afferma: “Diversamente da quanto assume il ricorrente, la Corte d’appello non ha fondato la decisione sul rilievo che non vi fosse prova di atti di interversione del possesso – che non sono richiesti ai fini dell’usucapione di beni ereditari -, bensì sul rilievo che non fosse provato il possesso ad excludendum, vale a dire una situazione nella quale il rapporto materiale del coerede con i beni ereditari sia tale da escludere gli altri coeredi dalla possibilità di analogo rapporto.

La decisione in diritto è conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo la quale il coerede che dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus. A tale riguardo non è univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato anche nell’interesse anche degli altri coeredi”.

[3] In tal senso si vedano, altresì: Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 10734 del 04/05/2018: “Non è, al riguardo, univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione “iuris tantum” che abbia agito nella qualità e operato anche nell’interesse degli altri, nonché Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 7221 del 25/03/2009: “Il coerede che dopo la morte del “de cuius” sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune”..

[4] Così Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 1370 del 18/02/1999: “per tale ipotesi, devesi, comunque, provare che l’azione sia stata voluta e manifestata al fine d’escludere il compossesso dei coeredi e non piuttosto a fini d’ordinaria manutenzione o di migliore preservazione dell’immobile e di quanto in esso contenuto“.

Sulle circostanze che possano dimostrare od escludere il possesso esclusivo di uno dei coeredi, si vedano anche:

– Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 22444 del 09/09/2019, la quale ha ritenuto non fosse stata data prova del possesso esclusivo e che i coeredi fossero compossessori e non detentori del bene ereditario: “(…) conferma del compossesso veniva ravvisata dalla gestione dei beni ereditari per conto degli altri fratelli, e, in particolare, nella richiesta di contributo per la ristrutturazione dell’immobile, anche per conto dei coeredi, nonché nell’indicazione della loro qualità di comproprietari contenuta nella sua denuncia di successione, in tal modo dimostrando di utilizzare ed amministrare il bene comune nell’interesse di altri, con il loro consenso tacito.

Il godimento dei beni ereditari non era, quindi, avvenuto uti dominus, ma con il consenso degli altri coeredi, che avevano delegato la gestione e l’amministrazione dei numerosi beni ereditari”;

– Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 12260 del 20/08/2002: “Qualora (…) il comproprietario – coerede sia stato, a seguito di amichevole divisione del compendio ereditario, immesso nel possesso di un bene in assenza di un contestuale atto di mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, egli prende, per tale via, a possedere (anche ai fini dell’usucapione) pubblicamente ed a titolo esclusivo il bene assegnatogli “de facto”, senza che sia necessaria una formale interversione del titolo del possesso o un’interversione di fatto, una mutazione, cioè, negli atti di estrinsecazione del possesso medesimo tale da escluderne un pari godimento da parte degli altri coeredi”.

[5] Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 11277 del 29/05/2015

[6] S. PATTI, “L’usucapione del coerede”, in Famiglia, persone e successioni, n. 10/2008, pagg. 815 ss.; nonché in Contratto di divisione e autonomia privata – Atti del Convegno tenutosi a Santa Margherita di Pula il 30-31 maggio 2008 – Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato n. 4/2008, pagg. 125 ss.

[7] Così S. PATTI, op. cit.

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