6 Luglio 2021

In un condominio “orizzontale” costituito da più unità autonome, il tetto avente esclusiva funzione di copertura di una sola unità non può considerarsi parte comune ex art. 1117 c.c.

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione Civile, sez. II, Ord. 20 aprile 2021 n. 10370. Presidente Di Virgilio, Relatore Scarpa

“In tema di edificio costituito da più unità immobiliari autonome, la comproprietà di una o più cose, non incluse tra quelle elencate nell’art. 1117 c.c. (quale, nella specie, un tetto avente funzione di copertura di una sola delle unità immobiliari compresa in un condominio orizzontale), può essere attribuita a tutti i condomini quale effetto dell’acquisto individuale operato con i rispettivi atti di una quota di tale bene, oppure in forza di un contratto costitutivo di comunione, ai sensi degli artt. 1350, n. 3, e 2643, n. 3, c.c., recante l’inequivoca manifestazione del consenso unanime dei condomini, espressa della forma scritta essenziale, alla nuova situazione di contitolarità degli immobili individuati nella loro consistenza e localizzazione”.

CASO

La Corte d’appello di Milano accoglieva il gravame avanzato dai due condomini Maria e società s.a.s. contro la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Milano sulle domande (proposte separatamente e poi riunite) di impugnazione di una delibera assembleare condominiale risalente al 2010 e di restituzione delle somme anticipate dalle parti attrici (i medesimi condomini Maria e società s.a.s.) pari ad oltre 67.500,00 euro per l’intervento di rimozione e sostituzione della copertura in amianto del tetto sovrastante la porzione immobiliare di proprietà esclusiva della società s.a.s.

La Corte d’appello considerava vincolante la clausola 1 del regolamento condominiale “contrattuale” inserito nei titoli di acquisto delle singole porzioni. Tale clausola specificava che “costituiscono proprietà comune…le fondazioni, la scala, le strutture portanti dell’edificio…, le coperture…”. Nel caso di specie si trattava di “condominio orizzontale”, ovverosia di una serie di immobili a sé stanti inseriti in un unico complesso immobiliare. La sentenza di secondo grado qualificava il tetto sovrastante l’immobile di proprietà della società s.a.s., in virtù del regolamento condominiale, come “parte comune”, senza che potesse in tal senso invocarsi il criterio di riparto delle spese di cui all’art. 1123 comma 3 c.c. La Corte d’appello di Milano affermava che il Condominio avrebbe dovuto eseguire a sue spese la sostituzione della copertura in amianto ed era perciò tenuto a rimborsarne i costi alla società s.a.s.

Avverso la sentenza pronunciata in secondo grado il Condominio proponeva ricorso articolato in sei motivi. Maria e la società s.a.s. resistevano con controricorso. 

SOLUZIONE

La Suprema Corte, accogliendo il primo[1], il quinto[2] e il sesto motivo di ricorso, cassava la sentenza di secondo grado affermando il principio di cui alla massima riportata in epigrafe.

QUESTIONI

La questione di precipuo rilievo che emerge dalla sentenza in esame è connessa al primo motivo di ricorso.

Tale motivo verteva sulla mancanza di una precisa, chiara ed univoca volontà contrattuale di rendere comune il tetto di copertura del capannone di proprietà esclusiva della società s.a.s e deduceva in proposito la violazione, tra gli altri[3], dell’art. 1123, comma 3, c.c.

Il Collegio premetteva come, essendo il giudizio in oggetto originato da una impugnazione ex art. 1137 c.c. della deliberazione assembleare condominiale del 2010 e da una successiva autonoma domanda, poi riunita, di restituzione delle somme anticipate dalle attrici per l’intervento di rimozione e messa in sicurezza di una copertura in eternit, esulasse dai limiti della legittimazione passiva dell’amministratore una pretesa volta ad ottenere l’accertamento della condominialità o meno del bene, ai fini dell’art. 1117 c.c., in quanto per tale pretesa si imponeva il litisconsorzio necessario di tutti i condomini. Ne conseguiva che l’allegazione dell’appartenenza o dell’estraneità del bene alle parti comuni potesse formare oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della sola causa sulla validità della delibera o del diritto ad ottenere la ripetizione degli esborsi sostenuti, ma privo di efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli[4].

Ciò premesso, per quanto descritto in sentenza dalla Corte d’appello di Milano, nonché per quanto ricavato dalla decisione di primo grado, la Corte di Cassazione riteneva sussistente nel caso di specie una situazione di “condominio orizzontale“, in quanto “costituito da una serie di capannoni a sé stanti facenti però parte di un unico complesso”. Secondo il consolidato orientamento della stessa Corte[5] il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all’art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sviluppate sia in senso verticale sia in senso orizzontale, è tuttavia necessario che le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell’art. 1117 c.c., con la riserva “se il contrario non risulta dal titolo”.

Elemento imprescindibile proseguiva per poter configurare l’esistenza di un condominio è infatti rappresentato dalla contitolarità necessaria del diritto di proprietà sulle parti comuni dell’edificio, in rapporto alla specifica funzione di queste ultime dì servire per l’utilizzazione e il godimento dell’edificio medesimo[6]. Per contro, si rilevava come talvolta la “condominialità” sussista pur ove sia verificabile un insieme di edifici “indipendenti”, ciò ricavandosi dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui “un gruppo di edifici (…) si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi”, ma in ogni caso “restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell’articolo 1117 del codice”.

La Suprema Corte riconosceva che al fine di verificare se un bene rientri o meno tra quelli necessari all’uso comune, agli effetti dell’art. 1117 c.c., ovvero appartenga ad un unico condominio costituito, come nella specie, da più fabbricati, in quanto gruppo di edifici che, seppur indipendenti, hanno in comune alcuni beni, suppone valutazioni in fatto, sottratte al giudizio di legittimità.

Nel caso in oggetto, tuttavia, era pacifico che il tetto, nel contesto di un complesso costituito da più unità immobiliari autonome, assolvesse unicamente alla funzione di copertura di una sola delle stesse e non anche di altri elementi.

Si trattava , pertanto, di bene che non rientra tra le parti necessarie all’uso comune, di cui all’art. 1117, n. 1, c.c., e per il quale non opera perciò la “presunzione” di condominialità ivi disciplinata, in quanto esso non denota la sussistenza di connotati strutturali e funzionali comportanti la materiale destinazione della res al servizio e godimento di più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva a diversi proprietari[7].

Viceversa, per il tetto che sia di proprietà comune ai sensi dell’art. 1117 c.c. le spese devono essere ripartite tra tutti i condomini in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell’art. 1123 c.c., trattandosi di bene rientrante, per la funzione necessaria all’uso collettivo, tra le cose comuni, e non riconducibile, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cuiall’art. 1123, commi 2 e 3, c.c.[8]

Nel caso in esame, non essendo in discussione la natura di una superficie terminale di un “condominio verticale” che svolga l’indefettibile funzione primaria di protezione dell’intero edificio condominiale, non occorre interrogarsi sull’esistenza di una volontà derogatoria degli interessati al regime di appartenenza presunto dall’art. 1117 c.c., quanto, al contrario, rinvenire un titolo che sia costitutivo di una comunione volontaria tra tutti i partecipanti al condominio.

Per la Corte d’appello di Milano la proprietà comune del tetto sovrastante il capannone di titolarità esclusiva della società s.a.s. avrebbe titolo nella clausola 1 del regolamento “contrattuale”, “incorporato, con specifica approvazione, nei rogiti di acquisto dei singoli condomini”, la quale prevede: “Costituiscono proprietà comune, inalienabile ed indivisibile di tutti i proprietari dei diversi piani o posizioni di piano dello stabile, le fondazioni, la scala, le strutture portanti dell’edificio, (…) le coperture e tutto quanto specificato nell’allegata planimetria”. La Corte di Cassazione riteneva che la sentenza impugnata avesse implicitamente aderito a quei precedenti di legittimità, i quali ammettevano che con il regolamento di condominio, anche se predisposto dal costruttore dell’edificio (regolamento cd. esterno), può essere attribuita la comproprietà di una o più cose non incluse tra quelle elencate nell’art. 1117 c.c. a tutti i condomini o soltanto a quelli cui appartengano alcune determinate unità immobiliari. Se un siffatto regolamento, contenente un atto che costituisce la comunione di uno o più beni, sia stato regolarmente trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari, esso è poi opponibile altresì a tutti coloro che acquistino successivamente le varie unità del fabbricato[9].

Invero, ad avviso della Cassazione, può riscontrarsi una comunione volontaria immobiliare, conseguente ad un accordo delle parti, sia quando più soggetti mettono in comune immobili già di rispettiva proprietà individuale, sia, ad esempio, in caso di comunione a formazione progressiva, allorché, con distinti atti di alienazione, si vendono a più soggetti singole parti di un immobile, obbligando gli acquirenti a lasciare in comune alcune parti residue. In quest’ultimo caso, non si riscontra una espressione di volontà degli acquirenti di costituire la comunione, e la stessa comunione non è “causa del contratto”, quanto automatica conseguenza del fatto che l’acquisto del diritto reale su una cosa (atto a causa traslativa) sia stato compiuto da più persone. Ne deriva che, ove, come, nella specie, voglia ravvisarsi un titolo idoneo ad attribuire a tutti i condomini la comproprietà di un tetto che, nel contesto di un “condominio orizzontale”, assolve unicamente alla funzione di copertura di una sola delle unità immobiliari e perciò non è incluso tra le parti elencate nell’art. 1117 c.c., occorre accertare o che tutti i condomini abbiano acquistato individualmente con i rispettivi atti una quota di tale bene, oppure che tale comunione abbia un vero e proprio titolo costitutivo contrattuale[10], il quale abbia comportato il trasferimento del diritto dal patrimonio del singolo a quello soggettivamente collettivo. In quest’ultima fattispecie, la nuova situazione giuridica di contitolarità concordemente voluta dalle parti deve, dunque, discendere dalla inequivoca manifestazione del consenso unanime dei condomini nella forma scritta essenziale. Non può perciò valere a dar luogo ad un contratto o ad un fatto costitutivo di una comunione immobiliare il titolo che si limiti a richiamare un regolamento condominiale in cui si riconosce la “proprietà comune” di alcuni beni genericamente determinati in un elenco, anche con rinvio alla planimetria allegata, beni peraltro nemmeno tutti inequivocabilmente individuabili nell’ambito di un “condominio orizzontale” (quali, ad esempio, “le fondazioni, la scala, le strutture portanti dell’edificio”, “le facciate”, e, appunto “le coperture”), e che perciò sembra a sua volta dare già per avvenuta la costituzione convenzionale della comunione (quale atto ricognitivo della preesistente contitolarità immobiliare), essendo necessario piuttosto, che risulti dal documento scritto la manifestazione specifica di volontà di concludere il contratto medesimo. Ove una tale manifestazione di volontà costitutiva del regime di comunione di beni immobili, individuati nella loro consistenza e localizzazione, non si possa obiettivamente riscontrare nel documento che viene invocato quale atto scritto richiesto per la formazione del contratto, non deve farsi luogo, peraltro, ad alcuna indagine ermeneutica, perché attraverso quest’ultima va ricercato il contenuto soltanto di quei contratti dei quali già risulti l’esistenza e la validità per il concorso di tutti i requisiti prescritti dalla legge.

La comproprietà di una o più cose, non incluse tra quelle elencate nell’art. 1117 c.c. (quale, nella specie, un tetto avente funzione di copertura di una sola delle unità immobiliari comprese in un condominio orizzontale), può essere attribuita a tutti i condomini quale effetto dell’acquisto individuale operato con i rispettivi atti di una quota di tale bene, oppure in forza di un contratto costitutivo di comunione, ai sensi degli artt. 1350 n. 3 e 2643 n. 3, c.c.„ recante l’inequivoca manifestazione del consenso unanime dei condomini, espressa nella forma scritta essenziale, alla nuova situazione di contitolarità del immobili individuati nella loro consistenza e localizzazione.

[1] Per effetto dell’accoglimento di tale motivo rimanevano assorbiti anche il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, avendo essi perso di immediata rilevanza decisoria.

[2] Il quinto motivo di ricorso, qui riportato sinteticamente, denunciava la violazione dell’art. 167 c.p.c. sull’onere di contestazione posto carico del convenuto, con riguardo all’importo delle spese di cui era stato domandato il rimborso. La Corte d’appello di Milano affermava che, a fronte della produzione del preventivo e delle fatture quietanzate ad opera di Maria e della società s.a.s., il Condominio non risultava “aver espresso adeguata e specifica confutazione” né in primo grado né in grado di appello. In tale motivo di ricorso venivano quindi riportate le contestazioni avanzate dal Condominio nelle comparse di risposta quanto all’esborso di € 67.500,00. La Corte di Cassazione asserisce che, sebbene non si evincesse dalla sentenza impugnata quale qualificazione fosse stata fornita dai giudici del merito alla domanda di “rimborso” delle spese (non era chiaro se si trattasse di pretesa azionata ai sensi dell’art. 1134 c.c., ovvero di surrogazione legale ex artt. 1203 n. 5 e 2036, comma 3, c.c., a seguito di pagamento riconducibile ad indebito soggettivo “ex latere solventis“), spettava in ogni caso agli attori fornire prova del fatto costitutivo del credito pecuniario azionato. Statuisce la Suprema Corte che, perché un fatto possa dirsi non contestato dal convenuto, e perciò non richiedente una specifica dimostrazione, occorre o che lo stesso fatto sia da quello esplicitamente ammesso, o che il convenuto abbia improntato la sua difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col disconoscimento di quel fatto. La non contestazione scaturisce, pertanto, proseguono gli Ermellini, dalla non negazione del fatto costitutivo della domanda, di talché essa non può comunque ravvisarsi ove, come nella specie, a fronte di una pretesa creditoria fondata sulla restituzione di somme che si assumono pagate a terzi e documentate da preventivi di opere edili e fatture quietanzate, il convenuto abbia comunque definito indimostrato l’importo richiesto.

[3] Il riferimento è agli artt. 1362, 1363 e 1369 c.c.

[4] La S.C. riprende tale argomentazione dalla sentenza 20612/2017, secondo la quale “la delibera condominiale che accerti, a maggioranza, l’ambito dei beni comuni e l’estensione delle proprietà esclusive è nulla, perché inidonea a comportare l’acquisto a titolo derivativo di tali diritti, non essendo sufficiente, all’uopo, un atto meramente ricognitivo ed occorrendo, al contrario, l’accordo di tutti i comproprietari espresso in forma scritta.” (cfr. Cass. Civ. Sez. 2, 31/08/2017, n. 20612).

[5] Cfr. tra le più recenti, Cass. Sez. 2, 16/09/2019, n. 23001; Cass. Sez. 2 , 29/12/2016, n. 27360.

[6] La S.C. precisa che in tal senso argomenta ora anche l’art. 1117 bis c.c., norma introdotta dalla legge n. 220/2012, e che pertanto non regola la fattispecie in esame.

[7] Cfr. in questo senso Cass. Sez. 2, 04/11/2010, n. 22466; Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449.

[8] Cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 07/10/2019, n. 24927.

[9] Cfr. Cass. Sez. 2, 11/11/2002, n. 15794; in senso conforme Cass. Sez. 2, 21/02/2017, n. 4432.

[10] Ai sensi degli artt. 1350 n. 3 e 2643 n. 3, c.c.

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