Ultime novità in tema di prove atipiche
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFAbstract: Il presente Focus è dedicato ad un inquadramento del tema delle c.d. prove atipiche, avendo speciale riguardo alle più recenti pronunce giurisprudenziali intervenute in materia.
1.Un tema che da sempre attira l’attenzione di dottrina e giurisprudenza è quello riguardante le prove c.d. atipiche, definibili in prima approssimazione come quei mezzi di convincimento del giudice, circa l’esistenza di un fatto allegato, non espressamente codificati da alcuna norma di legge.
La questione, come noto, presenta una pluralità di sfaccettature, tutte meritevoli di un’analisi dedicata: anzitutto, ci si è interrogati sul se, effettivamente, la categoria de qua sia degna di trovare cittadinanza nell’ordinamento processual civilistico; laddove si ritenga di offrire una risposta positiva a tale quesito, l’indagine è destinata poi a spostarsi sui limiti di ammissibilità di tali prove all’interno del giudizio; infine, giocoforza, sul valore probatorio che può essere alle stesse riconosciuto.
Ciascuno di questi temi verrà toccato nel prosieguo del presente Focus, avendo un riguardo particolare alle più recenti pronunce giurisprudenziali intervenute in materia.
2.Una notazione preliminare, di rilievo specialmente dogmatico, più che pratico, concerne la possibilità stessa di identificare, all’interno dell’ordinamento processual civilistico, la categoria delle c.d. prove atipiche.
Se su tale questione la giurisprudenza non ha mai sollevato dubbi – e, come vedremo oltre, in generale dimostra di assumere un atteggiamento assai liberale nei confronti di tali mezzi di convincimento -, appare meritevole di menzione quell’autorevole voce dottrinale secondo cui l’elencazione dei mezzi di prova rinvenibile nel nostro ordinamento può di per sé ritenersi esaustiva e dunque idonea a ricomprendere anche quegli strumenti di convincimento che la communis opinio tende, all’opposto, a ricondurre al novero delle c.d. prove atipiche, con la conseguenza per cui nessuna necessità vi sarebbe di fare ricorso a tale categoria e al connesso invocato principio della non tassatività del repertorio legale delle prove [il riferimento è a B. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, in B. Cavallone, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991, 345 ss.].
3.Proprio dall’appena menzionato principio di non tassatività dei mezzi di prova disciplinati dall’ordinamento muove, all’opposto, l’indirizzo dottrinale maggioritario sia nel riconoscere cittadinanza a tale categoria dogmatica sia, soprattutto, per affermarne l’ammissibilità e l’utilizzabilità in giudizio. In altri termini, dall’assenza di una norma di chiusura del catalogo legale delle prove, e unitamente ad altri argomenti – su tutti, l’esistenza di strumenti di convincimento, quali le presunzioni semplici, intrinsecamente atipici, nonché il riconoscimento della categoria degli argomenti di prova -, si è ritenuto di desumere l’ammissibilità, e nel nostro ordinamento processuale, e all’interno del processo, di mezzi di convincimento non positivamente disciplinati [sul punto, anche per ulteriori riferimenti, M. Taruffo, Fatti e prove, in M. Taruffo, La prova nel processo civile, Milano, 2012, 72 ss.].
Da parte sua, come si accennava poc’anzi, la giurisprudenza ricorre ampiamente alla categoria delle prove atipiche e giustifica la sua piena utilizzabilità in giudizio mediante il ricorso al principio del libero convincimento del giudice, in virtù del quale, cioè, il giudice sarebbe libero, secondo il suo prudente apprezzamento, di trarre mezzi di convincimento anche da strumenti probatori non espressamente disciplinati dall’ordinamento [tra le più recenti, Cass., 21 agosto 2018, n. 20865; Cass., 20 marzo 2018, n. 6892; Cass., 2 febbraio 2018, n. 2628; Cass., 20 gennaio 2017, n. 1593].
Sul punto, la dottrina si è senz’altro mostrata più cauta e maggiormente sensibile al rispetto dei principi regolatori del giusto processo, richiedendo ineludibilmente, in particolare, nell’acquisizione delle prove atipiche, il rispetto del principio del contraddittorio, escludendo l’ammissibilità in giudizio di quelle assunte inaudita altera parte [è il caso, ad esempio, della perizia stragiudiziale: sul punto, per i dovuti riferimenti, si rinvia a M. Montanari, V. Baroncini, sub art. 116 c.p.c., in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, Milano, 2018, I, 1391 ss.].
4.Passando al tema dell’efficacia probatoria riconosciuta alle prove atipiche, è stato efficacemente osservato come, a tal proposito, la giurisprudenza abbia ordinato la variegata gamma di tali mezzi di prova secondo un ordine gerarchico che rispecchia quello intercorrente tra i mezzi di prova tipici ai quali la prova atipica presa in considerazione maggiormente si avvicina [di nuovo, M. Montanari, V. Baroncini, sub art. 116 c.p.c., cit., 1386].
Così, all’apice di tale scala gerarchica è possibile individuare le prove documentali atipiche assimilate agli atti pubblici, in quanto tali dotate dell’efficacia di prova legale descritta all’art. 2700 c.c. È il caso, ad esempio: dei verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell’ispettorato del lavoro o degli organi di polizia giudiziaria; dei verbali di accertamento di violazioni di natura amministrativa; dei certificati di stato civile o rilasciati dalle camere di commercio; dei certificati medici redatti da pubblici ufficiali; della relazione ex art. 33 l. fall. redatta dal curatore fallimentare.
Su un gradino inferiore, si collocano invece le prove documentali atipiche assistite da una presunzione iuris tantum di corrispondenza al vero dei fatti ivi riportati, in quanto tali idonee a vincolare il convincimento giudiziale circa l’esistenza di un determinato fatto sino a prova contraria: in tale categoria, generalmente, si riconducono le certificazioni amministrative.
Scendendo ulteriormente si incontrano quelle prove atipiche cui si tende a riconoscere valore di prova libera, in quanto tali idonee, di per sé, a fondare il convincimento del giudice, secondo il suo prudente apprezzamento, circa l’esistenza del fatto allegato. In questa categoria è possibile rinvenire alcune tra le fattispecie più interessanti e ricorrenti di prove atipiche prese in considerazione dalla prassi applicativa dei nostri tribunali. È il caso delle prove raccolte in altro processo tra le stesse o altre parti che, laddove prodotte in giudizio, sono appunto considerate quali prove liberamente valutabili dal giudice [con generico riguardo alla possibilità di utilizzare, al fine in esame, i verbali di causa di un altro processo in cui siano state trasfuse le risultanze istruttorie ivi acquisite, Cass., 1° febbraio 2019, n. 3133]. In tal senso ci si è espressi, ad esempio, in relazione alle prove assunte nell’ambito di un processo penale [Cass., 12 gennaio 2016, n. 287; con riguardo specifico alle testimonianze rese in un processo penale, Cass., 31 gennaio 2019, n. 2786], ovvero in riferimento agli atti acquisiti o formati in sede di indagini preliminari [Cass., 31 maggio 2018, n. 13766; Cass., 20 gennaio 2017, n. 1593]. Una posizione più sfumata è viceversa assunta con riguardo alle prove acquisite nell’ambito di un (differente) processo civile, dove non mancano pronunce di merito che tendono a riconoscere alle stesse valore meramente indiziario [Trib. Firenze, 27 marzo 2017]. Sulla questione, come già si accennava, è più prudente la soluzione rinvenibile in dottrina, secondo la quale l’utilizzabilità delle prove assunte in altro giudizio non può in nessun caso porsi in contrasto con il principio del contraddittorio, con la conseguenza di ritenere inutilizzabili le prove di tal fatta laddove la parte contro la quale si vuole invocare la relativa efficacia probatoria non abbia partecipato alla fase di assunzione della stessa [in giurisprudenza, un riscontro è rinvenibile in Cass., 16 maggio 2018, n. 11935]. Alla categoria de qua vengono inoltre ricondotte anche le perizie stragiudiziali [per un recente arresto, Cass., 23 ottobre 2018, n. 26765].
Infine, all’ultimo gradino della gerarchia sin qui passata in rassegna ritroviamo quelle prove atipiche cui viene riconosciuta un’efficacia probatoria meramente indiziaria, ossia la loro mera idoneità a corroborare il convincimento che il giudice si sia formato sulla base di altre risultanze istruttorie. In tale categoria ricadono, fondamentalmente, gli scritti provenienti da terzi estranei al giudizio, ossia le scritture prodotte nei confronti di una parte che non appare esserne l’autore, né dell’autore appare essere erede o avente causa [tra le più recenti, Cass., 8 ottobre 2018, n. 24695; Cass., 19 gennaio 2017, n. 1315; C. App. Milano, 4 maggio 2017].
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia
14 Settembre 2021 a 19:05
sono molto interessato all’argomento delle prove atipiche, ma la parte che mi interessa di più , e cioe’ l’ingresso dei test con esperti in neuropsicologia forense , tra cui quali quello con la fMRI (RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE) non si direbbe siano menzionati . Che sia raro il loro ingresso in tribunale e’ scontato. Ma sarebbe utile avere magari un’idea su una sentenza abbastanza recente della cassazione (se esista) che inquadri questo genere di test della verita’ all’interno di giudizi in cui tale prova atipica sia stata utilizzata.
Nei casi difficili di associazioni mafiose e affini, dove i mezzi di difesa sono sproporzionatamente a vantaggio di chi le testimonianze (in certi casi) c’e’ chi se le crea “in casa”, e laddove quindi tali mezzi di prova atipica costituiscono l’unico mezzo efficace per fondare un’accusa seria in cui l’autore mette in gioco la sua vita . SE QUALCUNO ABBIA NOTIZIE UTILI A TALE RIGUARDO, LO RINGRAZIO