31 Luglio 2018

Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Corte di Giustizia UE, Quinta Sezione, 21 febbraio 2018, C–518/15

Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2003/88/CE – Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori – Organizzazione dell’orario di lavoro – Articolo 2 – Nozioni di “orario di lavoro” e “periodo di riposo” – Articolo 17 – Deroghe – Vigili del fuoco – Ore di guardia – Servizi di guardia al proprio domicilio

MASSIMA

L’art. 15 della Direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso non consente agli Stati membri di adottare o mantenere una definizione della nozione di “orario di lavoro” meno restrittiva di quella contenuta all’art. 2 di tale Direttiva. Tale ultima norma deve essere interpretata nel senso che le ore di guardia che un lavoratore trascorre al proprio domicilio con l’obbligo di rispondere alle convocazioni del suo datore di lavoro entro 8 minuti, obbligo che limita fortemente la possibilità di svolgere altre attività, devono essere considerate come “orario di lavoro”.

COMMENTO

Un regolamento organico del servizio antincendio di una città belga prevede che, durante i periodi di reperibilità, il personale sia tenuto a rimanere a una distanza che consenta il raggiungimento della stazione in cui opera entro 8 minuti e a prestare particolare attenzione in modo da essere in condizione di riscontrare prontamente la chiamata di entrata in servizio. La Corte del Lavoro di Bruxelles, adita per il mancato pagamento della retribuzione relativa alle prestazioni rese da un vigile del fuoco volontario, ha domandato alla Corte di Giustizia Europea se, alla luce della Direttiva n. 2003/88, le ore di guardia presso il domicilio fossero da qualificarsi quale orario di lavoro o periodo di riposo. La Direttiva n. 2003/88/CE del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, definisce all’art. 2, rispettivamente, l’orario di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, e il periodo di riposo come qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro. Il successivo art. 15 prevede la facoltà per gli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori o di favorire o consentire l’applicazione di contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori. Preliminarmente, la Corte ricorda che, ai fini dell’applicazione della Direttiva in esame, la nozione di lavoratore non può essere interpretata in vari modi, con riferimento ali ordinamenti nazionali, ma ha una portata autonoma propria del diritto dell’Unione. Come afferma la costante giurisprudenza, il lavoratore è una persona che svolge attività reali ed effettive, restando escluse quelle attività talmente ridotte da poter essere definite puramente marginali ed accessorie. La caratteristica che definisce un rapporto di lavoro risiede nella circostanza per la quale una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni a fronte delle quali riceve una retribuzione. La Corte precisa, inoltre, che la natura giuridica di un rapporto di lavoro con riguardo al diritto nazionale non può avere alcuna conseguenza sulla qualità di “lavoratore” ai sensi del diritto dell’Unione Europea. Parimenti, in risposta a uno dei quesiti posti dal Giudice del rinvio, le definizioni formulate nella Direttiva in esame non possono essere oggetto di un’interpretazione che varia in relazione agli ordinamenti nazionali, ma hanno una portata autonoma propria del diritto dell’Unione. L’art. 15 della Direttiva, pertanto, è rivolto alle disposizioni contenute nei capitoli 2 e 3 della Direttiva, destinate, data la loro funzione e il loro oggetto, a fissare un livello minimo di tutela della sicurezza e salute dei lavoratori. In sintesi, gli Stati membri non hanno il potere di modificare la definizione di orario di lavoro, ma sono liberi di adottare disposizioni che prevedano periodi di orario di lavoro e di riposo più favorevoli. Ciò premesso, la Corte passa al quarto ed ultimo quesito formulato dal Giudice del rinvio, ovverosia alla qualificazione del turno di guardia. La Corte evidenzia, anzitutto, come tra gli elementi caratteristici della nozione di “orario di lavoro” non figurano l’intensità del lavoro svolto, né il rendimento. In secondo luogo ricorda come la presenza fisica e la disponibilità del lavoratore sul luogo di lavoro durante le ore di guardia, in vista della prestazione dei suoi servizi professionali, deve essere considerata rientrante nell’esercizio delle sue funzioni, anche se l’attività effettivamente svolta varia secondo le circostanze; una diversa interpretazione equivarrebbe a rimettere in discussione l’obiettivo della direttiva, ovverosia garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori, facendo in modo che essi possano beneficiare di periodi minimi di riposo e di adeguati periodi di pausa. E ancora, la giurisprudenza europea individua il fattore determinante per la qualificazione come orario di lavoro nella circostanza che il lavoratore è costretto a essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e a tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno; tali obblighi, impedendo la libertà di scegliere il luogo in cui trascorrere le ore di guardia, rientrano nell’esercizio delle funzioni dei lavoratori. Tuttavia, anche al di là dell’effettiva presenza fisica del lavoratore sul luogo di lavoro, la nozione di orario di lavoro deve essere interpretata secondo criteri oggettivi, facendo riferimento alla finalità della direttiva, intesa a stabilire prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti. Alla luce di tali indicazioni, si può distinguere l’ipotesi di reperibilità, ove il lavoratore deve essere semplicemente a disposizione del datore di lavoro, al fine di essere contattato, dall’ipotesi in cui il lavoratore, seppur non costretto a rimanere sul luogo di lavoro, è comunque obbligato a permanere nel proprio domicilio o comunque in un luogo prossimo che gli permetta di raggiungere la sede di lavoro in un tempo stringente (nel caso di specie 8 minuti). Nel momento in cui, dunque, gli obblighi a cui il lavoratore deve sottostare durante le ore di guardia siano tali da limitare fortemente la possibilità di svolgere altre attività, anche tale periodo deve considerarsi “orario di lavoro”.

Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO”