3 Aprile 2024

Travisamento del fatto tra cassazione e revocazione

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Cass., sez. un., 5 marzo 2024, n. 5792 Pres. Virgilio , Rel. Di Marzo

Procedimento civile – Travisamento della prova – Onere della prova – Revocazione per errore di fatto – Omesso esame – Inammissibilità (C.c. art. 2697; C.p.c. 115, 116, 360, 395)

Massima: “Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale”.

CASO

Il Tribunale condanna una galleria d’arte a restituire ai due eredi del pittore, autore dell’opera, un quadro a suo tempo concesso dal de cuius in comodato come attestato tra il resto da due lettere del 13.12.12 e 10.7.67 ritenute aventi valore confessorio.

La sentenza era riformata in appello sulla base di un’opposta valutazione del contenuto contra se delle missive provenienti dalla galleria e, a monte, dell’esclusione della proprietà del dipinto in capo al pittore, come ritenuto in primo grado, anziché di un pure anonimo collezionista.

Ricorrevano per cassazione gli eredi sulla base di sei motivi vòlti ad evidenziare i seguenti errori della corte territoriale: l’aver indebitamente escluso, con motivazione peraltro inesistente, la natura confessoria delle due lettere provenienti dalla galleria, così apprezzando liberamente una prova invece legale; l’essere incorsa in travisamento della prova, “stravolgendo le risultanze processuali, utilizzando informazioni probatorie del tutto diverse ed inconciliabili con quelle contenute” in altri elementi probatori e, in particolare, nelle due lettere del 2012 e del 1967; l’aver individuato un erroneo dies a quo della prescrizione del diritto alla restituzione; l’aver accolto la domanda di dichiarazione dell’usucapione del dipinto, senza indicare però l’atto di interversione del possesso in virtù del quale la galleria avrebbe assunto la veste del possessore.

Con ordinanza interlocutoria 27.4.2023 n. 11111 la terza sezione rimetteva gli atti alla Prima presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite in vista della soluzione del contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto l’ammissibilità, presupposta dai primi motivi di ricorso, di un sindacato della Corte sul travisamento del contenuto oggettivo della prova.

SOLUZIONE

Le Sezioni Unite confermano l’orientamento tradizionale che limita l’esperibilità del ricorso per cassazione in materia di travisamento del fatto, e più specificamente di travisamento del contenuto oggettivo di una prova, al caso in cui (a differenza di quanto richiesto dall’art. 395, n. 4 c.p.c. in materia di errore revocatorio) la vera e propria svista in cui sia caduta su una circostanza controversa, e quindi sia stata oggetto di discussione tra le parti, e in ogni caso ricorrendo i presupposti per la deduzione dell’errore nelle forme di cui al motivo n. 4 o n. 5 dell’art. 360 c.p.c.

QUESTIONE

I confini, tradizionalmente scivolosi, tra cassazione e revocazione in materia di travisamento del fatto sono affrontati dalla sentenza in commento con un primo excursus che dà conto della storica ritrosia della Cassazione (anche prima dell’introduzione dell’attuale motivo n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e dunque anche quando era davanti ad essa sindacabile con maggiore larghezza il vizio di motivazione) a ritenere compreso nel suo esame il vero e proprio lapsus del giudice del merito nell’apprezzamento del contenuto oggettivo di un mezzo istruttorio, e della parallela, quasi consequenziale propensione ad attrarre il relativo vizio all’area dell’errore di fatto di cui al motivo n. 4 dell’art. 395, e pertanto all’ambito del rimedio revocatorio.

Superando il pure espresso divieto di citazione di autori giuridici sancito dall’art. 118, comma 3 c.p.c., la Corte ricorda le non univoche prese di posizione assunte sul punto dalla più illustre dottrina a cavallo tra Ottocento e Novecento, che oscillavano tra l’allontanamento del giudice di legittimità da ogni possibile profilo del fatto (sia pure dove radicalmente travisato) e il dubbio che, almeno quando le sentenze di merito abbiano “altera[to] il significato naturale delle parti, snatura[to] il carattere che apertamente presenta il contratto o il testamento, ed, al concetto, che sorge come una verità evidente, intuitiva dal complesso dell’atto, ne [abbiano ]sostitui[to] arbitrariamente un altro diverso”, ebbene almeno in questi casi possa “un tale vizio aprire la via alla cassazione ed essere riparato dalla Corte suprema”.

Già la Cassazione romana con decisione del 18 ottobre 1877, ricorda la sentenza, obiettava tuttavia che “non possono formar subbietto del ricorso in Cassazione i gravami fondati: a) sopra il travisamento delle clausole di un contratto; b) sopra un errore che si pretende incorso nel dedurre presunzioni dalle risultanze di una prova testimoniale, e da fatti stabiliti dagli atti della causa”, e con affermazione poi tralatiziamente confermata nei decenni (v. ad es. Cass., 3 novembre 1926), già si leggeva ai tempi che, diversamente opinando, “il Supremo Collegio verrebbe” indebitamente “a trasformarsi in giudice di terza istanza”.

Su questa premessa la Corte ha elaborato la “granitica” (così la stessa sentenza in commento) Giurisprudenza che esclude la ricorribilità per cassazione per il vizio in esame, “eccettuata”, quasi in solitaria, Cass., 27 aprile 2023, n. 11111; e che le Sezioni unite confermano sostanzialmente con un’unica, discutibile precisazione come si vedrà infra.

Le tre species di travisamento – quello c.d. per invenzione, ad esempio perché la decisione è fondata su una testimonianza mai effettivamente raccolta o su un documento non prodotto; quello c.d. in senso proprio, “nel caso di dati probatori effettivamente acquisiti al processo, che il giudice legga malamente”; e quello c.d. per omissione ossia “la mancata valutazione di una prova decisiva” – vengono fatte confluire in un unico genus che comprende “due distinti momenti cognitivi… quello della percezione e quello della valutazione”, e che nel suo nucleo essenziale è tenuto lontano dall’esame della Cassazione con l’argomento, di per sé non dirimente, per cui il “vero bersaglio che l’accoglimento della tesi sostenuta dall’ordinanza finirebbe per abbattere” è in realtà “costituito dall’assetto del giudizio di legittimità scaturente dalla riformulazione del n. 5 dell’articolo 360 c.p.c. all’esito della riforma del 2012, nella complessiva lettura datane da una decisione che, a ragione, costituisce da anni un punto fermo nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite, Cass., Sez.Un., 7 aprile 2014, n. 8053”.

Con quest’ultimo arresto come noto le stesse Sezioni unite richiamate dalla sentenza in commento hanno operato una lettura fortemente restrittiva dei residui spazi di operatività del vizio di motivazione e del fatto avanti alla Corte di cassazione, dando sostanzialmente un ultimo, decisivo giro di vite alla scelta già operata dal legislatore del 2012 di eliminare, almeno dal tenore letterale dell’art. 360 c.p.c., qualsiasi riferimento all’insufficienza lato sensu dell’apporto argomentativo offerto dalla decisione (scelta andata persino oltre quanto circa quindici anni prima proposto dalla medesima Corte nella “Bozza di disegno di legge concernente provvedimenti urgenti per la riforma del giudizio di cassazione” elaborata dai vertici della Cassazione nel 1988 e pubblicata in Foro it., 1990, V, 263 ss., che si limitava a restringere l’operatività del motivo n. 5 ai casi di “omessa motivazione su un punto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”).

In altre parole, le Sezioni unite escludono la ricorribilità delle sentenze che il soccombente sospetta abbiano travisato il fatto perché ciò “assegnerebbe alla Corte di cassazione il potere”, e soprattutto  nei timori del Supremo Collegio, il dovere “di rifare daccapo il giudizio di merito”, e ciò in spregio alla riforma del 2012 che, limitando la rilevanza in Cassazione della quaestio facti al solo caso del radicale “omesso esame” circa il fatto, ha voluto al contrario escludere che l’errore sulla verità o meno di un’affermazione di parte entri nell’orizzonte visivo della Corte, anche laddove la difformità non derivi da un semplice cattivo esercizio del prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c. (il ché pacificamente esula dai vizi denunciabili in Cassazione), ma assurga al rango di radicale incomprensione del significato oggettivo della prova.

Su questo profilo si innesta la precisazione operata dalla sentenza in epigrafe.

L’errore sul fatto sì “ha da essere intercettato attraverso la revocazione, perché dal compito istituzionale della Cassazione deriva che essa, estranea al giudizio di fatto, debba ricevere questo giudizio già formato: e se il giudice di appello sia incorso in una svista, è a lui che spetta di porvi rimedio, a mezzo della revocazione per errore di fatto”, ma ciò non esclude un residuo controllo della Cassazione sullo stesso errore qualora alla sua deducibilità con le forme della revocazione osti l’ulteriore requisito, posto dal tenore letterale dell’art. 395, n. 4 c.p.c., per cui “il fatto” travisato dal giudice del merito “non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

In sintesi, il travisamento torna ad essere eccezionalmente attratto all’area del ricorso per cassazione quando il fatto costituì un punto controverso, dibattuto tra le parti, e dunque, sbarrata la strada della citazione per revocazione, l’ordinamento non può negare al soggetto, pregiudicato da una sentenza intrinsecamente ingiusta, la via della Cassazione (come in realtà già prospettato, riconosce la stessa Corte, da sentenze meno recenti che, come Cass., 4 ottobre 1971, n. 2697, premettevano sì che “se la parte assume che il giudice abbia errato nel ritenere non prodotto in giudizio il documento decisivo, può far valere tale preteso errore soltanto in sede di revocazione, ai sensi dell’articolo 395, n. 4, c.p.c.”, ma “sempre che ne ricorrano le condizioni” altrimenti dovendosi ipotizzare una reviviscenza dell’impugnabilità ex art. 360 c.p.c.).

L’orientamento infine avallato dalla Corte ha il merito di colmare il vuoto di tutela originato dalla forte restrizione della revocabilità della sentenza per errore di fatto alla sola ipotesi che la circostanza non sia stata oggetto di discussione tra le parti, e che dunque l’errore sia partorito dall’autonomo lapsus del Giudice nell’apprezzamento della prova e non dall’adesione, in ipotesi erronea, ad una piuttosto che all’altra lettura dello stesso esito istruttorio proposta dai soggetti del processo.

La scelta non sembrava tuttavia obbligata: essa infatti ottiene un effetto – il recupero di almeno un rimedio, tra cassazione e revocazione, per l’eliminazione di un vizio grave come il radicale travisamento della situazione di fatto in cui sia caduto il giudice di secondo grado – che sarebbe forse più naturalmente disceso dalla sollecitazione di una riforma legislativa dell’art. 395, n. 4 c.p.c., tesa a eliminare l’ormai superata limitazione dell’ammissibilità della revocazione ai casi in cui il fatto non costituì punto controverso; o ancora una pronuncia di incostituzionalità della stessa disposizione, per violazione dell’art. 111 Cost. e dunque della tensione del processo ad una pronuncia giusta (che tale non può evidentemente essere, se viziata nell’applicazione degli effetti giuridici di una determinata situazione fattuale dall’avere il giudice totalmente frainteso le circostanze su cui poggia la ricostruzione).

E ciò desta ancora più perplessità se si pensa che tale non obbligato effetto, nel riuscito tentativo di colmare una lacuna dell’art. 395, n. 4 c.p.c., esita in un’ancora più smaccata forzatura del tenore letterale dei motivi nn. 4 e 5 dell’art. 360, nei quali la sentenza in commento ritiene debbano eccezionalmente confluire, a seconda che l’errore ricada su un fatto processuale o sostanziale, i travisamenti insuscettibili di essere denunciati con lo strumento della revocazione perché insistenti su “punto controverso”: la censura permessa dal n. 4 dell’art. 360 c.p.c. incanala infatti verso l’esame della Cassazione i vizi che conducono alla “nullità della sentenza o del procedimento”, e tra questi ultimi, anche in ragione della peculiare figura di nullità adottata dal codice di rito agli artt. 156 e segg., appare arduo annoverare l’incomprensione pur totale in ordine ai fatti di causa; e ancora più stentata sul piano logico, per non dire contraria alla lettera della disposizione, risulta l’attrazione del travisamento del fatto al caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il  giudizio”, ossia ad un’ipotesi in cui il fatto (lungi dall’essere esaminato e, nell’effettuazione di tale esame, travisato) è stato radicalmente ignorato dal giudice ai fini della decisione.

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