Il trattamento del debito c.d. promiscuo nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFTrib. Milano, 20 ottobre 2023, Est. Giani
[1] Sovraindebitamento – Ristrutturazione dei debiti del consumatore ex art. 67 CCII – Debitoria c.d. promiscua – Inammissibilità.
Massima: “Deve essere condiviso l’orientamento, espresso da ultimo da Cass., 26 luglio 2023, n. 22699, per cui in presenza di una debitoria mista o c.d. promiscua, caratterizzata dal permanere di debiti maturati nell’ambito del pregresso esercizio dell’attività d’impresa, è inammissibile l’accesso alla procedura del consumatore, riservata esclusivamente alla definizione di debiti di natura consumeristica. Peraltro, la persona fisica titolare di obbligazioni miste, nell’impossibilità ad accedere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore, può comunque conseguire l’esdebitazione mediante l’istituto della liquidazione controllata”.
CASO
[1] La pronuncia del Tribunale di Milano contribuisce ad arricchire l’acceso dibattito (soprattutto giurisprudenziale, ma anche dottrinale) riguardante la possibilità per il soggetto gravato da una situazione debitoria c.d. promiscua (ossia, composta da obbligazioni miste, derivanti sia dal soddisfacimento di esigenze personali o familiari, sia dall’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta) di accedere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore.
Nel caso di specie, si trattava di un soggetto persona fisica ancora titolare, al momento della richiesta di accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, di obbligazioni maturate nell’ambito del pregresso esercizio di attività d’impresa, poi cessata.
SOLUZIONE
[1] Il Tribunale di Milano, anche richiamando il recente arresto di Cass., 26 luglio 2023, n. 22699 – la quale, offrendo continuità (ancorché in maniera un poco semplicistica) al noto precedente di Cass., 1° febbraio 2016, n. 1869 (in Fallimento, 2016, 661 ss., con nota di F. Pasquariello, La Cassazione delinea il profilo del consumatore sovraindebitato), ha affermato che la qualifica di consumatore debba essere stabilita avendo riguardo alla natura delle obbligazioni che si intendono ristrutturare, verificando se, nel momento in cui erano state assunte, il soggetto avesse agito come consumatore o come professionista -, nega l’accesso alla procedura al soggetto istante, ribadendo come la ristrutturazione dei debiti del consumatore debba essere riguardata come procedura esclusivamente riservata alla definizione di debiti di natura consumeristica.
Il giudice milanese precisa, inoltre, che la persona fisica titolare di debiti c.d. promiscui, nell’impossibilità di accedere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore, può comunque conseguire l’esdebitazione mediante l’accesso alla liquidazione controllata.
QUESTIONI
[1] La questione affrontata dal Tribunale milanese rientra tra quelle maggiormente controverse in materia di sovraindebitamento e riguarda la possibilità, per il soggetto gravato da una situazione debitoria c.d. mista o promiscua – ossia, caratterizzata da obbligazioni contratte sia per il soddisfacimento di interessi personali o familiari, sia in conseguenza dell’attività imprenditoriale o professionale svolta – di accedere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore di cui agli artt. 67 ss. CCII.
A questo proposito, ricordiamo come tale norma riservi l’accesso alla procedura al «consumatore sovraindebitato»: a sua volta, la figura del consumatore è oggetto di specifica definizione ad opera dell’art. 2, 1°co., lett. e), CCII, nei termini di «persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta […]».
Il CCII, dunque, sceglie (condivisibilmente, si crede) di abbandonare la nozione speciale originariamente adottata dall’art. 6 della l. 27 gennaio 2012, n. 3, che considerava consumatore il debitore persona fisica che avesse assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Sul significato di tale definizione era intervenuta la già richiamata Cass., n. 1869/2016, la quale aveva chiarito come la stessa non escludesse dalla possibilità di essere qualificati consumatori coloro che esercitassero o avessero esercitato attività di impresa o professionale, purché al momento della presentazione del piano non fossero residuate obbligazioni assunte nell’esercizio di dette attività: sulla base di tale interpretazione, dunque, era recisamente esclusa la possibilità di ammettere un soggetto al piano del consumatore allo scopo di comporre, al suo interno, il c.d. debito promiscuo.
Dalla definizione adottata dal CCII scompare, come visto, l’avverbio “esclusivamente” su cui, almeno in parte, si reggeva l’interpretazione restrittiva a suo tempo adottata dal giudice di legittimità. Ciò, in effetti, potrebbe aprire a una lettura maggiormente estensiva della nozione di consumatore e, conseguentemente, dell’ambito applicativo della ristrutturazione dei debiti ex artt. 67 ss. CCII, permettendo di considerare consumatore il soggetto attualmente titolare anche di obbligazioni derivanti dall’esercizio di attività imprenditoriale o professionale, allo scopo di consentirgli l’accesso alla procedura e ivi comporre il proprio debito c.d. promiscuo (questa, in effetti, è l’opinione preferita da chi scrive, ad esempio esposta già in V. Baroncini, Le novità in materia di sovraindebitamento alla luce della l. 19 ottobre 2017, n. 155 e del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in Dir. fall., 2019, 407).
Sul punto, appare senz’altro interessante vagliare lo stato dell’arte presso la nostra giurisprudenza di merito (già si è detto dell’attuale posizione della Suprema Corte, recentemente espressasi a favore del mantenimento di una lettura restrittiva).
I tentativi di far prevalere una lettura maggiormente liberale, al momento, paiono guidati soprattutto dal Tribunale di Reggio Emilia, il quale già in diverse occasioni ha affermato che “deve riconoscersi la qualifica di consumatore a chi svolga domanda che comprende anche debiti contratti nell’esercizio di attività di impresa in passato svolta, ma da tempo cessata, reputandosi in tal caso che agisca per scopi estranei a quelli imprenditoriali” (così, Trib. Reggio Emilia, 20 ottobre 2022, 13 febbraio 2023 e 9 maggio 2023, tutte reperibili su www.ilcaso.it). Nello stesso senso si è espresso anche Trib. Pesaro, 20 settembre 2023 (sempre reperibile su www.ilcaso.it), che ha ammesso alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore il soggetto gravato da una situazione debitoria c.d. promiscua, con debiti, nel caso di specie, “in minima parte relativi alla pregressa attività d’impresa del ricorrente”.
È doveroso ammettere, però, come l’orientamento attualmente maggioritario appaia assestato a favore di un’interpretazione restrittiva della qualifica di consumatore legittimato ad accedere alla ristrutturazione dei debiti ex artt. 67 ss. CCII. Oltre alla pronuncia del Tribunale di Milano oggetto del presente commento (e all’arresto della Cassazione del luglio 2023) possiamo infatti ricordare Trib. Bologna, 30 dicembre 2022 (in www.dirittodellacrisi.it), che ha chiaramente affermato che “il soggetto che abbia contratto debiti non ancora soddisfatti di natura sia imprenditoriale o professionale che di natura privata non può accedere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore”; e C.App. Bologna, 16 giugno 2023 (in www.ilcaso.it), che ha riformato la citata Trib. Reggio Emilia, 13 febbraio 2023, non ritenendo di condividere il principio per cui la debitoria c.d. promiscua consente alla persona fisica di ricorrere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore ex art. 67 ss. CCII, sul rilievo della eterogeneità del passivo e della presenza in esso di obbligazioni consumeristiche; la Corte bolognese, in particolare, ha ribadito che ove l’obbligazione da ristrutturare sia assunta o sia stata assunta per uno scopo inerente all’attività d’impresa, essa abbia natura commerciale, per cui ove sia sorta con tale connotazione, non può mutare natura per il fatto che il debitore dismetta l’impresa, il commercio o la professione, in quanto lo scopo o la finalità imprenditoriale che la caratterizzava si sono definitivamente cristallizzati al momento stesso dell’insorgenza del debito.
Una questione destinata a legarsi a doppio filo a quella appena esaminata – parimenti affrontata dal Tribunale milanese – è poi quella relativa alla possibilità, per l’imprenditore che abbia cessato la propria attività d’impresa ma risulti tuttora gravato di debiti contratti in relazione al suo pregresso svolgimento, di accedere al concordato minore (evidentemente, in forma liquidatoria), una volta preclusa la strada della ristrutturazione dei debiti del consumatore.
A complicare il quadro – e a frapporsi alla possibilità di offrire una soluzione ragionevole al quesito -, subentra infatti l’art. 33, 4°co., CCII, dove è previsto che «la domanda di accesso alla procedura di concordato minore […] presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile»: è evidente, infatti, che un’interpretazione letterale di tale norma significherebbe precludere all’imprenditore cessato (non solo la possibilità di accedere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore, sulla scia della giurisprudenza maggioritaria poc’anzi richiamata, ma anche) l’accesso al concordato minore, limitando le sue facoltà di composizione del proprio dissesto e di esdebitazione alla sola liquidazione controllata; in altri termini, sarebbe a tale soggetto preclusa la possibilità di accedere a una procedura di composizione della crisi di natura negoziale, residuando unicamente l’alternativa liquidatoria, vanificando il favor per le prime chiaramente sotteso all’intera riforma del diritto concorsuale.
Proprio per questo motivo, parte della giurisprudenza di merito (invero, probabilmente maggioritaria) ha ridotto l’ambito applicativo del richiamato art. 33, 4°co., CCII al solo imprenditore collettivo, conseguentemente ammettendo che la cancellazione della ditta individuale dal registro delle imprese non sia ostativa all’apertura di procedura di concordato minore (liquidatorio) ex art. 74 CCII (così, per prima, Trib. Napoli Nord, 3 gennaio 2023; conf., Trib. Ancona, 11 gennaio 2023; Trib. Rimini, 15 febbraio 2023; Trib. La Spezia, 30 agosto 2023, tutte reperibili su www.ilcaso.it).
In senso contrario si segnala, tuttavia, Trib. Torino, 24 luglio 2023 (in www.ilcaso.it), che ha affermato l’inammissibilità della proposta di concordato minore formulata dall’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese, ai sensi dell’art. 33, 4°co., CCII, che non opererebbe alcuna distinzione tra imprenditore individuale o collettivo: questa, peraltro, è la stessa conclusione raggiunta dal Tribunale milanese, che nel provvedimento in commento ha limitato le opzioni a disposizione della persona fisica titolare di debiti c.d. promiscui alla sola liquidazione controllata.
Per concludere sul punto si segnala, anche sotto questa prospettiva, la posizione particolarmente liberale del Tribunale di Reggio Emilia, il quale, sulla scorta dell’interpretazione estensiva della qualifica di consumatore poco sopra ricordata, ha concluso per la possibilità di considerare come consumatore anche il soggetto le cui uniche passività derivano dall’attività d’impresa già svolta in passato con ditta individuale cancellata da oltre un anno, con conseguente facoltà di accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore prevista ex artt. 67 ss. CCII (Trib. Reggio Emilia, 9 maggio 2023, cit.).
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