13 Dicembre 2022

Trasferibilità delle quote agli eredi di socio di Srl e nomina del liquidatore giudiziario

di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDF

Sentenza n. 337/2020 del 19.02.2020 – Tribunale di Venezia Sezione Specializzata in materia di Imprese

Parole chiave: autonomia statutaria; limiti alla trasferibilità delle partecipazioni; messa in liquidazione della società; nomina e revoca del liquidatore giudiziale; invalidità delibera.

Massima: “Nel caso in cui, per effetto della autonomia statutaria, siano previste clausole che subordinino il trasferimento al gradimento dei soci superstiti, la comunicazione agli eredi del socio defunto da parte del socio superstite di voler continuare la società individua il momento in cui gli eredi diventano a tutti gli effetti soci modificandosi, così, la compagine sociale.

In caso di messa in liquidazione della società la nomina del liquidatore giudiziale deve essere introdotta con ricorso in sede di volontaria giurisdizione”.

Riferimenti normativi: art. 2469 cc. c.c.; art. 2479 c.c.; art. 2479 ter c.c.; art. 2487 c.c..

CASO 

Il socio superstite della società a responsabilità Alfa rappresentava agli eredi del socio defunto la propria volontà di proseguire l’attività con gli stessi; l’assenza di riscontro alcuno a tale comunicazione determinava il socio a deliberare lo scioglimento della società e a nominare il liquidatore.

Successivamente, gli eredi del socio superstite, titolari del 90% del capitale, convocavano l’assemblea così deliberando la revoca del precedente liquidatore e la nomina di un secondo in sua sostituzione. La convocazione era inoltrata dagli eredi sia al liquidatore che al socio superstite, ma quest’ultimo non la riceveva, così venendo a sapere dell’esito della delibera solo al momento della consegna dei libri sociali al nuovo consulente.

Ne seguiva l’impugnazione della delibera da parte del socio superstite, il quale ne asseriva l’invalidità poichè assunta da soggetti non aventi la qualifica di soci e comunque avvenuta in difetto assoluto di informazione; contestualmente chiedeva che il Tribunale adito provvedesse alla nomina del liquidatore giudiziale.

Si costituivano gli eredi affermando la propria qualità di soci in ragione della iniziale volontà di proseguire manifestata dal socio e deducendo a sostegno che, successivamente alla delibera poi impugnata, il liquidatore aveva richiesto agli stessi la nomina del rappresentante comune.

SOLUZIONE

Con la Sentenza in commento, il Tribunale di Venezia Sezione Specializzata in materia di impresa ha riconosciuto la qualità di soci degli eredi del socio defunto in ragione della iniziale comunicazione del socio superstite pur dichiarando la invalidità della delibera per difetto assoluto di informazione. Nel contempo, il Tribunale ha dichiarato inammissibile l’istanza volta alla nomina del liquidatore giudiziale trattandosi di provvedimento da introdursi in sede di volontaria giurisdizione.

QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA

L’indagine compiuta dal Giudice veneziano ha avuto ad oggetto, in primo luogo, la sussistenza o meno della qualità di socio in capo agli eredi del socio defunto. Nel far ciò il Giudice ha dovuto necessariamente valutare la condotta del socio superstite alla luce della clausola contenuta nello statuto limitativa della circolazione mortis causa delle partecipazioni.

È noto infatti che la vocazione personalistica delle società a responsabilità limitata, rappresentata dalla previsione dell’art.2469 c.c., consente ai soci di impedire o limitare in statuto la circolazione delle partecipazioni sia inter vivos che mortis causa.

La deroga alla libera trasferibilità delle partecipazioni trova ragione giuridica nel principio di autonomia privata scaturente dalla centralità della figura del socio anche nella organizzazione dell’attività sociale. Proprio per tale motivo, l’interesse del socio he manifesta la propria volontà a disinvestire la partecipazione e l’interesse dei soci superstiti a tutelarsi dall’ingresso di nuovi soci trovano bilanciamento e soluzione nel diritto di recesso in favore del socio che manifesta la propria volontà ad uscire dalla compagine sociale.

La cessione delle partecipazioni del socio (e quindi la modifica della compagine sociale) può esser impedita sia in modo totale, disponendosi l’intrasferibilità assoluta, sia in modo relativo, prevedendo l’intrasferibilità temporanea, la clausola di prelazione o quella di gradimento.

Tale preliminare distinzione è quantomai necessaria poiché, in ipotesi di assoluta intrasferibilità della partecipazione, secondo quanto previsto dall’art. 2469 comma 2 c.c., va riconosciuto al socio il diritto di libera recedibilità ad nutum in quanto “conforme ai detti principi nonché coerente con il disposto dell’art. 2743 c.c., espressamente richiamato dalla disposizione in parola. Il libero recesso di cui all’art. 2743 c.c. è espressamente previsto a fronte di una modifica sostanziale degli elementi essenziali della società, […], la revoca dello stato di liquidazione, l’eliminazione di una o più cause di recesso originariamente previste, la sostanziale modifica dei diritti attribuiti ai soci dall’art. 2468, comma 4, c.c., oltre che nel caso di società contratta a tempo indeterminato. Il libero recesso è, dunque, concesso a fronte di situazioni che determinano una rilevante e sostanziale modifica della società oppure nel diverso caso di società con durata indeterminata. In tal modo, si vuole tutelare il socio di fronte alla possibilità di “rimanere prigioniero” della propria partecipazione sociale o comunque di una società che si presenta sostanzialmente diversa da quella originariamente voluta” (Tribunale Nocera Inferiore sez. I, 25/06/2019, n.818).

Diversamente, la clausola di gradimento identifica ossia “una mera limitazione alla trasferibilità” (Tribunale Nocera Inferiore cit.) in quanto subordina l’operazione di cessione all’approvazione di un organo sociale, dei soci, o di terzi. Comunemente si distingue il mero gradimento – nel caso in cui il rifiuto non debba essere motivato – dal non mero gradimento. Efficace e puntuale è la definizione elaborata dal Comitato Trivento Notarile secondo il quale “costituisce clausola di mero gradimento rimettere al potere discrezionale dei soggetti di cui all’art. 2469 c.c. la facoltà di concedere o meno il gradimento all’alienazione delle partecipazioni senza dettare condizioni specifiche oggettive alle quali subordinare il gradimento ed affidando quindi il giudizio alla discrezionalità dei soggetti preposti al gradimento” (I.I.2 Orientamenti Societari I. 1° pubbl. 9/04) mentre “Non costituiscono clausole di mero gradimento quelle previsioni statutarie che predeterminino le qualità soggettive o le specifiche situazioni oggettive alle quali è subordinata la concessione del gradimento” (I.I.3 Orientamenti Societari I. 1° pubbl. 9/04).

Quanto poi alla clausola prelatizia, va evidenziato che questa riconosce al socio di esser preferito nel trasferimento della quota in quanto “la clausola di prelazione prevista dallo statuto di una società a responsabilità limitata è dettata nell’interesse dei soci che intendono garantirsi contro il rischio di mutamento della compagine sociale” (Cassazione civile sez. I – 02/05/2007, n. 10121) ed è comunque “preordinato a garantire un particolare assetto proprietario” (Tribunale Sez. spec. Impresa – Roma, 26/05/2021, n. 9249)

L’inserimento delle clausole limitative della trasferibilità in statuto attribuisce alla previsione efficacia reale ma non il potere di riscatto da parte degli altri soci: “Dall’efficacia reale del patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali non discende anche il potere di riscatto da parte del prelazionario pretermesso. Tale efficacia reale va letta come inefficacia rispetto alla società del trasferimento eseguito in violazione della clausola, ma non comporta anche un diritto del socio pretermesso a riscattare la partecipazione, oggetto della cessione, non preceduta da adeguata denuntiatio” (Tribunale sez. III – Roma, 27/10/2015, in senso conf. Tribunale Sez. spec. Impresa – Roma, 26/05/2021, n. 9249); ciò in quanto “il diritto di riscatto costituisce un così intenso limite all’autonomia contrattuale ed al principio generale di cui all’art.1379 c.c. che non può ravvisarsi in ipotesi diverse da quelle di prelazione legale in tal senso espressamente regolate dalla legge” (Tribunale Sez. spec. Impresa – Milano, 26/02/2015, in senso conf. Tribunale – Milano, 09/03/2015)

Per inciso, preme rilevare che si ritiene che la denuntiatio costituisca una mera dichiarazione dell’intenzione di cedere le partecipazioni societarie ad una terza parte: così che a questa manifestazione segua dapprima la proposta del socio interessato e l’accettazione finale del denunziante (Tribunale – Milano, 23/04/2013). Tuttavia, il contenuto della denunzia può ben rappresentare una vera e propria proposta contrattuale innescando così l’accettazione del socio ricevente.

La sopradescritta autonomia contrattuale dei soci è estesa dal legislatore anche ai trasferimenti mortis causa, con attribuzione a questi del diritto di recesso giusta previsione di cui all’art. 2469 cc.

In realtà, come ben osservato dal Comitato Notarile del Triveneto “Nel caso in cui l’atto costitutivo ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte della partecipazione di un socio deceduto, agli eredi di detto socio non viene attribuita la qualità di soci. Pertanto, ai medesimi non compete una facoltà di recesso in senso tecnico, come letteralmente proposto dall’art. 2469, comma 2, c.c., bensì il diritto alla liquidazione della partecipazione secondo le modalità previste per il recesso” (I.I.14 Orientamenti Societari 1° pubbl. 9/04)

Nel caso in esame la clausola contenuta nello statuto prevedeva che “in caso di morte di uno dei soci gli altri debbano decidere se: liquidare la quota degli eredi, continuare la società con gli eredi stessi, sciogliere la società”. In aderenza a tale previsione, il socio superstite aveva comunicato agli eredi di voler continuare l’attività con gli stessi; successivamente, a fronte del mancato riscontro e quindi della inerzia di questi, aveva proceduto a deliberare lo scioglimento della società e alla nomina di un liquidatore.

Correttamente il Tribunale Veneziano ha identificato il momento in cui si è modificata la compagine sociale nel momento in cui il socio superstite ha dichiarato agli eredi di voler con gli stessi continuare l’attività: tale dichiarazione ha infatti rimosso il limite della intrasferibilità previsto dalla clausola statutaria così determinando l’insorgere in capo agli eredi della qualità di socio.

In senso conforme si rinviene in giurisprudenza precedente secondo il quale: “la quota del socio defunto non si trasferisce automaticamente agli eredi nel caso in cui tale trasferimento sia subordinato alla clausola di gradimento – la cui ratio è quella di limitare la circolazione delle quote impedendo l’automatico trasferimento delle stesse mortis causa -, ma questi acquisteranno tale titolarità solo nel caso in cui venga espresso il gradimento da parte degli organi deputati o dei soci superstiti: altrimenti avranno esclusivamente diritto ad ottenere la liquidazione della quota.” (Tribunale sez. IV – Bari, 08/06/2016, n. 3147).

Indifferente, quindi, risulta l’iniziale mancato riscontro da parte degli eredi alla comunicazione del socio superstite circa il trasferimento delle partecipazioni: la rimozione del limite, secondo la previsione della clausola statutaria, dipende dalla volontà del socio superstite rimanendo impermeabile l’insorgenza del diritto (avvenuto con la comunicazione) alla successiva (iniziale) inerzia degli eredi del socio defunto.

Correttamente, inoltre, il Giudice veneziano ha ritenuto che non potesse avere alcun rilievo sulla identificazione della qualità di erede la mancata nomina del rappresentante comune, influendo detta nomina solo sull’esercizio dei diritti sociali. Anche per tale orientamento si rinviene precedente conforme secondo il quale “Nel caso in cui non si sia addivenuti, per qualsiasi causa, allo scioglimento della comunione di una partecipazione in società a responsabilità limitata, o lo scioglimento non sia comunque stato provato, la quota ricade in comunione indivisa e ai contitolari è precluso l’esercizio in forma individuale delle prerogative connesse allo status di socio (qualifica attribuibile non al singolo, ma alla collettività dei comproprietari unitariamente considerata), attuabile soltanto per il tramite di un rappresentante comune. Peraltro, siffatta carenza di titolarità del rapporto è rilevabile d’ufficio dal giudice, se risultante dagli atti di causa”. (Tribunale – Napoli, 04/05/2017).

Infine, è assolutamente pregevole la motivazione in ragione della quale dichiara l’inammissibilità della nomina del liquidatore giudiziale pur avendo accolto la domanda relativa alla invalidità della delibera: nel richiamare l’orientamento della Cassazione -e così sottolineando la forma del provvedimento (decreto), la sommarietà del procedimento, la carenza di decisorietà e la non reclamabilità-, il Tribunale di Venezia ben precisa che la natura dell’intervento del Tribunale è funzionale alla regolazione di un mero contrasto “gestionale” o alla rimozione di un “vuoto” di potere con approccio collaborativo.

A margine, preme riportare l’orientamento della giurisprudenza in materia di patti successori per la quale “Il decesso di un socio di una società a responsabilità limitata può consentire all’altro di liquidare gli eredi comprando le quote della compagine a un prezzo da determinare in base al bilancio e all’avviamento; non viola il divieto di patti successori, infatti, la clausola statutaria della società di capitali che autorizza il socio superstite a subentrare ai discendenti dell’ex partner d’impresa” (Cassazione civile sez. I – 12/02/2010, n. 3345).

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