Il tardivo od omesso pagamento del fondo spese al delegato alla vendita (non) determina la chiusura anticipata dell’esecuzione
di Angela Martire Scarica in PDFTribunale di Trento, ord. 2 novembre 2020, G.E. dott. Sieff
Massima
L’ingiustificata inerzia del creditore procedente nel pagamento del fondo spese al delegato entro il termine perentorio assegnato dal G.E. nel disporre la vendita costituisce causa di estinzione atipica del processo esecutivo, prevista dalla legge (art. 187 bis disp. att. c.p.c., che affianca alla figura dell’estinzione quella della “chiusura anticipata del processo esecutivo”), comunque discendente dalla violazione del principio di durata ragionevole del processo esecutivo, ai sensi dell’art. 111, comma 2, Cost. (massima non ufficiale).
CASO
Il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Trento, in accoglimento dell’opposizione proposta dal creditore procedente, ha revocato l’ordinanza con la quale aveva disposto la chiusura anticipata del procedimento esecutivo immobiliare, adducendo che, stante il mancato pagamento del fondo spese nel termine stabilito nell’ordinanza di vendita, “l’ingiustificata inerzia del creditore costituisca causa di estinzione atipica del processo esecutivo, prevista dalla legge (art. 187 bis d.a. cpc, che affianca alla figura dell’estinzione quella della “chiusura anticipata del processo esecutivo”) e comunque discendente dalla violazione della riportata previsione costituzionale;…”, rilevando altresì che, “d’altro canto, nemmeno può ritenersi che il processo possa rimanere sostanzialmente quiescente a tempo indeterminato per volontà dei creditori cui è fatto onere di compiere gli atti di impulso, dandosi altrimenti adito a possibilità di surrettizie sospensioni del processo esecutivo non previste dalla legge, e così di perpetrare un abuso del diritto di azione esecutiva poiché esercitato in spregio del principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.)”.
Nell’ambito di un procedimento esecutivo immobiliare avanti al Tribunale di Trento il Giudice dell’esecuzione disponeva la vendita del compendio immobiliare pignorato.
Medio tempore il creditore procedente cedeva il credito fondante l’esecuzione immobiliare ad altri soggetti, che pertanto subentravano nella titolarità dei crediti vantati nei confronti degli esecutati.
In conseguenza dell’intervenuta cessione del credito, stante l’approssimarsi della scadenza del termine per il pagamento del fondo spese al delegato alla vendita stabilito nell’ordinanza di vendita, al fine di non inficiare l’azione esecutiva intrapresa e proseguita, il creditore cedente proponeva istanza di concessione di una proroga dei termini per gli incombenti a carico del creditore procedente di cui all’ordinanza di vendita, tale da consentire ai cessionari, in ragione della attuale titolarità del credito oggetto di causa, di predisporre la propria costituzione nel procedimento esecutivo e dare attuazione a quanto stabilito nella predetta ordinanza ex art. 569 c.p.c.
In data 02.11.20 il Giudice dell’esecuzione emetteva l’ordinanza con la quale disponeva la chiusura anticipata del procedimento esecutivo, ritenendo non accoglibile la summenzionata istanza di proroga del creditore procedente.
Avverso tale ordinanza sia il creditore cedente che i cessionari – nel frattempo intervenuti ex art. 111 c.p.c. – proponevano opposizione all’esecuzione ex art. 617 c.p.c. e reclamo al Collegio ex art. 630, comma 3, c.p.c.
SOLUZIONE
Nelle more dello svolgimento dei procedimenti di opposizione e impugnazione dell’ordinanza estintiva del processo esecutivo, il Giudice dell’esecuzione riteneva motu proprio di accogliere le istanze di parte creditrice procedente, disponendo la revoca dell’ordinanza 02.11.2020 e la prosecuzione del processo esecutivo con le attività di vendita. Conseguentemente il Collegio dava atto dell’intervenuta revoca dell’ordinanza 02.11.2020 reclamata ex art. 630, comma 3, c.p.c. e, nella stessa opposizione ex art. 617 c.p.c., il Giudice dell’esecuzione dichiarava cessata la materia del contendere.
QUESTIONI
L’ordinanza in esame parte dalla constatazione che parte creditrice procedente non aveva provveduto al tempestivo pagamento del fondo spese per dare corso alle attività di vendita del compendio immobiliare pignorato nei termini stabiliti nell’ordinanza di vendita. Al mancato ovvero tardivo pagamento ad opera del creditore procedente, che frattanto aveva ceduto il credito azionato in executivis, è seguita la declaratoria di chiusura anticipata del processo esecutivo ad opera del Giudice dell’esecuzione, i cui assunti non apparivano condivisibili in ragione del dettato normativo e delle pronunce di legittimità e di merito in subiecta materia, che – in epilogo – hanno trovato applicazione da parte dello stesso Giudice dell’esecuzione che ha revocato l’opposta ordinanza, in accoglimento delle istanze di parte creditrice procedente azionate ex art. 617 c.p.c. e contestualmente ex art. 630, comma 3, c.p.c.
Il tardivo od omesso pagamento del fondo spese al delegato alla vendita non determina l’estinzione del processo esecutivo né una declaratoria di chiusura anticipata dell’esecuzione.
Innanzitutto è pacifico che i termini fissati dal Giudice dell’esecuzioni non possano avere natura perentoria, bensì ordinatoria (art. 152 c.p.c.; Cass. 1168/1967), talché il tardivo pagamento del fondo spese al delegato alla vendita nei termini stabiliti nell’ordinanza ex art. 569 c.p.c. non conduce il processo esecutivo all’estinzione, nulla essendo previsto da alcuna norma applicabile al processo esecutivo, né essendovi alcun disposto normativo che consenta al G.E. di fissare termini perentori o di ritenere perentorio, a pena di estinzione, il termine per il versamento del fondo spese al professionista delegato, tanto meno il primo termine assegnato per provvedervi.
Al riguardo, la giurisprudenza di merito ha avuto modo di pronunciarsi estendendo il principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione riguardante casi analoghi di estinzione atipica per improseguibilità della procedura esecutiva, rilevando che “non è legittimo un provvedimento del giudice dell’esecuzione che dichiari la estinzione del processo esecutivo per omesso versamento del fondo spese, non essendo detto termine espressamente qualificato come perentorio, né essendo consentito al giudice assegnare alle parti termini perentori non espressamente contemplati dal legislatore” (ex multis, Tribunale di Potenza, ordinanza 01.11.2018).
Nell’ordinanza di anticipata chiusura del processo esecutivo, che qui ci occupa, il Giudice richiama la precedente ordinanza di vendita, nella quale si avvertiva il creditore procedente che “il mancato versamento del fondo spese determina l’improcedibilità dell’azione, con conseguente chiusura anticipata del processo esecutivo e cancellazione dell’annotazione del pignoramento”.
La statuizione dell’ordinanza di vendita è tuttavia da ritenersi nulla, là dove implicitamente qualifica come perentorio il termine per il versamento del fondo spese e, di riflesso, è nulla l’ordinanza di chiusura della procedura esecutiva che su tale del tutto illegittima premessa vorrebbe poggiare la propria giustificazione. Mancando qualunque potere del G.E. di assegnare carattere perentorio, anziché meramente ordinatorio, al termine per il versamento del fondo spese al delegato, il passo dell’ordinanza di vendita è del tutto privo di qualsiasi base normativa, integrando esercizio di un potere giurisdizionale non previsto dall’ordinamento e non giustificabile con generiche esigenze di durata ragionevole e di efficienza del processo esecutivo, tantomeno in relazione all’abbrivio del subprocedimento di vendita.
Per chiare ragioni di garanzia e di predeterminazione legale delle cadenze processuali, come peraltro prescrive il comma 1 dell’art. 111 Cost. là dove prevede che il giusto processo sia “regolato dalla legge”, i termini perentori debbono essere stabiliti dalla legge in modo espresso (art. 152, comma 2, c.p.c.) ovvero possono essere stabiliti dal Giudice solo nel caso in cui sia a ciò autorizzato dalla legge.
Nell’ambito del processo esecutivo l’art. 484 c.p.c. stabilisce al quarto comma che “Si applicano al giudice dell’esecuzione le disposizioni degli artt. 174 e 175”.
Ai fini che qui interessano, viene in rilievo appunto l’art. 175 c.p.c., che attribuisce al Giudice i poteri ordinatori del procedimento, compresi quelli di fissare i termini per compiere gli atti processuali (co.2), senza tuttavia introdurre alcuna deroga al regime generale dei termini processuali di cui agli artt. 152-155 c.p.c.
Ciò significa che il G.E. non può introdurre ad nutum termini perentori in assenza di una norma espressa che a ciò lo abiliti, atteso che i termini di tale natura debbono trovare previsione espressa nella legge, per esigenze minime di garanzia delle parti e per la certezza insita nella predeterminazione delle regole del “giusto processo”.
La giurisprudenza di legittimità conferma questo ordine di valutazioni, con specifico riguardo al processo esecutivo:
“I termini eventualmente fissati dal giudice dell’esecuzione all’esercizio del generico potere ordinatorio attribuitogli dall’art. 175 c.p.c in relazione all’art. 484 c.p.c., per un più sollecito svolgimento del procedimento, sotto termini ordinatori, ed alla loro inosservanza non sono ricollegabili le nullità e le decadenze proprie dei termini perentori” (Cass. civ., 27/05/1967, n. 1168).
Più in generale, poi, la giurisprudenza ha precisato che “Non possono validamente essere comminati termini perentori non previsti espressamente dalla legge od alla cui fissazione il giudice non sia espressamente autorizzato dalla legge” (Cass. civ., sez. II, 22/04/1971, n. 1163).
Pertanto, l’indicazione del termine per il versamento del fondo spese quale termine perentorio è del tutto illegittima e non può in alcun caso consentire alcuna declaratoria di estinzione del processo esecutivo né una chiusura anticipata di questo, peraltro prevista nel solo caso di infruttuosità (art. 164 bis disp. att. c.p.c.).
Ciò posto, nel caso di specie risulta che frattanto il creditore procedente abbia comunque provveduto ai pagamenti disposti con l’ordinanza 21.08.20 ex art. 569 c.p.c.
Alla stregua del dettato normativo richiamato dall’ordinanza del Tribunale di Trento, l’estinzione del processo esecutivo allo spirate del termine “perentorio” ex lege o stabilito dal Giudice può essere dichiarata solo nei casi tassativamente previsti dalla legge.
Pertanto, avendo la decisione del Giudice condotto il procedimento esecutivo all’estinzione per l’omesso – ma, in realtà, solo tardivo – pagamento del fondo spese al delegato alla vendita, parrebbe trattarsi di una fattispecie cd. di estinzione atipica per asserita improseguibilità dell’esecuzione forzata.
Non v’è nell’art. 630 c.p.c. alcuna previsione che autorizzi il G.E. a dichiarare estinto il processo esecutivo per tardivo versamento del fondo spese al delegato.
Dunque, il Giudice dell’esecuzione, nell’addivenire alla declaratoria di estinzione anticipata del processo esecutivo, ritiene il mancato pagamento del fondo spese de quo rappresentativo del comportamento inerte delle parti.
La giurisprudenza di merito ha avuto modo di pronunciarsi al riguardo, rilevando che “In caso di mancato versamento del fondo spese nel termine assegnato dal giudice dell’esecuzione, spetta a questi valutare se da tale comportamento possa desumersi il disinteresse per il creditore alla prosecuzione del processo esecutivo; pur non essendo dunque prevista l’estinzione del processo, il Giudice che ha la facoltà di determinare le conseguenze del mancato rispetto del termine dovendosi accertare con riferimento al caso concreto – attraverso la valutazione discrezionale del complessivo comportamento processuale della parte – se vi siano o meno i presupposti per potersi parlare, effettivamente e sostanzialmente, di “inattività delle parti” ed emettere quindi il provvedimento di estinzione” (Trib. Monza, 27 Gennaio 2020).
Ha ritenuto il Giudice dell’esecuzione nell’ordinanza 02.11.2020 che “l’ingiustificata inerzia del creditore costituisca causa di estinzione atipica del processo esecutivo, prevista dalla legge (art. 187 bis d.a. cpc, che affianca alla figura dell’estinzione quella della “chiusura anticipata del processo esecutivo”) e comunque discendente dalla violazione della riportata previsione costituzionale…”.
Peraltro, il richiamato art. 187 bis, disp. att. c.p.c. non è pertinente: lo stesso si limita a far salvo l’acquisto dell’aggiudicatario o dell’assegnatario, anche quando il processo si estingua o venga chiuso in anticipo per infruttuosità, nulla potendosi desumere da tale disposizione circa il potere del G.E. di chiudere anticipatamente il processo esecutivo al di fuori dell’ipotesi di infruttuosità, di cui all’art. 164 bis disp. att. c.p.c.
In ogni caso, il prefato assunto pare ancora una volta riferirsi all’inerzia per mancato pagamento del fondo spese ad opera del creditore procedente, giacché nel caso di specie non è emerso alcun comportamento inerte del creditore procedente, mantenutosi parte attiva ed interessata al prosieguo del procedimento esecutivo: semplicemente, si era avuta nelle more la cessione del credito azionato in executivis, donde un lieve ritardo nel versamento de quo, non certo un’inerzia tale da mostrare disinteresse alla prosecuzione della procedura. Tant’è che pure era stata depositata l’istanza di proroga dei termini di cui all’ordinanza 21.08.20 ex art. 569 c.p.c. per gli incombenti a carico del creditore procedente, per consentire ai cessionari di costituirsi in giudizio ai sensi dell’art. 111 c.p.c. (come effettivamente avvenuto).
Tali circostanze, emblematiche dell’interesse a coltivare l’esecuzione, sono state tuttavia disattese dal G.E., assumendo a reiezione della predetta istanza di proroga: “che, d’altro canto, nemmeno può ritenersi che il processo possa rimanere sostanzialmente quiescente a tempo indeterminato per volontà dei creditori cui è fatto onere di compiere gli atti di impulso, dandosi altrimenti adito a possibilità di surrettizie sospensioni del processo esecutivo non previste dalla legge, e così di perpetrare un abuso del diritto di azione esecutiva poiché esercitato in spregio del principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.);..”.
Affermazioni anche queste in alcun modo pertinenti rispetto al caso in esame, in cui non vi è stata manifestazione di alcun intento volto alla quiescenza sine die del processo esecutivo, né condotte dilatorie e tanto meno abusive.
Come sopra argomentato, il termine relativo al pagamento del fondo spese non può considerarsi perentorio ed è perciò prorogabile da parte del G.E. né la sua scadenza può determinare alcuna sorta di estinzione o chiusura anticipata del processo esecutivo, essendo semmai il G.E. chiamato a valutare il comportamento delle parti (procedente ed intervenuti muniti di titolo esecutivo) in ordine all’effettivo interesse a dare impulso all’azione esecutiva intrapresa, fissando all’uopo un’udienza nella quale sentire tutti i creditori coinvolti nella procedura.
Diversamente nel caso in esame risulta che, nell’ambito dei poteri di direzione del processo esecutivo ex art. 484 c.p.c., non sia nemmeno appurata la volontà delle altre parti creditrici intervenute munite di titolo esecutivo, di surrogarsi (in solido) al procedente nelle attività di impulso dell’esecuzione, nell’eventualità di una effettiva inerzia e disinteresse ad agire in executivis da parte del procedente stesso.
Non si tratta quindi – diversamente da quanto riportato nell’ordinanza in commento – di quiescenza a tempo indeterminato per volontà dei creditori, tanto meno di inedite sospensioni del processo esecutivo.
Il processo è retto dal principio dell’impulso di parte sicché la mera e rituale richiesta di concessione della proroga di un termine ordinatorio non può tramutarsi nell’effetto distorsivo dell’abuso dello strumento processuale e neppure di ritiene vada ad incidere significativamente sulla ragionevole durata del processo.
Peraltro e come noto, il termine ordinatorio, ai sensi dell’art. 154 c.p.c., è suscettibile di proroga prima della scadenza e, nel caso di specie, tale proroga è stata effettivamente richiesta in termini ovverosia prima della scadenza per il pagamento del fondo spese al delegato alla vendita.
Pertanto, non è condivisibile che una prima proroga sia suscettibile di inficiare la ragionevole durata del processo. Diversamente opinando, la previsione dell’art. 154 c.p.c. dovrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima, ma ciò sarebbe all’evidenza doppiamente irragionevole, giacché per un verso non si vede come una proroga di un termine ordinatorio comporti ipso facto un vulnus al citato principio costituzionale; mentre, dall’altro lato, ciò equivarrebbe a cancellare la stessa distinzione tra termini ordinatori e perentori, di fatto riconoscendo solo alla seconda categoria che, invece, nella ratio dell’art. 153 c.p.c. costituisce l’eccezione alla regola senza che ciò abbia mai configurato questioni di legittimità costituzionale.
L’abuso del diritto di azione esecutiva, cui apoditticamente fa riferimento l’ordinanza del Tribunale di Trento, potrebbe configurarsi nel caso di reiterazione di istanze dilatorie, non certo di prima proposizione di una istanza di proroga, tra l’altro giustificata da una vicenda giuridica modificativa del soggetto creditore.
Si consideri che anche l’art. 567 c.p.c., pur a fronte di un termine previsto a pena di estinzione per il deposito della certificazione notarile, consente di chiederne la proroga per una volta per ulteriori sessanta giorni. Sarebbe dunque assurdo e del tutto irragionevole la negazione della proroga di un termine, che la legge non consente neppure di qualificare come perentorio, qual è il termine per il versamento del fondo spese al delegato, stabilito ad libitum dal G.E.
Ad ogni buon conto, nel caso di specie assumono rilievo diritti di rilevanza costituzionale: da una parte il diritto all’azione (art. 24 Cost.), dall’altra quello del giusto processo regolato dalla legge (art. 111 Cost.).
Sennonché la motivazione addotta con l’ordinanza de qua appare avulsa da una valutazione in concreto delle circostanze che hanno informato gli ultimi accadimenti del procedimento esecutivo, tant’è che il Giudice ha ritenuto di dichiarare la chiusura anticipata del processo in applicazione di criteri astratti volti alla maggiore affermazione del principio della ragionevole durata sugli altri principi che informano il processo esecutivo, a titolo esemplificativo: l’adeguatezza allo scopo, la proporzionalità ed economicità dell’esecuzione, la par condicio creditorum, la tutela del debitore per non subire un’ingiusta esecuzione.
Sul finire, ci si permette di osservare che diversamente il Giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto considerare la necessità di trovare un punto di equilibrio tra diverse esigenze, in un contesto in cui si ritiene che le facoltà in capo alla procedente nell’esercizio del diritto all’azione (art. 24 Cost.) siano state legittimamente esercitate senza intaccare i canoni informati al giusto processo (art. 111 Cost.), predicabile invero anche alla luce di principi di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) che impongono alle parti processuali di comportarsi secondo le regole della correttezza e buona fede.
Diversamente la prassi (inizialmente) adottata dal Giudice dell’esecuzione di utilizzare, in definitiva, il mancato pagamento del fondo spese al delegato entro un determinato termine come strumento deflattivo della procedura esecutiva condurrebbe ad evidenti conseguenze in danno ai creditori, che sino a quel momento hanno sopportato le ingenti spese della procedura esecutiva. In questo si ha semmai una chiara violazione del diritto alla tutela giurisdizionale e al giusto processo esecutivo, di cui agli artt. 24 e 111 Cost.
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