Tante proposte di legge per lo sport … forse troppe
di Guido Martinelli Scarica in PDFIn un momento come questo in cui l’attenzione è concentrata sui futuri decreti delegati di riforma del terzo settore, rischia di non avere adeguato risalto che, davanti alla Commissione cultura della Camera, pendono due proposte di legge, la n. 1680, presentata il 10 ottobre 2013, primo firmatario l’Onorevole Fossati, “disposizioni per il riconoscimento e la promozione della funzione sociale dello sport nonché delega al Governo per la redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di attività sportiva”, sulla quale è già in essere la discussione in commissione ed è già presente nel calendario dell’aula per ottobre, e l’altra, presentata lo scorso 28 giugno, dalla deputata Sbrollini, responsabile per lo sport del partito democratico (n. 3936) “disciplina delle attività sportive dilettantistiche”.
La circostanza che provengono dalla medesima matrice politica e che in alcune soluzioni si sovrappongono, fa auspicare che si possa arrivare ad una loro riunificazione con l’obiettivo di poter giungere, come indicato dalla relazione al progetto di legge Sbrollini, a “porre le basi per una riforma organica dello sport dilettantistico”.
Lette, pertanto, in una visione unitaria, va evidenziato che emergono più luci che ombre dai testi in esame. Finalmente si toccano, sia pur in alcuni casi con soluzioni diverse, alcuni nodi essenziali della disciplina giuridico – amministrativa del mondo dello sport dilettantistico. Si definisce, finalmente, cosa debba intendersi per attività sportiva dilettantistica e si ufficializza la presenza, nel mondo dello sport, di imprese che vogliono fare in maniera ottimale attività sportive ma che ritengono di poter ottenere anche una remunerazione per il capitale da loro investito. Per la prima volta, pertanto, cade il tabù dell’obbligo della assenza di scopo di lucro nel mondo dilettantistico. Quando questo accadde, con la novella di recepimento della sentenza dell’Alta Corte di Giustizia della U.E. sul caso Bosman, per il professionismo sportivo, fu salutata con disfavore ma sicuramente non “ha fatto” danni. Siamo convinti che questo non accada neanche nel dilettantismo, specialmente in un momento storico come quello attuale in cui anche la legge di riforma sul terzo settore, recentemente approvata, ha aperto le porte per una parziale remunerazione del capitale investito. D’altro canto, in un momento storico quale quello attuale, la presenza del pubblico nei servizi sociali, quali quelli di carattere sportivo, non può che essere parziale.
Per finire si tenta di dare una disciplina al c.d. lavoro sportivo dilettantistico offrendogli una sia pure minima tutela e garanzia uscendo dalla logica perversa dell’esonero totale dal versamento di contributi previdenziali.
Assodato che alcuni contenuti appaiono vitali per lo sviluppo della disciplina dello sport dilettantistico, non possono essere taciute le due più grandi criticità ad avviso dello scrivente. La prima legata alla assenza totale di collegamenti con la nuova disciplina del terzo settore. Sembra quasi che lo sport non voglia o non possa farne parte. La seconda, con particolare riferimento al testo della Sbrollini, inserendo una serie di agevolazioni fiscali importanti (in alcuni casi anche in favore delle nuove società sportive con scopo di lucro)senza che vi sia alcun accenno agli obblighi di copertura e, in alcuni casi, quando ad esempio si prevede una aliquota Iva ridotta al 10% per le prestazioni di servizi sportivi da parte delle società lucrative senza ricordare che tale imposta non ha carattere domestico e che, pertanto, sarà necessario a tal fine trovare gli sbocchi a livello europeo.
Entrambi i testi meriterebbero un confronto e un dibattito molto ampio. Ad esempio, la disciplina sul lavoro dilettantistico, con una aliquota previdenziale del 10% (addirittura ridotto del 50% per i primi due anni) solo sugli importi eccedenti i diecimila euro, non consentirà mai al lavoratore sportivo dilettante, con il sistema contributivo, di raggiungere un trattamento previdenziale che gli possa garantire una sopravvivenza. Ma resta comunque un primo passo importante in una direzione sempre da noi auspicata.
Va detto che sono inserite alcune agevolazioni (il passaggio del tetto per l’applicazione della L. 398/1991 a 350.000 euro, l’aumento da 7.500 euro a 10.000 del limite di cui all’articolo 69 Tuir, la riduzione al 50% del reddito imponibile delle società sportive for profit, l’incremento da 210 a 600 euro della detrazione per oneri per la partecipazione a corsi sportivi, allargata pure agli adulti, l’eliminazione dell’equo compenso per i fonografici) sicuramente interessanti ma di per se non significative che rischiano soltanto di bloccare il provvedimento per carenza di coperture, fermando, invece, l’introduzione degli altri punti sopradescritti attesi da tempo dal mondo sportivo.
Di notevole importanza appare anche, in questo periodo in cui il mondo dello sport è disorientato dalle altalenanti indicazioni che provengono sugli obblighi della certificazione sanitaria e del defibrillatore, la delega al Governo, presente nella proposta di legge Fossati, per la redazione di un testo unico in materia di attività sportive. Potrebbe essere il giusto anello di collegamento con la residua disciplina del terzo settore.
Ci si augura che i problemi del referendum costituzionale e della legge di stabilità che saranno in autunno all’ordine del giorno della agenda politica non facciano dimenticare questa lodevole iniziativa di cui lo sport sente sempre più il bisogno.