17 Gennaio 2023

Superbonus, domanda di cessione del credito d’imposta e rifiuto della banca: obbligo di motivazione

di Valerio Sangiovanni, Avvocato Scarica in PDF

Arbitro Bancario Finanziario, Decisione n. 13177, 11 ottobre 2022, Rel. Scannella

Parole chiave Superbonus – Credito d’imposta – Proposta di cessione del credito – Rifiuto dell’acquisto – Obbligo di motivazione

Massima: “Nel contesto delle trattative volte alla cessione di crediti d’imposta alla banca, laddove la banca rifiuti l’acquisto del credito, la banca è obbligata a comunicare al proponente le ragioni del proprio diniego, in applicazione dei canoni di buona fede e correttezza”.

Disposizioni applicate

Art. 121 D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali), art. 1260 c.c. (cedibilità dei crediti)

CASO

Una persona presenta a una banca domanda di cessione di propri crediti fiscali, maturati a seguito di operazioni di efficientamento energetico di un edificio. Vengono eseguiti i controlli da parte dell’Agenzia delle entrate e i crediti vengono resi disponibili per la cessione all’intermediario. Tuttavia la banca rigetta la proposta del cliente e non acquista i crediti d’imposta, senza addurre alcuna motivazione. Il cliente si rivolge allora all’Arbitro Bancario Finanziario per ottenere la motivazione del rifiuto all’acquisto del credito.

SOLUZIONE

L’Arbitro Bancario Finanziario nega che esista un obbligo di contrarre delle banche. Tuttavia il medesimo Arbitro chiarisce che la banca che nega il finanziamento ha l’obbligo di spiegare al cliente le ragioni del diniego.

QUESTIONI

Il superbonus sta generando un significativo contenzioso fra le varie parti interessate all’operazione. Un ramo di questo contenzioso concerne le cessioni dei crediti e i rapporti fra i contribuenti e le banche. Alcune volte le banche accettano i crediti d’imposta e li liquidano, previa deduzione di un certo importo a titolo di commissione. In altri casi, tuttavia, le banche non acquistano i crediti. Quest’ultima è proprio la fattispecie trattata dall’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) nella decisione n. 13177 del 2022 oggetto di questo breve commento. Il cliente non nega il diritto della banca a rifiutare l’acquisto del credito, ma vuole conoscerne le motivazioni.

La prima questione che affronta l’Arbitro Bancario Finanziario è se sussista la sua competenza relativamente alla cessione di crediti d’imposta. La risposta che viene offerta è positiva. Il contratto di cessione del credito di cui sia parte una banca è un contratto bancario. Vero è che la disciplina prevista nel codice civile (art. 1260 e ss. c.c.) non si rivolge alle banche e concerne la cessione dei crediti in generale. Tuttavia, nel testo unico bancario è previsto espressamente che, fra le attività che la banche possono svolgere professionalmente, rientra anche la cessione dei crediti. Fra le attività ammesse al mutuo riconoscimento vengono difatti elencate anche “le cessioni di credito pro soluto e pro solvendo” (art. 2 comma 1 lett. f t.u.b.).

Del resto, il contratto di cessione di credito ha anche una funzione di finanziamento/agevolazione finanziaria. Il credito d’imposta matura in capo al contribuente; tuttavia questi non può incassarlo dallo Stato, bensì solo portarlo in detrazione. Per “trasformare” il credito d’imposta in danaro, bisogna cederlo a una banca. Più precisamente il “superbonus” è così denominato in quanto, a fronte di una spesa (si immagini) di 10.000 euro, viene riconosciuto un credito nella misura del 110%, ossia – nell’esempio fatto – di 11.000 euro. Quando il credito viene portato in banca per la cessione, la banca lo acquista con una certa percentuale di sconto, che rappresenta il guadagno della banca. Così potrebbe capitare che la banca paghi 9.000 euro per un credito che ne vale al nominale 11.000, traendo un guadagno di 2.000 euro. I 9.000 euro percepiti dal venditore costituiscono un finanziamento/agevolazione finanziaria per il contribuente, nel senso di consentirgli di monetizzare subito il suo credito.

Affermata la propria competenza, l’Arbitro Bancario Finanziario può entrare nel merito della controversia. Il primo principio enunciato è che le banche non sono obbligate a contrarre. La domanda di cessione del credito non è altro che una proposta contrattuale, la quale – per trasformarsi in vincolo giuridico – deve essere accettata dalla banca. Se la banca non accetta la proposta di cessione, il contratto non si perfeziona. Nello specifico caso affrontato dall’ABF nella decisione n. 13177 qui in commento, nella richiesta di cessione era previsto che la banca avesse il potere discrezionale di rifiutare la proposta a suo insindacabile giudizio.

Fermo dunque che la banca non ha un obbligo di contrarre, una questione diversa è invece se la banca – laddove non compri il credito – sia obbligata a motivare il proprio diniego. Intuitivamente verrebbe da rispondere negativamente a questo quesito: se non vi è obbligo di contrarre, perché dovrebbe esserci obbligo di motivare il rifiuto del credito? I contratti bancari non prevedono quasi mai espressamente l’obbligo di motivare il rifiuto del credito. Del resto, se il credito non viene concesso, non si arriva nemmeno alla conclusione di un contratto. Ma similmente la documentazione precontrattuale, nella stragrande maggioranza dei casi, non obbliga la banca a motivare il rifiuto del credito.

Sul lato normativo, nel nostro ordinamento è rinvenibile un elemento testuale dal quale si può desumere – per quanto indirettamente e con uno sforzo interpretativo – un obbligo di motivare il rifiuto del credito. Si tratta dell’art. 125 comma 2 t.u.b., secondo cui “se il rifiuto della domanda di credito si base sulle informazioni presenti in una banca dati, il finanziamento informa il consumatore immediatamente e gratuitamente del risultato della consultazione e degli estremi della banca dati”. Vanno tuttavia fatte alcune precisazioni. La prima considerazione è che questa disposizione è dettata nell’ambito del credito al consumo, ossia una normativa speciale (di derivazione comunitaria a tutela del consumatore): la sua estensibilità al di fuori di detto contesto è dubbia. La seconda considerazione è che l’art. 125 comma 2 t.u.b. non obbliga a spiegare in dettaglio le ragioni del rifiuto, ma semplicemente a indicare quale banca dati sia stata consultata.

La giurisprudenza dell’Arbitro Bancario Finanziario ha però enucleato il principio che i rifiuti delle domande di credito devono essere, seppure sommariamente, motivati. Questo vale anche laddove il rifiuto del credito riguardi un credito d’imposta. Per giungere a questo risultato, l’ABF fa leva non tanto sulla disposizione particolare appena menzionata (l’art. 125 comma 2 t.u.b.), ma sui canoni di buona fede e correttezza che devono caratterizzare il rapporto fra le parti prima della conclusione del contratto. Da questi principi derivano i doveri di rispondere tempestivamente al cliente e, se la risposta alla domanda di credito è negativa, di motivare le ragioni del diniego. In conclusione, nella decisione n. 13177 del 2022, l’Arbitro Bancario Finanziario dichiara la banca tenuta a dichiarare le ragioni del diniego opposto alla cessione del credito.

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