13 Febbraio 2018

Sull’irreparabilità del periculum nei provvedimenti d’urgenza e sulla reclamabilità dei provvedimenti di attuazione

di Piervito Bonifacio Scarica in PDF

Trib. Napoli Nord, ord. 16 novembre 2017, Giudice Dott. Canciello

[1] Provvedimenti di urgenza – Periculum in mora – Irreparabilità – Diritti di credito (Cod. proc. civ., art. 700).

[2] Procedimenti cautelari – Reclamo – Attuazione – Inammissibilità (Cod. proc. civ., artt. 669-duodecies, 669-terdecies)

[1] La tutela cautelare d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. è ammissibile per i diritti di credito, a condizione che si tratti di diritti a contenuto patrimoniale e funzione non patrimoniale, ovvero di diritti a contenuto e funzione patrimoniale, ma che non potrebbero essere oggetto di un adeguato ristoro risarcitorio nell’ambito di un ordinario giudizio di cognizione con conseguente eccessivo scarto tra danno potenzialmente patito e danno effettivamente risarcito.

[2] È inammissibile il reclamo avverso il provvedimento di attuazione ex art. 669 duodecies c.p.c., in quanto avente contenuto meramente ordinatorio, con la conseguenza che le doglianze astrattamente sollevabili avverso le modalità di attuazione con lo stesso fissate possono essere sollevate solo nel successivo giudizio di merito o, in caso di mancata instaurazione del merito, stimolando l’esercizio da parte del giudice della cautela dei propri generali poteri di revoca e/o modifica delle ordinanze.

CASO

[1, 2] La società C., mediante contratto di appalto di servizi, commissionava alla società M. la gestione di un magazzino contenente merci che la stessa M. avrebbe poi dovuto consegnare a terzi indicati dalla committente. A seguito del recesso unilaterale esercitato dalla società C., l’appaltatrice M., sostenendo di vantare ingenti crediti per prestazioni non pagate, tratteneva presso un suo stabilimento merci della committente, invocando il diritto di ritenzione sulle stesse.

La committente proponeva quindi ricorso ex art. 700 c.p.c. chiedendo al Tribunale di Napoli Nord di ordinare all’appaltatrice di procedere all’immediata consegna delle merci trattenute.

Il Tribunale accoglieva il ricorso e, con una successiva ordinanza emessa ai sensi dell’art. 669duodecies c.p.c., dettava le modalità di attuazione del provvedimento cautelare.

L’appaltatrice proponeva due distinti reclami (avverso il provvedimento d’urgenza e avverso l’ordinanza di attuazione) che venivano successivamente riuniti.

SOLUZIONE

[1-2] Il Tribunale in composizione collegiale:

– rigettava il reclamo avverso il provvedimento d’urgenza, ritenendo sussistenti sia il fumus boni iuris che il periculum in mora e rilevando che la mancata consegna delle merci trattenute avrebbe determinato non solo la lesione dello statico valore di mercato o del presunto valore di realizzo delle stesse, ma anche l’irreparabile compromissione di ulteriori beni e valori a contenuto patrimoniale (quali il complesso delle economie di scala connesse alla gestione del magazzino, il mantenimento della clientela e della competitività concorrenziale di mercato, l’avviamento commerciale) che, all’esito di un ordinario giudizio di cognizione, non avrebbero potuto essere oggetto di un adeguato ristoro risarcitorio, con conseguente eccessivo scarto tra il danno potenzialmente patito e il danno effettivamente risarcito;

– dichiarava inammissibile il reclamo avverso l’ordinanza di attuazione, ritenendo tale rimedio non esperibile per i provvedimenti ex art. 669-duodecies c.p.c.

QUESTIONI

[1] Il provvedimento in commento si inserisce nel solco di quella evoluzione giurisprudenziale che ha portato al superamento dell’orientamento tradizionale secondo cui la tutela d’urgenza sarebbe ammissibile soltanto per i diritti assoluti e non anche per i diritti di credito. Tale orientamento è riconducibile alla tesi di Satta (S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, Padova, 1968, 270) che, partendo dalla distinzione tra le c.d. situazioni finali (i diritti assoluti) e le c.d. situazioni strumentali (le obbligazioni e i diritti potestativi), riteneva che soltanto le prime potessero essere lese irreparabilmente «durante e per la pendenza del processo», là dove, al contrario, le situazioni strumentali sarebbero insuscettibili «di subire un pregiudizio irreparabile, se non in linea di fatto». Si tratta di una tesi che, ormai, trova conferme giurisprudenziali sempre più isolate e sporadiche (Trib. Bologna 2 settembre 2014, Giur. it., 2015, 632, con nota critica di R. Conte). La giurisprudenza assolutamente maggioritaria ha infatti accolto una nozione più ampia di irreparabilità, escludendone l’identificazione con il concetto di irrisarcibilità ed ha così dilatato le possibilità di ricorrere ai provvedimenti di urgenza anche a tutela dei diritti di credito. E se, in una prima fase, la tutela d’urgenza era circoscritta ai diritti di credito a contenuto patrimoniale, ma a funzione non patrimoniale, in considerazione della necessità di salvaguardare quelle situazione giuridiche non patrimoniali alla cui soddisfazione il diritto di credito è preordinato (come ad esempio, in materia giuslavorista, il diritto ad un’esistenza libera e dignitosa di cui all’art. 36 Cost., che la retribuzione è volta ad assicurare – cfr. Trib. Lecce 19 ottobre 2016, www.dejure.it), in una fase successiva, la giurisprudenza ha ammesso l’applicabilità dell’art. 700 c.p.c. anche ai diritti a contenuto e funzione esclusivamente patrimoniale, quando sussista uno scarto eccessivo tra danno subito e danno risarcito (seguendo così la tesi di Andrioli, secondo cui l’irreparabilità ricorre nel caso in cui i rimedi apprestati dalla legge, anche eccezionali, siano in concreto inidonei ad «attuare integralmente il diritto dedotto in giudizio» – V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 252). In tal caso, l’irreparabilità viene intesa come «insuscettibilità di tutela piena ed effettiva della situazione medesima all’esito del giudizio di merito, fattispecie che ricorre ove l’istante abbia a disposizione strumenti risarcitori per la riparazione del pregiudizio sofferto ma gli stessi non appaiano in grado di assicurare un tutela satisfattoria completa» (Trib. Lecce 8 gennaio 2013, Corr. merito, 2013, 734, con nota di R. Giordano), con la conseguenza che tra il beneficio conseguibile mediante il soddisfacimento immediato e il risultato conseguibile all’esito del giudizio ordinario vi sarebbe una notevole discrepanza «in ragione della peculiare situazione, anche economica, della parte, dell’entità del credito o dell’attività svolta dall’istante» (Trib. Novara 24 agosto 2014, www.iusletter.com). Peraltro, la giurisprudenza, che sovente fa applicazione di tali principi al fine di ordinare d’urgenza la restituzione immediata della res oggetto di un contratto venuto meno – in particolare, con riferimento al caso della restituzione dell’azienda affittata, in considerazione dei pregiudizi che possono derivare dalla mancata restituzione immediata all’esercizio dell’attività di impresa (perdita dell’avviamento o della clientela) e alla difficoltà di procedere ad una loro quantificazione – ha sottolineato la necessità di apprezzare con particolare rigore, in questi casi, il requisito del periculum, tenendo conto della qualità e della posizione del titolare del diritto minacciato, nonché della natura e della portata dei beni e degli interessi strumentalmente connessi con quello azionato in sede cautelare. (cfr. Trib. Venezia 21 luglio 2017, www.ilcaso.it).

In dottrina, sul requisito della irreparabilità, si veda R. Conte, Commento all’art. 700 cpc, in Commentario al codice di procedura civile, diretto da Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella, v. VII, tomo II, Torino, 2014, 518 e s., A. Panzarola, I provvedimenti d’urgenza dell’art. 700 cpc, in I procedimenti cautelari, diretto da A. Carratta, Bologna, 2013, 843 e s.

[2] Il Tribunale di Napoli Nord, pronunciandosi poi sul reclamo proposto avverso l’ordinanza di attuazione ex art. 669-duodecies c.p.c., dopo aver dato atto dell’esistenza del contrasto dottrinale e giurisprudenziale sul tema, ha optato per la tesi dell’inammissibilità del reclamo (cfr., tra le pronunce più recenti, Trib. Mantova 19 settembre 2013, www.ilcaso.it, e Trib. Modena 21 settembre 2011, www.dejure.it). In particolare, il Tribunale ha rilevato che l’art. 669 terdecies c.p.c., nel disciplinare il mezzo del reclamo, fa riferimento esclusivamente ai provvedimenti che concedono o negano la cautela, non anche ai provvedimenti che, dopo la concessione, si limitano ad attuarla, i quali hanno un contenuto meramente ordinatorio e non costituiscono l’estrinsecazione di una nuova ed autonoma potestà decisoria. Pertanto le doglianze avverso le modalità di attuazione fissate ai sensi dell’art. 669-duodecies c.p.c. non possono che essere sollevate nel successivo giudizio di merito o, in mancanza, stimolando l’esercizio da parte del giudice della cautela dei propri generali poteri di revoca e/o modifica delle ordinanze.

Tale soluzione, in realtà, secondo parte della dottrina, dovrebbe considerarsi ammissibile solo qualora il giudice, in sede di attuazione del provvedimento cautelare, si sia limitato a modificare o integrare le modalità attuative già precedentemente fissate, senza in alcun modo incidere sul contenuto del provvedimento cautelare: in tal caso, infatti, dato che il provvedimento di attuazione non spiegherebbe alcun effetto sul tipo e sul contenuto della misura cautelare concessa, non si avrebbe un’illegittima reiterazione della potestà cautelare, ma soltanto l’esercizio, nelle forme dell’ordinanza sempre modificabile e revocabile, dei poteri di controllo di cui all’art. 669 duodecies c.p.c. (E. Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino, 2001, 210-211).

Tuttavia, non sempre l’attuazione della misura cautelare si risolve nella semplice individuazione delle modalità esecutive della stessa, potendo al contrario accadere che il provvedimento ex art. 669 duodecies c.p.c. finisca per modificare o disattendere il comando giudiziale che dovrebbe eseguire. Pertanto, secondo una parte della giurisprudenza (Trib. Bologna 20 marzo 2012, Riv. esecuzione forzata, 2012, 342, con nota di A. Merone, e Trib. Sala Consilina 16 novembre 2012, Giur. it, 2012, con nota di C. Delle Donne), il reclamo deve considerarsi ammissibile sia avverso il provvedimento di rigetto del ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c., sia avverso il provvedimento che integri e modifichi il contenuto del dictum cautelare, in senso quantitativo o qualitativo. In tali casi, infatti, si configura l’illegittimo esercizio di una potestà decisoria cautelare da parte del giudice dell’attuazione, il quale, peraltro, nel caso di rifiuto di pronunciarsi sulle modalità attuative, renderebbe di fatto addirittura inattuabile la misura cautelare, con il conseguente verificarsi di un effetto analogo al rigetto dell’istanza cautelare (F. Corsini, Il reclamo cautelare, Torino, 2002, 236). Sarebbe, pertanto, configurabile, secondo una parte della dottrina, un provvedimento abnorme, reclamabile in virtù dell’orientamento giurisprudenziale della prevalenza della sostanza sulla forma, ai fini dell’individuazione dei rimedi esperibili: l’esercizio illegittimo di poteri cautelari da parte del giudice dell’attuazione renderebbe necessario offrire alle parti un rimedio per contrastarne l’operato (A. Carratta, La fase di attuazione coattiva, in I procedimenti cautelari diretto da A. Carratta, Bologna, 2013, 422-423).