Sull’inammissibilità del ricorso straordinario avverso il provvedimento emesso ex art. 618, co. 2, c.p.c.
di Laura Costantino Scarica in PDFCass. Civ., sez. VI, Ord., 17 gennaio 2018, n. 1056 – Pres. Amendola – Rel. Rubino
Impugnazioni – Ricorso straordinario per cassazione – Esecuzione forzata – Pignoramento presso terzi – Ordinanza di assegnazione – Opposizione agli atti esecutivi – Introduzione del giudizio di merito (Cost. art. 111; Cod. proc. civ. artt. 289, 553, 617, 618)
[1] È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento reso dal giudice dell’esecuzione nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi, all’esito della fase sommaria, anche quando il giudice ometta di fissare un termine per l’introduzione del giudizio di merito e provveda sulle spese, trattandosi di provvedimento privo dei requisiti di decisorietà e definitività.
CASO
[1] Intrapresa una esecuzione nelle forme del pignoramento presso terzi, il giudice emetteva ordinanza di assegnazione del credito. Il terzo pignorato Inps proponeva opposizione agli atti esecutivi, affermando di aver reso dichiarazione negativa.
Il Giudice dell’esecuzione, con provvedimento reso a chiusura della fase sommaria, dichiarava inammissibile l’opposizione avverso l’ordinanza di assegnazione del credito, in quanto tardiva, e liquidava le spese di giudizio, senza fissare il termine per l’inizio della fase di merito.
L’Inps proponeva ricorso straordinario per cassazione, ritenendo di carattere definitivo il provvedimento emesso dal giudice dell’esecuzione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso in quanto proposto avverso un provvedimento non avente carattere definitivo, né decisorio. La Corte ritiene che l’omessa fissazione di un termine per l’introduzione del giudizio di merito non incida sul carattere non definitivo del provvedimento emesso all’esito della fase sommaria nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi.
A sostegno della decisione, la Cassazione evidenzia che tale omissione non preclude alla parte interessata l’accesso alla tutela a cognizione piena. L’opponente, in particolare, avrebbe potuto: a) iscrivere la causa di opposizione al ruolo contenzioso, a prescindere dalla concessione del termine; b) formulare apposita istanza ai sensi dell’art. 289 c.p.c., chiedendo l’integrazione del provvedimento al giudice dell’esecuzione.
QUESTIONI
[1] La pronuncia si inerisce nel solco del consolidato orientamento di legittimità, secondo cui in tema di opposizione agli atti esecutivi, nel regime dell’art. 618, co. 2, c.p.c., il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione provvede a definire la fase sommaria – tanto in senso negativo, quanto in senso positivo – senza fissazione del termine per l’inizio del giudizio di merito, non è impugnabile con il ricorso straordinario previsto dall’art. 111, co. 7, Cost., essendo privo del carattere della definitività (v. Cass., 6 febbraio 2017, n. 3082; Cass., 11 dicembre 2015, n. 25064; nel senso dell’inammissibilità del ricorso straordinario avverso il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 618, co. 2, c.p.c., che ometta di fissare il termine perentorio per l’iscrizione a ruolo della causa di merito, senza statuire sulle spese, v. Cass., 23 settembre 2009, n. 20532; sempre nel senso dell’inammissibilità del ricorso straordinario avverso il provvedimento che chiuda la fase sommaria, fissando il termine per l’introduzione del giudizio di merito, v. Cass., 26 novembre 2014, n. 25169).
Tale ricostruzione appare in linea con le modifiche intervenute ad opera della l. n. 52 del 2006.
Mentre nel regime precedente l’opposizione esecutiva era delineata come un procedimento contenzioso senza soluzione di continuità, essendo lo stesso giudice dell’esecuzione a disporre la prosecuzione del giudizio (relativo all’opposizione agli atti esecutivi) con le forme della cognizione ordinaria, nella formulazione attualmente vigente l’art. 618, co. 2, c.p.c. disciplina l’opposizione agli atti esecutivi in due distinte fasi (sulla struttura unitaria o bifasica del procedimento di opposizione agli atti esecutivi, v. Cass., 7 maggio 2015, n. 9246; Cass., 7 marzo 2017, n. 5608, secondo cui le opposizioni esecutive, pur essendo – nella attuale disciplina – distinte in due fasi, la prima sommaria e la seconda a cognizione piena, costituiscono un giudizio unico; contra Cass., 12 dicembre 2012, n. 22838, in Giur. it., 2013, 1615, con nota di L. Moretti, secondo cui nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi, ai fini dell’applicazione del termine lungo – ridotto a sei mesi dalla l. 18 giugno 2009 n. 69 – per l’impugnazione della sentenza che lo ha concluso, non rileva il momento in cui è stata introdotta e si è svolta la fase sommaria del corrispondente procedimento, bensì quello in cui è stato intrapreso il relativo giudizio di merito).
La prima fase in cui il giudice emette i provvedimenti indilazionabili, sospende eventualmente la procedura esecutiva e fissa il termine per l’introduzione del giudizio di merito; la seconda, meramente eventuale, affidata all’iniziativa della parte che abbia interesse ad una pronuncia sul merito (v. Cass, 6 dicembre 2011, n. 26185, secondo cui qualora il giudice revochi l’ordinanza opposta, l’opponente perde interesse all’instaurazione del giudizio di merito sull’opposizione, finalizzato alla rimozione del provvedimento stesso; v. Trib. Modena, 14 dicembre 2010, n. 1992, secondo cui, in caso di revoca del provvedimento opposto, non può ravvisarsi un interesse dell’opponente all’introduzione del giudizio di merito in relazione alle sole spese del giudizio).
Secondo la Corte, l’omessa concessione di un termine per l’inizio del giudizio di merito, così come la liquidazione delle spese di giudizio – nel caso di specie avvenuta – non incidono sulla natura sommaria e non definitiva del provvedimento emesso ai sensi dell’art. 618, co. 2, c.p.c..
Invero, l’irritualità del provvedimento reso all’esito della fase sommaria non vale ad attribuire efficacia definitiva e decisoria alla pronuncia, in quanto la chiusura del procedimento, conseguente l’omessa fissazione del termine, è del tutto provvisoria, potendo la parte, in ogni caso, attivarsi per l’instaurazione del giudizio di opposizione a cognizione piena, secondo due differenti possibilità rimesse alla stessa parte.
La Corte individua un primo “rimedio” nell’art. 289, co. 1, c.p.c. a norma del quale i provvedimenti istruttori che non contengono la fissazione dell’udienza successiva o del termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali possono essere integrati su istanza di parte o d’ufficio, entro il termine perentorio di sei mesi dall’udienza in cui i provvedimenti furono pronunciati, oppure dalla loro notificazione o comunicazione se prescritte.
L’applicabilità dell’art. 289 c.p.c. si giustifica con la natura lato sensu istruttoria – cioè sull’ordine del procedimento – del provvedimento di fissazione del termine per l’inizio del giudizio di merito, (ex multis, Cass. n. 20532/2009 cit.; Cass., 31 agosto 2011, n. 17860).
Sempre richiamando il consolidato orientamento di legittimità, la Corte evidenzia inoltre come, anche a prescindere dalla formulazione di un’istanza ai sensi dell’art. 289 c.p.c., la parte, qualora abbia interesse all’introduzione del giudizio di merito, possa autonomamente iscrivere la causa di opposizione al ruolo contenzioso, nello stesso termine entro il quale il provvedimento sarebbe stato integrabile (ex multis, Cass., 14 giugno 2016, n. 12170; Cass. n. 20532/2009 cit.).
Da ciò discende che la mancanza dell’istanza di integrazione, nel termine di cui all’art. 289 c.p.c., ovvero dell’iniziativa autonoma della parte di introduzione del giudizio di merito nello stesso termine, determina l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 307, co. 3, c.p.c., per mancata prosecuzione (Cass. 24 ottobre 2011, n. 22033).