Sull’illimitata responsabilità dei soci della Srl estinta
di Redazione Scarica in PDFA seguito dell’estinzione della società i debiti di quest’ultima rimasti insoddisfatti possono essere contestati nei confronti dei soci della società stessa, anche nel caso in cui nulla abbiano ricevuto in sede di liquidazione: questa è l’incredibile posizione assunta dai giudici della Cassazione nella sentenza n. 17243 del 02.07.2018.
Si tratta di una sentenza che sovverte ogni logica a base del diritto societario, posizione secondo la quale l’estinzione della società farebbe venir meno la responsabilità limitata che contraddistingue le società di capitali.
L’estinzione della società
In tema di estinzione delle società, l’articolo 2495, comma 2, cod. civ., dispone che “Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società.”
Con questa formulazione dell’articolo 2495, comma 2, cod. civ. (introdotto con il D.Lgs. 6/2003) si è voluto attribuire alla cancellazione della società, una vera e propria “efficacia costitutiva” idonea a determinare, da un lato, la totale estinzione della stessa, dall’altro, la possibilità dei terzi di soddisfarsi esclusivamente sui soci e, eventualmente, sui liquidatori.
Solo a favore dell’Amministrazione finanziaria è concesso un maggior termine: l’articolo 28, comma 4, D.Lgs. 175/2014 afferma infatti che “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”.
La Cassazione, nella sentenza in commento osserva come “dall’estinzione della società, derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, non discende l’estinzione dei debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo, poiché in tale ipotesi si riconoscerebbe al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui, con conseguente ingiustificato sacrificio dei creditori”.
E questo è ineccepibile, in quanto i debiti non scompaiono con l’estinzione delle società.
Ma va altresì osservato come l’estinzione non può giuridicamente modificare il regime patrimoniale che i soci possedevano: in altre parole, i soci risultano responsabili esclusivamente per le attribuzioni di denaro o beni che siano avvenute sulla base del bilancio finale di liquidazione.
D’altro canto, in relazione ai debiti tributari, di tale opinione si era dimostrata anche l’Amministrazione finanziaria: nella circolare AdE 6/E/2015, laddove si è affermata l’applicazione dell’articolo 2495 cod. civ. anche alle società di persone, l’Agenzia ha evidenziato come tale previsione deve operare “… ferma restando la diversa disciplina delle responsabilità dei soci collegata alla differente forma societaria.”
Invece proprio su questo punto la Cassazione interviene: “con riguardo al meccanismo successorio, questa Corte ha precisato che non può essere condiviso l’orientamento secondo cui i soci subentrano dal lato passivo nel rapporto d’imposta solo se e nei limiti in cui abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.”
I giudici commettono l’evidente errore di confonde la legittimazione dei soci a succedere alla società ai fini della prosecuzione del processo (principio chiaro e già affermato dalle sentenze Cass. n. 9094/2017 e Cass. n. 15035/2017, richiamate dalla sentenza in commento) che non è subordinato alle attribuzioni ricevute dai soci, con il regime patrimoniale del socio stesso: infatti, i soci non possono sostituirsi in tutto e per tutto alla società nella responsabilità verso i terzi.
Peraltro, oltre che dal punto di vista giuridico, la posizione espressa dalla Cassazione risulta deficitaria anche sotto il piano logico: ma che senso avrebbe attribuire ai soci una responsabilità illimitata per i debiti, dopo l’estinzione, quando prima dell’estinzione essi erano indenni da responsabilità, visto che l’unico soggetto che poteva essere chiamato a rispondere per i debiti sociali è la società stessa, nel limite del proprio patrimonio?
Giova peraltro segnalare come ai fini fiscali (i debiti contestati nell’ambito del giudizio che ha portato alla sentenza sono appunto tributari) vi sia una disposizione specifica che regolamenta la responsabilità dei soci dopo l’estinzione della società.
Si tratta dell’articolo 36, comma 3, D.P.R. 602/1973: “ I soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria.”
Se i soci avessero illimitata responsabilità per i debiti sociali, che senso avrebbe una previsione che regolamenta i limiti entro i quali i soci devono rispondere dei debiti sociali?
In considerazione delle richiamate norme di legge, la speranza è quindi quella che la sentenza in commento resti una pronuncia isolata.
Articolo tratto da “Euroconferencenews“