Sull’applicabilità dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c. in presenza di un unico precedente di legittimità
di Piervito Bonifacio Scarica in PDFCass. civ., sez. VI, 22 febbraio 2018, n. 4366, Pres. Amendola – Rel. De Stefano
[1] Cassazione civile – Ricorso – Unico precedente – Orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte – Conformità alla giurisprudenza della Suprema Corte – Indicazione delle critiche avverso la giurisprudenza di legittimità – Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 360 bis)
[1] In tema di ricorso per cassazione, anche un solo precedente di legittimità, benché remoto, se univoco, chiaro e condivisibile (e, a maggior ragione, se pacifico nella scienza giuridica nazionale), è idoneo ad integrare l’orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte cui si sia conformata la pronuncia impugnata, con la conseguenza che il ricorso avverso quest’ultima, quando non richiami tale orientamento e non sviluppi valide critiche contro lo stesso, va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c.
CASO
[1] Le parti soccombenti in appello proponevano ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, nel risolvere, in senso sfavorevole alle stesse, la questione di diritto rilevante ai fini della decisione, si era conformata all’unico precedente di legittimità in materia.
Le ricorrenti contestavano la sentenza impugnata, senza tuttavia prendere posizione in merito a tale precedente e limitandosi a riproporre una tesi che, in quell’unica pronuncia, la Suprema Corte aveva già rigettato.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte, con ordinanza in camera di consiglio, dichiarava inammissibile il ricorso ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., ritenendo tale norma applicabile anche in presenza di un unico precedente di legittimità, quand’anche remoto, che risulti univoco, chiaro e condivisibile. Anche in questo caso, infatti, dovrebbe ritenersi sussistente un orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte che impone al ricorrente, che intenda contestare la sentenza che a tale orientamento si sia uniformata, di sviluppare, a pena di inammissibilità, valide critiche avverso lo stesso.
QUESTIONI
[1] Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte affronta una delle tante questioni interpretative lasciate aperte dalla formulazione dell’art. 360 bis c.p.c. Tale articolo, al n. 1, stabilisce che il ricorso è inammissibile «quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa», senza, tuttavia, precisare che cosa si intenda per «giurisprudenza della Corte».
La dottrina ha elaborato, già all’indomani dell’introduzione dell’art. 360 bis all’interno del corpus codicistico, diverse soluzioni. E se, fin da subito, è stata generalmente accolta la tesi secondo cui la «giurisprudenza della Corte» rilevante ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., possa ritenersi integrata da una pronuncia delle Sezioni Unite o, in mancanza, da uno stabile e costante orientamento delle sezioni semplici, con riferimento ad altre fattispecie si è manifestata una divergenza di vedute.
Secondo alcuni, infatti, non potrebbe considerarsi «giurisprudenza della Corte» quella risultante da un unico precedente, o magari da poche pronunce assai remote (G. Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della L. 18 giugno 2009, n. 69), in Giusto proc. civ., 2009, 791), ovvero quella risultante da un numero di sentenze così esiguo, o così diluito nel tempo, da non potersi considerare espressione di un indirizzo condiviso (A. Graziosi, Riflessioni in ordine sparso sulla riforma del giudizio in Cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 37 ss.). Ciò in quanto dalla ratio sottesa alla norma, se ne dovrebbe dedurre che essa è applicabile solo in presenza di un “orientamento” consolidato della Corte e non anche nelle ipotesi in cui si abbia un solo precedente, ovvero si abbiano più orientamenti tra loro contrastanti. (A. Carratta, La giustizia civile tra nuovissime riforme e diritto vivente – Il “filtro” al ricorso in cassazione fra dubbi di costituzionalità e salvaguardia del controllo di legittimità, in Giur. it., 2009, 1563 ss.). Allo stesso modo, a terreno giurisprudenziale “vergine”, e cioè ove la questione di diritto risolta dalla sentenza impugnata sia nuova o comunque mai affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, il ricorso, secondo alcuni, dovrebbe considerarsi senz’altro ammissibile (A. Briguglio, Ecco il “filtro”! (l’ultima riforma del giudizio di cassazione), 15).
Secondo altra parte della dottrina, invece, in assenza di pronunce a Sezioni Unite ovvero di uno stabile orientamento delle sezioni semplici, si dovrebbero elaborare criteri ulteriori, prevalentemente statistici, in base ai quali stabilire se, nonostante pronunce di legittimità difformi, possa ugualmente ritenersi sussistente una «giurisprudenza della Corte», dovendosi a tal fine dare rilevanza ai rapporti percentuali tra le pronunce di un dato segno rispetto alle altre, nonché alla distanza cronologica tra i diversi orientamenti. Se, nonostante l’applicazione di questi criteri, dovesse emergere un persistente conflitto nella giurisprudenza della Cassazione, allora il ricorso dovrebbe certamente considerarsi ammissibile (G. Raiti, Brevi note sul “filtro” in Cassazione secondo la legge di riforma al codice di rito civile 18 giugno 2009, n. 69, in Riv. dir. proc., 2009, 1606). Altri, in maniera più netta, ritengono che, in presenza di un contrasto o di pochi precedenti, il ricorso sarebbe sempre ammissibile (G.F. Ricci, Ancora insoluto il problema del ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2010, 107) , e la Corte dovrebbe pronunciare nel merito, perché solo così darebbe vita a quegli orientamenti che in futuro le consentirebbero di dichiarare l’inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c. (F.S. Damiani, in La riforma del giudizio di cassazione. Commentario al D. Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, capo I e alla L. 18 giugno 2009, n. 69, capo IV, a cura di F. Cipriani, Padova 2009, 276).
Vi è poi chi ritiene che «giurisprudenza della Corte» debba considerarsi anche quella nascente da un solo precedente di legittimità, particolarmente autorevole e convincente (G. Salmè, Il nuovo giudizio di cassazione, in Foro it., 2009, V, 440), senza che, peraltro, assuma rilevanza la datazione del precedente, se non ve ne sono altri successivi contrari e a meno che non sia, nel frattempo, mutato il quadro giuridico di riferimento (R. Rordorf, Nuove norme in tema di motivazione delle sentenze e di ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2010, 140).
La Suprema Corte, prima dell’ordinanza in commento, non aveva affrontato in via diretta la questione. Tuttavia, importanti indicazioni emergevano dal Documento programmatico sulla sesta sezione civile (in Foro it., 2016, V, 350), per il quale vi è ‘giurisprudenza’ «quando vi è una decisione a sezioni unite; quando vi è un orientamento consolidato delle sezioni semplici; quando vi sono poche sentenze di una o più sezioni semplici, se convergenti; quando vi è una sola sentenza, se ritenuta convincente». Il documento è stato espressamente richiamato dall’ordinanza della Suprema Corte del 26 luglio 2016, n. 15513 (in Foro it., 2016, I, 3091, con nota di G. Costantino).
La pronuncia in commento, pur affrontando solo in parte la questione, dà seguito a tale indirizzo, statuendo che la «giurisprudenza della Corte» rilevante ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c. può risultare anche da un solo precedente di legittimità, quand’anche remoto, purché univoco, chiaro e condivisibile. Il che comporta notevoli conseguenze sia sul piano pratico che su quello sistematico.
Sul piano pratico, tale statuizione rende ancora più stringente l’applicazione dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., imponendo al ricorrente, anche in presenza di un unico precedente di legittimità cui si sia conformata la sentenza impugnata, di richiamare tale precedente e le argomentazioni su cui esso si fonda (in tal senso Cass., 2 agosto 2017, n. 19190) e di sviluppare critiche tali da stimolare un ripensamento della Corte, senza che possano ritenersi sufficienti la mera dichiarazione di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità o il richiamo a tesi che la Cassazione aveva già in precedenza esaminato e rigettato. In mancanza di tali adempimenti, il ricorso sarà dichiarato inammissibile, in virtù di quanto statuito dalle Sezioni Unite richiamate dall’ordinanza in commento (Cass., sez. un., 21 marzo 2017, n. 7155, in Foro it., 2017, I, 1177, con nota di G. Costantino).
Sul piano sistematico, l’ordinanza si inserisce nel novero di quelle pronunce con cui, negli ultimi anni, la Suprema Corte, esaltando la funzione nomofilattica istituzionalmente riconosciutale, ha cercato di rendere più pregnante il valore del precedente. Si è infatti affermato che, sebbene all’interno del nostro sistema processuale non esista una norma che imponga la regola dello stare decisis, quest’ultima costituisce tuttavia un valore o, comunque, una direttiva di tendenza immanente all’ordinamento, in base alla quale non ci si può discostare da una interpretazione del giudice di legittimità, senza delle forti ed apprezzabili ragioni giustificative (Cass., sez. un., 31 luglio 2012, n. 13620). Anzi, secondo la Suprema Corte, benché nel nostro ordinamento valga il principio secondo cui il precedente ha un’efficacia meramente persuasiva, negli ultimi anni l’importanza del precedente è stata a tal punto valorizzata a livello legislativo che proprio il recepimento, seppur in forma attenuata, del principio dello stare decisis costituisce l’idea ispiratrice dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c. (Cass., 26 luglio 2016, n. 15513). Ed è di tutta evidenza che la rilevanza di tale principio viene ulteriormente esaltata dall’idea secondo cui anche un solo precedente di legittimità è idoneo ad integrare la giurisprudenza della Cassazione, in maniera non dissimile da quanto avviene negli ordinamenti di common law in cui a contare è il capostipite, e cioè il precedente singolo ed autorevole. Tale lettura, tuttavia, non può che suscitare perplessità in un ordinamento come il nostro in cui, a Costituzione invariata, non avendo il precedente valore vincolante, a contare dovrebbe piuttosto essere quell’opera di diffusione e di costante adeguamento giurisprudenziale che è alla base del cd. diritto vivente (in tal senso, si veda R. Tiscini, Sub. art. 360-bis c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, a cura di L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella, IV, Torino, 2013, 626 ss.).