Sull’applicabilità della regola della “stabilizzazione” dei postumi ai danni derivanti da infortunio sul lavoro
di Elisa Pirrotta, Avvocato Scarica in PDFCorte di Cassazione, sez. lav., 19 agosto 2024, n. 22897
Infortunio sul lavoro – postumi invalidanti – rendita INAIL – aggravamento – diritto alla revisione della rendita INAIL – termine di prescrizione – “stabilizzazione” dei postumi – applicabilità – nuovo evento causalmente dipendente dall’infortunio – non prevedibile – concausa sopravvenuta – principio della “necessaria considerazione di tutti i postumi derivanti dalla realizzazione del rischio assicurato”
CASO
Con sentenza n. 22897 del 19 agosto 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla rideterminabilità della rendita vitalizia INAIL assegnata a seguito di un infortunio sul lavoro.
La vicenda prende le mosse dal ricorso proposto dal percettore della rendita INAIL al fine di ottenere l’adeguamento (in aumento) della stessa dal 30% al 48% di invalidità, e ciò in quanto il lavoratore aveva iniziato a soffrire di una patologia epatica che si era, sì, manifestata nel 2010, ma che era stata causata dalle trasfusioni di sangue cui l’assicurato era stato sottoposto in occasione di un infortunio avvenuto nel 1975.
Entrambi i Giudici di merito di primo e secondo grado hanno negato l’adeguamento ritenendo la domanda presentata oltre il limite decennale di cui all’art. 83 del T.U., ossia oltre il termine di prescrizione.
In particolare i Giudici di merito hanno ritenuto applicabile la prescrizione di cui all’articolo appena citato perché hanno qualificato la domanda formulata dal ricorrente come una richiesta di aggravamento degli esiti dell’infortunio sofferto escludendo – per l’effetto – l’applicazione dell’art. 80 del d.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965.
I Giudici di merito hanno osservato infatti che la patologia epatica, pur emersa a distanza di anni dall’infortunio, fosse pur sempre effetto di una modifica peggiorativa delle condizioni fisiche dell’infortunato collegata a quell’evento e che dunque non fosse ravvisabile un nuovo evento lavorativo che consentisse l’unificazione dei postumi.
Il ricorrente ha dunque proposto ricorso per Cassazione per ottenere la riforma della pronuncia di secondo grado.
Inquadramento normativo
La questione riguardante le rendite INAIL e la loro modificabilità / cumulabilità è argomento complesso che trova negli artt. 80 e 83 del DPR n. 1124 del 30 giugno 1965 due discipline di fondamentale importanza.
L’art. 80 del DPR citato prevede che <<Nel caso in cui il titolare di una rendita, corrisposta a norma del presente titolo, sia colpito da un nuovo infortunio indennizzabile con una rendita di inabilità, si procede alla costituzione di un’unica rendita in base al grado di riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro causata dalle lesioni determinate dal precedente o dai precedenti infortuni e dal nuovo, valutata secondo le disposizioni dell’art. 78 ed in base alla retribuzione che è servita per la determinazione della precedente rendita. Se però tale retribuzione è inferiore a quella in base alla quale sarebbe stata liquidata la rendita in relazione al nuovo infortunio, la nuova rendita viene determinata in base a quest’ultima retribuzione. Nel caso in cui il nuovo infortunio per sé considerato determini un’inabilità permanente non superiore al dieci per cento e l’inabilità complessiva sia superiore a quella in base alla quale fu liquidata la precedente rendita, è liquidata una nuova rendita secondo le norme del comma precedente. Nel caso in cui, a seguito di precedenti infortuni, sia residuata inabilità permanente che non superi il dieci per cento ed in seguito a nuovo infortunio risulti una inabilità permanente che complessivamente superi detta percentuale, è liquidata una rendita in base al grado di riduzione dell’attitudine al lavoro risultante dopo l’ultimo infortunio ed alla retribuzione percepita all’epoca in cui questo si è verificato>>.
L’art. 83 del medesimo DPR prevede poi la c.d. “stabilizzazione” dei postumi ossia che <<La misura della rendita di inabilità può essere riveduta, su domanda del titolare della rendita o per disposizione dell’Istituto assicuratore, in caso di diminuzione o di aumento dell’attitudine al lavoro ed in genere in seguito a modificazione nelle condizioni fisiche del titolare della rendita, purché, quando si tratti di peggioramento, questo sia derivato dall’infortunio che ha dato luogo alla liquidazione della rendita. … La domanda di revisione deve essere presentata all’Istituto assicuratore e deve essere corredata da un certificato medico dal quale risulti che si è verificato un aggravamento nelle conseguenze dell’infortunio e risulti anche la nuova misura di riduzione dell’attitudine al lavoro… Entro dieci anni dalla data dell’infortunio, o quindici anni se trattasi di malattia professionale, qualora le condizioni dell’assicurato, dichiarato guarito senza postumi d’invalidità permanente o con postumi che non raggiungono il minimo per l’indennizzabilità in rendita, dovessero aggravarsi in conseguenza dell’infortunio o della malattia professionale in misura da raggiungere l’indennizzabilità, l’assicurato stesso può chiedere all’Istituto assicuratore la liquidazione della rendita, formulando la domanda nei modi e nei termini stabiliti per la revisione della rendita in caso di aggravamento. In caso di revisione o di liquidazione a seguito di aggravamento, la misura della rendita d’inabilità è quella stabilita dalle tabelle in vigore al momento della revisione o della liquidazione a seguito di aggravamento>>.
La decisione della sezione lavoro della Corte di Cassazione
Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha ritenuto che dovesse essere data continuità al principio affermato dalla stessa Corte con la sentenza n. 1048 del 2018 e che pertanto il termine decennale dettato dall’art. 83 del d.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965 per l’esercizio del diritto alla revisione della rendita INAIL si debba riferire esclusivamente all’eventuale aggravamento derivante dalla naturale evoluzione dell’originario stato morboso.
Laddove invece il maggior grado di inabilità dipenda da una concausa sopravvenuta ma comunque collegata causalmente a quell’infortunio deve essere applicata, chiarisce la Corte, la disciplina dettata dall’art. 80 del DPR citato, che contiene un principio di importante rilievo nell’ambito del sistema dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie, proponendosi di unificare in un’unica rendita tutte le inabilità accertate in capo al medesimo soggetto.
Al fine di stabilire quando applicare la regola della stabilizzazione dei postumi (art. 83) occorre verificare, dunque, se il peggioramento delle condizioni di inabilità, causalmente correlato a circostanze che originano sempre dall’originario infortunio, si inseriscano nella catena causale modificando la naturale evoluzione del processo morboso avviato dal medesimo infortunio oppure ne realizzino la naturale evoluzione. E ciò in quanto, solo la naturale evoluzione delle conseguenze derivanti dall’infortunio soggiace alla regola della stabilizzazione dei postumi, viceversa la concausa sopravvenuta e causalmente dipendente dall’infortunio, proprio per il suo carattere di evento non prevedibile ed estraneo al naturale evolversi del danno originario, si colloca logicamente al di fuori della regola di stabilizzazione dei postumi di cui al citato art. 83 settimo comma del d.P.R. n.1124 del 1965 e non ne consente l’applicazione (Corte Cost. n. 46 del 12 febbraio 2010).
D’altro canto l’esistenza del principio di necessaria considerazione di tutti i postumi derivanti dalla realizzazione del rischio assicurato, che è sotteso all’art. 80 e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 46 del 12 febbraio 2010, comporta che anche gli ulteriori postumi derivati da concausa sopravvenuta ma direttamente correlata all’infortunio, ove verificatisi oltre il termine decennale previsto dall’art. 83 del citato DPR, devono essere presi in esame per la rideterminazione della rendita in applicazione dell’art. 80 del medesimo DPR che richiede che si considerino unitariamente i postumi anche ove singolarmente inferiori al minimo indennizzabile.
In conclusione la Corte di Cassazione ha stabilito che <<allorquando il maggior grado di inabilità dipenda da una concausa sopravvenuta, sempre necessariamente originata dalla lesione generata dallo stesso infortunio (se non ci fosse stato l’infortunio non ci sarebbe stato bisogno di procedere a trasfusione del sangue) deve trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 80 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124. Il termine per l’esercizio del diritto alla revisione della rendita I. stabilito dall’art. 83 dello stesso D.P.R. si riferisce solo a quell’ aggravamento che è identificabile come una naturale progressione dello stato morboso originario che per legge si intende stabilizzato una volta decorso il termine previsto dalla norma per esercitare il diritto alla revisione>>.
Nel caso di specie dunque la Corte di Cassazione ha dedotto che il complessivo aggravamento delle condizioni di salute del ricorrente era connesso ad un evento, la trasfusione, che ha contribuito come concausa a determinarlo con conseguenze divenute evidenti solo a distanza di tempo stante il periodo di latenza della malattia (accertata nel 2010 ed il cui collegamento causale con l’evento la trasfusione sarebbe divenuto evidente solo nel 2014) e che dunque aveva errato il Giudice di merito nel ritenere applicabile l’art. 83 del d.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965.
La Corte ha dunque cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello per la sua riforma.
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