Sulla sorte del sequestro giudiziario dopo la sentenza di primo grado favorevole al sequestrante
di Piervito Bonifacio Scarica in PDFTribunale di Udine, Sez. II civ., ord. 24 gennaio 2018, Giudice Dott. Zuliani
[1] Procedimenti cautelari – Sequestro giudiziario – Sentenza di primo grado di accoglimento nel merito – Efficacia – Esecuzione forzata (Cod. proc. civ. artt. 670, 669 novies)
Il sequestro giudiziario conserva efficacia anche dopo la pronuncia della sentenza di primo grado di accoglimento nel merito della domanda a cautela della quale la misura cautelare era stata richiesta e la parte vittoriosa può procedere ad esecuzione forzata in virtù di tale sentenza, quand’essa sia provvisoriamente esecutiva.
CASO
[1] T. otteneva il sequestro giudiziario dei beni già intestati al defunto padre F., in vista della proposizione della domanda di accertamento della nullità del testamento con cui quest’ultimo aveva istituito erede J., alla quale era stato unito da un matrimonio dichiarato nullo da una Corte straniera.
Il Tribunale di Udine accoglieva la domanda e condannava J. alla consegna di tutti i beni del de cuius in suo possesso, dichiarando, pertanto, l’inefficacia del sequestro giudiziario e ordinando alla custode di immettere gli eredi nel possesso dei beni sequestrati.
J. proponeva appello avverso tale sentenza e diffidava la custode dal consegnare i beni agli eredi prima della definizione della controversia con sentenza passata in giudicato. T., al contrario, intimava alla custode di procedere alla consegna dei beni sottoposti a sequestro e, vista l’inerzia di quest’ultima, proponeva ricorso ex art. 669-novies c.p.c. al Tribunale di Udine chiedendo di provvedere all’emanazione delle disposizioni necessarie affinché la custode attuasse la consegna.
SOLUZIONE
[1] Il Tribunale di Udine rigettava il ricorso di T., ritenendo che quest’ultima potesse procedere ad esecuzione forzata in forma specifica nei confronti della soccombente J., ma non potesse ottenere la consegna e il rilascio dei beni ereditari direttamente dalla custode.
QUESTIONI
[1] L’ordinanza in commento affronta la questione, non espressamente risolta dal legislatore, della sorte del provvedimento cautelare (nella specie, il sequestro giudiziario) a seguito dell’accoglimento, con sentenza non passata in giudicato, della domanda proposta dalla parte che aveva ottenuto tale provvedimento. Il legislatore, infatti, si è limitato a prescrivere, all’art. 669-novies, 3° comma, c.p.c., l’inefficacia del provvedimento cautelare nel caso in cui, anche con sentenza non passata in giudicato, venga dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale lo stesso era stato concesso. Nulla è detto, invece, con riferimento all’ipotesi opposta, in cui sia dichiarato esistente il diritto a cautela del quale era stato concesso il provvedimento cautelare.
Si tratta di una questione che, oltre ad avere notevoli ed evidenti risvolti pratici, coinvolge anche importanti profili sistematici, quali il rapporto tra la cognizione piena e la cognizione sommaria, la natura strumentale e provvisoria della tutela cautelare, l’efficacia esecutiva immediata delle sentenze di primo grado ai sensi dell’art. 282 c.p.c.
La dottrina ha elaborato diverse soluzioni. Secondo alcuni, proprio il nesso di strumentalità del provvedimento cautelare rispetto alla sentenza di merito, nonché la prevalenza del contenuto della pronuncia a cognizione piena su quella a cognizione sommaria portano ad affermare necessariamente l’assorbimento della misura cautelare nella sentenza di merito provvisoriamente esecutiva (G. Oberto, Il nuovo processo cautelare, Milano, 1992, 93-94). Peraltro, il fenomeno dell’assorbimento sarebbe ben diverso dall’inefficacia, in quanto, mentre quest’ultima ha portata definitiva, nel senso che neppure la riforma in appello della sentenza che dichiara inesistente il diritto cautelato può ripristinare l’efficacia della misura cautelare ormai caducata, al contrario la misura rimasta assorbita dalla sentenza di accoglimento rivivrebbe a fronte della concessione dell’inibitoria in sede di gravame.
Alla tesi dell’assorbimento si contrappone la tesi dell’ultrattività della misura cautelare, secondo cui la misura cautelare resta in vita anche dopo la pronuncia della sentenza di accoglimento nel merito (G. Verde – L. Di Nanni, Codice di procedura civile: Legge 26 novembre 1990, n. 353, Legge 21 novembre 1991, n. 374, Legge 4 dicembre 1992, n. 477, Torino, 1993, 491-492). La necessità che la misura cautelare sopravviva all’emanazione della sentenza di merito di accoglimento si basa sulla considerazione che non tutte le sentenze di primo grado sono dotate di efficacia esecutiva (l’orientamento prevalente è nel senso che l’efficacia esecutiva immediata debba essere limitata alle sole sentenze di condanna), oltre che sulla considerazione che, anche in presenza di sentenze dotate di efficacia esecutiva, vi sarebbe il rischio di rimanere del tutto privi di tutela e di cautela nel corso dei giudizi di impugnazione in virtù della possibile concessione dell’inibitoria (E. Merlin, Le cause della sopravvenuta inefficacia del provvedimento, in Il processo cautelare, a cura di G. Tarzia e A. Saletti, V ed., Padova, 2015, 437 e s., secondo la quale, peraltro, il legislatore, lasciando aperta la questione della sopravvivenza o meno della misura cautelare alla sentenza favorevole al suo beneficiario ha voluto lasciare libero l’interprete di adottare la soluzione più adeguata alle esigenze pratiche).
Accanto a queste due tesi, sono state prospettate altre soluzioni intermedie. In particolare, secondo alcuni, pur essendo tendenzialmente condivisibile la tesi dell’assorbimento, non si può prescindere dalla considerazione del contenuto della sentenza di accoglimento: se essa è idonea ad assorbire tutti gli effetti prodotti in via provvisoria e strumentale dal provvedimento cautelare (come nel caso delle sentenze di condanna), quest’ultimo cederà necessariamente il passo, per esaurimento della sua funzione, alla più consistente tutela garantita dalla pronuncia di merito (salva la reviviscenza del provvedimento cautelare in caso di inibitoria); se, invece, la sentenza di merito non è idonea ad assorbire gli effetti del provvedimento cautelare (perché si tratta di una sentenza di accertamento o costitutiva), il provvedimento cautelare continuerà a sopravvivere anche nei giudizi di impugnazione (Carratta, Inefficacia, modifica e revoca, in AA.VV., I procedimenti cautelari, opera diretta da Carratta, Bologna, 2013, 303 e s.). Altri ancora, infine, ritengono che le misure cautelari conservino efficacia fino al passaggio in giudicato ovvero fino all’eventuale sospensione dell’esecutività provvisoria della decisione impugnata (S. Recchioni, Diritto Processuale Cautelare, Torino, 2015, 710).
La giurisprudenza si è occupata della questione essenzialmente con riferimento al sequestro giudiziario, accogliendo, in una prima fase, la tesi dell’ultrattività. Si è affermato, infatti, che gli effetti del sequestro giudiziario non sono assorbiti nella sentenza di condanna provvisoriamente esecutiva favorevole alla parte sequestrante, ma permangono anche nelle successive fasi di impugnazione di tale sentenza, con la conseguenza che la parte soccombente in primo grado, proponendo appello, non avrebbe interesse a richiedere il sequestro del bene in quanto quest’ultimo sarebbe già sottoposto alla tutela cautelare (App. Torino 29 maggio 2002 e App. Torino 27 dicembre 2002, Giur. it., 2003, 1838 e s., con nota di M. Dominici). In sostanza, secondo questo orientamento, l’efficacia del sequestro cesserebbe, per esaurimento dello scopo, soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza (Trib. Modena, 12 giugno 2007, pluris-online).
Tale orientamento è stato criticato, innanzitutto, perché, in questo modo, il sequestro giudiziario non opererebbe a favore della parte che ha richiesto il sequestro, ma assolverebbe una funzione di carattere oggettivo, non contemplata dal diritto vigente, preservando il bene fino al passaggio in giudicato della sentenza. In secondo luogo, vi sarebbe un’evidente disparità di trattamento tra la parte vittoriosa che, non avendo richiesto il sequestro prima della sentenza di condanna, potrebbe procedere immediatamente ad esecuzione forzata, e la parte vittoriosa che, avendo richiesto il sequestro prima della sentenza di condanna, dovrebbe aspettare il passaggio in giudicato della sentenza per poter procedere ad esecuzione forzata, con la conseguenza che, in tal modo, il sequestro finirebbe per operare a danno del sequestrante (M. Dominici, op. cit.).
La Suprema Corte, pronunciandosi sul tema (Cass. 4 giugno 2008, n. 14765), ha accolto una diversa soluzione: l’art. 669 novies, 3° comma, c.p.c. dovrebbe essere interpretato nel senso che il provvedimento cautelare perde efficacia sia nel caso di dichiarazione di inesistenza, anche con sentenza non passata in giudicato, del diritto a cautela del quale era stato concesso, sia, stante l’identità di ratio, nell’ipotesi inversa di accoglimento della domanda di merito con conseguente individuazione della parte a cui spetta la titolarità del diritto sul bene. In tal caso, il sequestro viene caducato, per cessazione dello scopo e della funzione, dalla sentenza di merito favorevole al sequestrante, il quale, anche nell’ipotesi in cui sia la stessa persona fisica che era stata nominata custode, può, in virtù di tale sentenza, chiedere il rilascio alla parte soccombente ed avviare l’azione esecutiva, in quanto fa così valere un titolo (la sentenza) diverso da quello con cui gli era stato conferito l’incarico di custode (il provvedimento di sequestro).
Il Tribunale di Udine, con l’ordinanza in commento, elabora una terza soluzione, che si colloca a metà strada tra quelle in precedenza prospettate dalla giurisprudenza. Secondo il Tribunale, non vi sarebbe alcuna identità di ratio tra rigetto e accoglimento della domanda a cautela della quale era stato disposto il sequestro, in quanto, nel primo caso la dichiarazione di inesistenza del diritto cautelato renderebbe necessario il ripristino della situazione precedente, mentre, nel secondo caso, si renderebbe necessario consolidare la situazione di fatto creatasi con l’attuazione del sequestro. Allo stesso modo, non potrebbe accogliersi la tesi dell’assorbimento che permetterebbe addirittura di evitare il processo esecutivo, attribuendo al custode il compito di immettere nel possesso dei beni la parte che ha ottenuto il sequestro. Si deve, pertanto, ritenere che il sequestro giudiziario conservi efficacia anche dopo la sentenza di primo grado favorevole al sequestrante, ma ciò non impedisce di procedere ad esecuzione forzata in forma specifica, mediante la notifica del titolo e del precetto, quando tale sentenza sia provvisoriamente esecutiva. In sostanza, il sequestrante che sia risultato vittorioso può ottenere la consegna o il rilascio dei beni sequestrati, ma non direttamente dal custode, bensì soltanto nelle consuete forme dell’esecuzione ex artt. 605 e ss. c.p.c., in maniera tale che sia quest’ultima, e non la sentenza, a sostituirsi al provvedimento cautelare e ad assorbirlo. E anche nel caso in cui il sequestrante sia stato nominato custode, sarà ugualmente necessario notificare titolo e precetto alla controparte: solo in questo modo, infatti, il sequestrante potrà continuare ad esercitare il potere di fatto sul bene non già come custode, ma come titolare del diritto riconosciuto dalla sentenza. Secondo il Tribunale di Udine, seguendo la soluzione così prospettata, da un lato, si evita di lasciare incustoditi i beni tra la pronuncia della sentenza e l’inizio dell’esecuzione forzata, dall’altro, si consente alla parte soccombente condannata alla consegna o al rilascio di proporre opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., instaurando così un processo che costituisce l’unica sede in cui risolvere eventuali controversie sull’esecutività della sentenza.