Sulla richiesta di condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. in sede di legittimità e sul relativo termine
di Piervito Bonifacio Scarica in PDFCass., sez. II, 7 dicembre 2017, n. 29415, Pres. Bianchini – Est. Besso Marcheis
[1] Spese giudiziali civili – Responsabilità aggravata – Danni derivanti dal giudizio di cassazione – Domanda proposta con memoria ex art. 378 c.p.c. – Inammissibilità (Cod. proc. civ., artt. 96, 378)
La richiesta di condanna al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., può essere proposta per la prima volta anche in sede di legittimità, per i danni che si assumono derivanti dal giudizio di cassazione, ma deve essere formulata, a pena di inammissibilità, con il controricorso e non quindi con la memoria di cui all’art. 378 c.p.c.
CASO
[1] Una condomina impugnava una deliberazione assembleare, chiedendo che ne venisse dichiarata la nullità o pronunciato l’annullamento e che il Condominio fosse condannato al risarcimento del danno. Il Tribunale di Milano rigettava le domande, ma la sentenza veniva parzialmente riformata in appello.
Il Condominio proponeva ricorso per cassazione. La condomina resisteva con controricorso e ricorso incidentale e, successivamente, depositava memoria ex art. 378 c.p.c. con la quale chiedeva la condanna del Condominio al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale e dichiara inammissibile la domanda di condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c., in quanto formulata soltanto con la memoria ex art. 378 c.p.c. e non con il controricorso.
QUESTIONI
[1] La sentenza in commento si inserisce nel novero di quelle pronunce che hanno contribuito a definire il quadro procedurale della responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c.
In materia è assolutamente consolidato il principio secondo cui l’istanza di risarcimento dei danni derivanti dalla responsabilità processuale aggravata può essere proposta soltanto nello stesso giudizio nel quale sia insorta tale responsabilità (Cass., 12 marzo 2002, n. 3573; Cass., 14 maggio 2007, n. 10993; Cass., 16 maggio 2017, n. 12029). Tale principio si fonda sulla considerazione che nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume temeraria (in quanto soltanto tale giudice può accertare «quale sia stato l’animus del soccombente e soprattutto quali siano stati i riflessi del processo al di fuori dello stesso»: Calvosa, La condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, p. 408) nonché sulla circostanza che la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare il rischio, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati (Cass., 4 giugno 2007, n. 12952; Cass., 4 febbraio 2015, n. 1952). Vi sarebbero, poi, secondo una parte della dottrina, evidenti ragioni di economia processuale (si veda Lupano, Responsabilità per le spese e condotta delle parti, Torino, 2013, p. 163).
Secondo una parte della giurisprudenza sussisterebbe, pertanto, in relazione all’accertamento della responsabilità di cui all’art. 96 c.p.c., la competenza funzionale del giudice della causa in cui tale responsabilità sarebbe insorta (Cass., 17 ottobre 1997, n. 10169; Cass., 4 aprile 2001, n. 4947, Cass, 17 luglio 2007, n. 15882; Cass., 14 marzo 2013, n. 6550; di competenza funzionale parla anche Grasso, Della responsabilità delle parti per le spese e per i danni processuali, in Commentario al Codice di Procedura Civile, diretto da E. Allorio, I, Torino, 1973, p. 1039). Altra parte della giurisprudenza, invece, precisa che l’art. 96 c.p.c. non detta una regola sulla competenza, ma disciplina un fenomeno endoprocessuale, consistente nell’esercizio, ad opera della parte, del potere di formulare un’istanza collegata e connessa all’agire o al resistere in giudizio (Cass., 18 aprile 2007, n. 9297; Cass., 6 agosto 2010, n. 18344; Cass., sez. un., 3 giugno 2013, n. 13899).
In ogni caso, dal principio secondo cui l’istanza ex art. 96 c.p.c. può essere proposta soltanto nello stesso giudizio in cui è insorta la responsabilità aggravata, deriva che essa non può essere proposta in via autonoma, consequenziale e successiva, davanti ad altro giudice (Cass., 6 agosto 2010, n. 18344) e che, pertanto, l’azione risarcitoria avanzata in un autonomo giudizio deve considerarsi radicalmente inammissibile (Cass., 16 maggio 2017, n. 12029). Un’azione risarcitoria fondata sull’art. 96 c.p.c. è eccezionalmente proponibile in un separato ed autonomo giudizio soltanto nel caso in cui la possibilità di proporla sia rimasta preclusa per l’evoluzione propria dello specifico processo dal quale la stessa responsabilità aggravata ha avuto origine ovvero per ragioni non dipendenti dalla inerzia della parte (Cass., 20 maggio 2016, n. 10518), ovvero allorché il danneggiato alleghi e provi che tale scelta sia dipesa da un interesse specifico (da valutare nel caso concreto) a non proporre la relativa domanda nello stesso giudizio che ha dato origine all’altrui responsabilità aggravata (Cass., 31 ottobre 2017, n. 25862).
Ovviamente, proprio perché non proponibile in un autonomo giudizio, l’istanza può essere proposta anche in sede di precisazione delle conclusioni, considerato, peraltro, che spesso è proprio al termine dell’istruttoria che la parte istante è in grado di valutarne la fondatezza e di offrire al giudice gli elementi per la quantificazione del danno subito (Cass., 18 marzo 2002, n. 3941; Cass., 7 luglio 2009, n. 15964).
Inevitabile corollario di quanto sopra esposto è che il giudice deve pronunciare sia sull’an che sul quantum, fermo restando che, a fronte di una pronuncia che si sia erroneamente limitata all’an, il giudice successivamente adito per la liquidazione del danno rimane comunque vincolato al giudicato formatosi su tale pronuncia e non può dichiarare improponibile la domanda di risarcimento (Cass., 20 ottobre 2016, n. 21238).
Altro corollario è che, in sede di impugnazione, non può essere chiesto il risarcimento dei danni derivanti da responsabilità aggravata per condotte tenute nei precedenti gradi (Cass., 17 marzo 2009, n. 6439). Ed infatti è ormai principio consolidato che l’istanza ex art. 96 c.p.c. può essere proposta per la prima volta in appello (senza, peraltro, incorrere nelle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c.; si veda in tal senso Cass., 21 gennaio 2016, n. 1115, con nota di Perin, Sulla domanda di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. proposta per la prima volta nel giudizio di appello, e, in dottrina, A. Gualandi, Spese e danni del processo civile, Milano, 1962, p. 302), ovvero in cassazione (Cass., 19 dicembre 2017, n. 30417), ma solo per i comportamenti posti in essere dalla controparte in tali gradi di giudizio (di contrario avviso, in dottrina, Scarselli, Le spese giudiziali civili, Milano, 1998, p. 390-391, il quale sostiene la tesi dell’improponibilità dell’istanza in sede di impugnazione sia per l’opportunità di mantenere i normali gradi di giudizio, sia per la difficoltà di istruire tale istanza in appello e in cassazione)
In particolare, poi, per quanto riguarda il giudizio di legittimità, la Suprema Corte, oltre a ribadire la necessità che si tratti di danni derivanti dalla proposizione del ricorso (Cass., 11 dicembre 2012, n. 22659), ha altresì individuato un termine preclusivo per la proposizione dell’istanza ex art. 96 c.p.c., ritenendo che la stessa debba essere proposta con il controricorso (Cass., 27 novembre 2007, n. 24645; Cass., 11 ottobre 2011, n. 20914). È infatti considerata inammissibile l’istanza formulata, per la prima volta, con la memoria ex art. 378 c.p.c. ovvero in sede di discussione orale, in quanto:
– il controricorso, a differenza della memoria ex art. 378 c.p.c., viene notificato alla controparte e, pertanto, consente la corretta instaurazione del contraddittorio sulla questione, garantendo un congruo termine per la replica, laddove, al contrario, la proposizione dell’istanza con la memoria ex art. 378 c.p.c. ovvero in sede di discussione orale contrasterebbe con il principio del contraddittorio e finirebbe per ledere il diritto di difesa della controparte (Cass., 13 giugno 1985, n. 3552; Cass., 13 dicembre 1990, n. 11831; Cass., sez. un., 14 novembre 2003, n. 17300);
– la memoria ex art. 378 c.p.c. così come la discussione orale costituiscono sedi in cui è consentito alla parte interessata soltanto illustrare e chiarire le difese già svolte nell’atto introduttivo (Cass., sez. un., 17 agosto 1990, n. 8363).
Peraltro, secondo una sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite in sede di regolamento preventivo di giurisdizione (Cass., sez. un., 19 gennaio 1991, n. 522), sarebbe addirittura incostituzionale, per violazione dell’art. 24 Cost., una interpretazione del sistema che ammettesse la proponibilità dell’istanza con la memoria ex art. 378 c.p.c. o nel corso della discussione orale, in quanto l’istanza ex art. 96 c.p.c. integra pur sempre una domanda di attribuzione di un bene della vita, sulla quale la controparte deve essere messa in grado di difendersi.
Occorre, infine, segnalare che con la memoria ex art. 378 c.p.c. è comunque possibile chiedere la condanna ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., in quanto, in questo caso, non viene proposta un’istanza che, per legge, è riservata alla parte (come nel caso dei primi due commi), ma viene semplicemente sollecitato l’esercizio di un potere officioso che dunque prescinde da una domanda di parte (Cass., 27 febbraio 2013, n. 4925).