Sulla responsabilità del debitor debitoris per dichiarazioni false o reticenti rese nel pignoramento presso terzi
di Giacinto Parisi Scarica in PDFCass., Sez. III, 28 febbraio 2017, n. 5037
[1] Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie – Pignoramento presso terzi – Dichiarazione del terzo reticente ed elusiva – Pregiudizio per il creditore esecutante – Responsabilità – Limiti (Cod. proc. civ., art. 96, 543, 547, 548, 549; cod. civ., art. 2043)
[1] Nell’espropriazione presso terzi, la dichiarazione del terzo reticente od elusiva è fonte di responsabilità per illecito aquiliano e la mancata instaurazione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo non esclude tale responsabilità, potendo rilevare soltanto come del fatto colposo del creditore, ai sensi dell’art. 1227 c.c.
CASO
[1] La Corte di appello di Genova rigettava la domanda di risarcimento proposta dal creditore procedente nei confronti del debitor debitoris in ragione di dichiarazioni asseritamente false rilasciate da questi nell’ambito di una pregressa espropriazione forzata presso terzi.
La Corte affermava, tra l’altro, che avverso il terzo pignorato non sarebbe proponibile un’autonoma azione ex art. 2043 c.c., dovendosi far valere la sua responsabilità esclusivamente nell’ambito del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, a titolo di responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c.
Avverso la predetta pronuncia, il creditore proponeva dunque ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] Pur dichiarando inammissibili le censure proposte dal ricorrente sul punto, la Suprema Corte, data la particolare importanza della questione, ha ritenuto di dover affermare d’ufficio, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., il principio di diritto enucleato nella massima riportata in epigrafe.
Secondo il giudice di legittimità, tale soluzione conseguirebbe dal fatto che il terzo pignorato non ha la qualità di parte nel processo esecutivo. In effetti, nell’ipotesi del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, ai sensi del testo originario degli artt. 548 e 549 c.p.c., la sentenza conclusiva ha un duplice contenuto: da un lato, accerta l’esistenza e l’entità del credito nei rapporti tra il debitore esecutato ed il suo debitore; dall’altro contiene un accertamento efficace nei rapporti tra il terzo pignorato e il creditore procedente, che produce effetti esclusivamente endoesecutivi e rileva ai soli fini dell’assegnazione dei crediti oggetto del pignoramento.
Nello stesso senso, deporrebbe anche l’attuale testo dell’art. 549 c.p.c., a mente del quale, nel caso di contestazioni sulla dichiarazione del terzo, il giudice dell’esecuzione provvede con ordinanza che «produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione» (cioè dell’esecuzione contro il terzo pignorato).
Secondo la Corte, la peculiare posizione del terzo pignorato – quale collaboratore, od ausiliario, del giudice dell’esecuzione, e parte di un rapporto sostanziale esistente col proprio creditore, ma non anche col creditore precedente – comporterebbe:
- a) che la sua responsabilità per avere reso una dichiarazione ex 547 c.p.c., che si assume falsa o reticente, si configuri come illecito aquiliano, a norma dell’art. 2043 c.c., e non come responsabilità processuale aggravata da far valere ai sensi dell’art. 96 c.p.c. nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo;
- b) che l’instaurazione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo (oggi la contestazione della dichiarazione del terzo ai sensi dell’art. 549 c.p.c.) non costituirebbe condizione di proponibilità della domanda risarcitoria e la mancata contestazione della dichiarazione del terzo potrebbe tutt’al più rilevare come fatto colposo del creditore, ai sensi dell’art. 1227 c.c.
QUESTIONI
[1] Con la decisione in commento la Suprema Corte ha dato seguito al principio di diritto affermato da Cass., Sez. Un., 17 dicembre 1987, n. 9407, in Foro it., 1988, I, 2321 ss., nonché in Giust. civ., 1988, I, 2053, con nota critica di Bove.
Alla pronuncia delle Sezioni Unite – la quale, merita rilevarlo, non è intervenuta per dirimere un conflitto giurisprudenziale, bensì perché erano state sollevate alcune questioni di giurisdizione –si sono poi uniformate anche Cass., 3 aprile 2015, n. 6843,; Cass., 4 marzo 2015, n. 4380, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2016, 2, II, 151 ss.; Cass. 10 novembre 2000, n. 14630.
In senso parzialmente difforme, si veda invece Cass., 19 settembre 1995, n. 9888, in Corr. giur., 1996, 308 ss., la quale, muovendo da una diversa ricostruzione della posizione del terzo debitor debitoris chiamato a rendere la dichiarazione, ha affermato che in capo a questi non sussisterebbe alcun obbligo di rendere la dichiarazione prescritta dall’art. 547 c.p.c., sicché andrebbe esclusa la sua eventuale responsabilità per i danni cagionati al creditore a causa dell’omessa dichiarazione (salvo il caso di dichiarazione mendace o fuorviante, in cui si configurerebbe comunque una responsabilità di tipo aquiliano).
Sulla posizione del terzo nell’espropriazione instaurata ai sensi dell’art. 543 c.p.c. ed in particolare sulla questione se detto terzo possa essere considerato o meno «parte» del processo esecutivo (questione che rileva ai fini della configurabilità di una responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.), cfr. Oriani, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 329; Colesanti, voce Pignoramento presso terzi, in Enc. Dir., 1983, XXXIII, 843 ss.