Sulla natura della pronuncia emessa in materia di integrità del contraddittorio
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. II, 6 luglio 2018, n. 17898, Pres. Petitti – Est. Cosentino
[1] Provvedimento emesso su questione di integrazione del contraddittorio – Carattere decisorio – Esclusione – Carattere ordinatorio – Sussistenza – Conseguenze – Fattispecie (Cod. proc. civ., artt. 102, 340)
Le pronunce emesse in materia di integrità del contraddittorio hanno, in ogni caso, contenuto e natura meramente ordinatori, giammai decisori, e, conseguentemente, non possono costituire sentenza non definitiva suscettibile di separata impugnazione o riserva di appello e, in difetto, di passaggio in giudicato. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha condiviso la decisione della corte d’appello secondo cui, poiché i convenuti in primo grado, essendo comproprietari degli immobili a vantaggio dei quali esisteva la contestata servitù di acquedotto, erano litisconsorti necessari ex art. 102 c.p.c., la sentenza non definitiva del tribunale che aveva dichiarato il loro difetto di legittimazione passiva non poteva acquisire efficacia di giudicato, nonostante non avesse formato oggetto di riserva di appello).
CASO
[1] Due comproprietari di un appartamento domandavano, nei confronti di due usufruttuari di altro appartamento, nonché avverso due comproprietari di un terzo appartamento, tutti siti nel medesimo immobile, la rimozione delle perdite derivanti dalla rete fognaria e il risarcimento dei danni ad essi derivanti. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettava in rito le domande, rilevando il difetto di legittimazione della prima coppia convenuta in giudizio, trattandosi di usufruttuari e non proprietari dell’immobile.
La Corte d’Appello di Napoli annullava la sentenza ai sensi dell’art. 354 c.p.c., ordinando l’integrazione del contraddittorio nei confronti di una coppia di coniugi, nudi proprietari dell’appartamento i cui usufruttuari erano stati convenuti in giudizio in primo grado. Previa integrazione del contraddittorio, la causa veniva riassunta davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che, con sentenza non definitiva, dichiarava il difetto di legittimazione passiva in capo agli usufruttuari nonché di un nudo proprietario e di un comproprietario dell’altro appartamento, conseguentemente disponendo la prosecuzione dell’istruttoria nei confronti dell’altra comproprietaria e dell’altra nuda proprietaria; con sentenza definitiva, poi, rigettava le domande proposte dagli attori e accoglieva la riconvenzionale dei convenuti, dichiarando che la rete fognaria che attraversava la proprietà degli attori costituiva servitù per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 c.c.
Entrambe le sentenze venivano impugnate. Nel giudizio di appello si costituivano, tra l’altro, pure i soggetti che erano stati dichiarati, con sentenza non definitiva, privi di legittimazione passiva. La Corte d’Appello di Napoli accoglieva l’impugnazione, affermando, per quanto qui interessa, la sussistenza della legittimazione passiva in capo ai soggetti nei confronti dei quali, tale legittimazione, era stata precedentemente esclusa, rilevando, in particolare, come sulla loro qualità di parti si fosse ormai formato il giudicato in virtù della mancata impugnazione della sentenza della Corte d’Appello di Napoli.
La sentenza veniva fatta oggetto di ricorso per cassazione mediante il quale, per quanto di interesse nella presente sede, si denunciava la violazione dell’art. 340 c.p.c. in quanto la pronuncia gravata non avrebbe rilevato che la sentenza non definitiva del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dichiarativa del difetto di legittimazione passiva, non aveva formato oggetto di riserva di appello ed era quindi divenuta irrevocabile.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte disattende il motivo di ricorso rilevando come, vertendosi in materia di litisconsorzio necessario, la sentenza non definitiva del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere costituisse in realtà provvedimento di natura ordinatoria, insuscettibile di separata impugnazione o di riserva di appello e, in mancanza, di passaggio in giudicato.
QUESTIONI
[1] Da un punto di vista logico, la prima questione che la Cassazione affronta nella formazione della decisione sul motivo in esame, riguarda la natura da riconoscersi al provvedimento che, a parere dei ricorrenti, avrebbe consacrato l’esistenza del giudicato sulla loro qualità di parti necessarie nel giudizio di merito, ossia la sentenza non definitiva emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, come detto non immediatamente appellata né fatta oggetto di riserva di appello ex art. 340 c.p.c.
La Suprema Corte richiama, sul punto, il suo precedente arresto n. 13104 del 15 luglio 2014, in cui si era esclusa l’applicabilità alle pronunce rese in materia di integrità del contradditorio dell’art. 279 c.p.c. (e delle norme connesse), sulla base del ragionamento per cui «le questioni pregiudiziali prese in considerazione da tale norma sono esclusivamente quelle idonee – ove decise in un certo senso – a definire il giudizio, mentre la decisione sulla integrazione del contraddittorio, sia essa positiva o negativa, non può mai porre fine al processo, che invece prosegue in ogni caso, dovendo, anche in ipotesi di decisione positiva (nell’ipotesi opposta il giudizio prosegue puramente e semplicemente tra le parti originarie), disporsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso, e non certo definirsi il giudizio con una pronuncia di mero rito».
L’inidoneità della pronuncia in materia di integrità del contraddittorio a definire il giudizio viene spesa dalla Corte quale argomento per affermarne la natura ordinatoria disvelando, al contempo, l’erroneità dell’operazione compiuta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere al momento della qualificazione della stessa nei termini di sentenza non definitiva.
Si osservi, tuttavia, come questa regola non trovi un riscontro laddove, dal primo grado di giudizio, si trascorra in appello: Cass., sez. un., 22 dicembre 2015, n. 25774 ha infatti affermato l’immediata impugnabilità, mediante ricorso per cassazione, della sentenza d’appello che, per quanto qui interessa, annulli ex art. 354 c.p.c. la sentenza di primo grado per violazione dell’integrità del contraddittorio. Tale pronuncia, in altri termini, vista la sua idoneità a definire il giudizio di secondo grado, avrebbe natura di sentenza definitiva e, in quanto tale, suscettibile di immediato ricorso per cassazione (nonché, in mancanza, di passaggio in giudicato sul punto).
Tornando al caso di specie, in quanto provvedimento di natura ordinatoria – ancorché erroneamente riportato in una sentenza non definitiva -, la statuizione in materia di integrità del contraddittorio si sottrarrebbe dunque al regime di cui all’art. 340 c.p.c., applicabile, lo si ricorda, esclusivamente alle sentenze non definitive di cui all’art. 278 c.p.c. (condanna generica e provvisionale) ovvero di cui al successivo art. 279, secondo comma, n. 4), c.p.c. Ciò – e in contrasto con quanto asserito dai ricorrenti – con conseguente impossibilità della formazione del giudicato su quanto ivi affermato.