Sulla inutilizzabilità nel contenzioso tributario dei documenti non esibiti nella fase amministrativa
di Mattia Polizzi Scarica in PDFCassazione civile, Sez. V, ord. 21 marzo 2018, n. 7011, Pres. Bielli, Est. Caiazzo
Contenzioso tributario – Imposta sul valore aggiunto – Accertamento induttivo – Prove – Documentazione contabile – Mancata produzione in fase amministrativa – Inutilizzabilità in fase contenziosa – Fondamento – Limiti (Cost., art. 24, 53; cod. civ., art. 2697; l. 27 luglio 2000, n. 212, c.d. Statuto del contribuente, art. 10; D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, art. 32, 40; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto, art. 19, 25, 52, 55)
[1] In tema di accertamento tributario, l’interpretazione conforme agli artt. 24 e 53 Cost. dell’art. 52, co. 5, D.P.R. 633/1972 (al quale rinvia anche l’art. 33 D.P.R. 600/1973) implica che l’omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti contabili in sede amministrativa possa determinarne l’inutilizzabilità in sede contenziosa solo in presenza del peculiare presupposto (la prova del quale incombe sull’Amministrazione) costituito da uno specifico e puntuale invito all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, rimasto inevaso dal contribuente che abbia posto in essere un comportamento doloso volto ad eludere la verifica.
CASO
[1] Una società – poi dichiarata fallita – propone ricorso avverso un avviso di accertamento con il quale, tramite una rettifica induttiva del reddito, le era stata revocata una agevolazione fiscale e disconosciuta la detrazione dell’I.V.A.
La Commissione tributaria provinciale accoglie il ricorso e la Commissione regionale respinge l’appello. La curatela del fallimento, subentrata nel primo grado di giudizio, aveva prodotto in giudizio la documentazione pertinente; ma l’Agenzia delle entrate si era rifiutata di esaminarla, eccependone la mancata esibizione nella fase precontenziosa. Secondo i giudici, quel rifiuto comportava la rinuncia a qualsivoglia pretesa impositiva: ciò in ragione del fatto che l’accertamento induttivo non può prescindere da tale produzione documentale.
L’Agenzia delle Entrate ricorre per Cassazione ritenendo, per ciò che più da vicino interessa, che la C.T.R. abbia errato nell’equiparare il rifiuto dell’Ufficio di esaminare i documenti tardivamente prodotti dal contribuente (nel corso del giudizio di primo grado) ad una rinuncia implicita alla pretesa impositiva, essendosi quest’ultima cristallizzata dopo la presentazione del ricorso di primo grado privo della documentazione richiesta.
SOLUZIONE
[1] La Cassazione richiama il principio di cui all’art. 52 D.P.R. 633/1972 (al quale rinvia anche l’art. 32 D.P.R. 600/1973), in forza del quale il rifiuto da parte del contribuente di esibire i documenti richiesti dall’Amministrazione implica l’inutilizzabilità degli stessi in favore del ricorrente in sede contenziosa; respinge tuttavia il ricorso, osservando come nel caso di specie non ci si trovi in presenza di una fattispecie siffatta, non avendo la curatela del fallimento della società resistente rifiutato alcuna richiesta di esibizione.
QUESTIONI
[1] L’ordinanza in commento risulta di interesse, in quanto espressione di un trend pretorio consolidato, teso ad individuare gli esatti confini di applicazione dell’art. 52 D.P.R. 633/1972, disposizione dettata con precipuo riferimento alla disciplina dell’imposta sul valore aggiunto, ma richiamato altresì dal più generale art. 33 D.P.R. 600/1973 di regolamentazione dell’accertamento delle imposte sul reddito (si v., ex pluribus, Cass., 28 aprile 2017, n. 10527; Cass., 27 dicembre 2016, n. 27069; Cass., 11 agosto 2016, n. 16960; Cass., 26 maggio 2014, n. 11765; Cass., 11 aprile 2014, n. 8539; Cass., 14 luglio 2010, n. 16536; Cass., 25 gennaio 2010, n. 1344; Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2000, n. 45).
Il comma quinto dell’art. 52 citato dispone che «i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa», specificando altresì che «per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione».
Una disposizione siffatta, come è evidente, pone una preclusione decisamente rilevante nei confronti del contribuente, che deve essere coordinata non solo con il rispetto del diritto di azione-difesa di cui all’art. 24 Cost., ma anche con il divieto, desunto dall’art. 53 Cost., di obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti.
L’esatto bilanciamento di tali esigenze viene individuato dalla Cassazione nei connotati propri del rifiuto eventualmente posto in essere dalla parte privata.
In particolare, la Suprema Corte osserva in primo luogo che la fattispecie astratta prevista dall’art. 52 D.P.R. 633/1972 consta di tre condotte materiali tra di loro diverse sul piano fattuale: il rifiuto di esibire i documenti richiesti, la dichiarazione di non esserne in possesso e la sottrazione di tale documentazione dall’ispezione.
Ciò premesso, i giudici di legittimità osservano come tali comportamenti, tra di loro differenti nelle modalità di estrinsecazione fenomenica, possono essere ricondotti ad un unico schema legale, ossia quello del «rifiuto di esibizione, del quale la dichiarazione di non possedere e la sottrazione sono soltanto “forme sintomatiche per legge”» (cfr. p. 3 dell’ordinanza).
Inoltre, per il verificarsi di questa condotta non è sufficiente il solo elemento materiale, ma è necessario che il comportamento sia sorretto da un precipuo elemento soggettivo, da ravvisarsi nella natura dolosa dell’atteggiamento del contribuente: con esclusione, dunque, non solo del caso fortuito e della forza maggiore, ma anche della condotta meramente colposa.
Non solo. L’ordinanza in commento ha cura di sottolineare come il meccanismo di inutilizzabilità di cui all’art. 52, co. 5, D.P.R. 633/1972 possa scattare esclusivamente «in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione» (così p. 4 della decisione) probabilmente nel meritorio intento di evitare che debba essere il privato a fornire una giustificazione omnibus del proprio operato fiscale.
Tale soluzione, peraltro, ben si inserisce nell’attuale sistema del contenzioso tributario, quale logico corollario del principio espresso dall’art. 10, co. 1, l. 212/2000 (c.d. Statuto dei contribuenti), in forza del quale «i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede».
Per ulteriori approfondimenti sul tema si v., senza pretesa di esaustività alcuna, L. Barbone, Rifiuto di esibizione di documenti contabili: l’intenzionalità fa da scriminante, in Rass. trib., 1994, 1640 ss.; L. Del Federico, Le sanzioni improprie nel sistema tributario, in Riv. Dir. Trib., 2014, 693 ss.; A. Scalera, Il rifiuto di esibire i documenti al Fisco ne impedisce l’utilizzabilità a favore del contribuente, in www.iltributario.it, 7 luglio 2017; F. Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2017, 157 ss.