4 Aprile 2018

Sulla inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione avverso l’intervento non titolato

di Mattia Polizzi Scarica in PDF

Tribunale di Roma, Sez. IV, ord. 1° febbraio 2018, Est. Cecere.

Esecuzione forzata – Espropriazione immobiliare – Intervento non titolato – Intervento fondato su scritture contabili – Opposizione all’esecuzione – Inammissibilità – Controversie distributive – Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 499, 512, 615, 617; cod. civ., art. 2214)

[1] L’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. è inammissibile qualora il debitore esecutato intenda contestare la sussistenza o l’ammontare del credito azionato mediante un intervento non titolato (nel caso di specie fondato sulle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.).

CASO

[1] Nell’ambito di un procedimento di espropriazione immobiliare, la parte debitrice propone opposizione ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c. avverso l’intervento sine titulo di un creditore, chiedendo contestualmente la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo sotteso all’intervento medesimo.

Il creditore intervenuto contesta le doglianze avversarie, denunciandone l’inammissibilità in rito e l’infondatezza nel merito.

In una successiva udienza la debitrice esecutata dichiara di rinunciare all’opposizione; la rinunzia, tuttavia, non viene accettata dalla controparte.

SOLUZIONE

[1] Il Tribunale di Roma, in primo luogo, rigetta l’istanza di sospensione della efficacia esecutiva, evidenziando come la relativa richiesta costituisce una «contraddizione in termini, rispetto all’intervento non titolato».

Ciò premesso, il giudice capitolino – dopo aver qualificato l’opposizione proposta dalla debitrice come opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. – ne dichiara l’inammissibilità.

QUESTIONI

[1] La decisione adottata dal Tribunale di Roma esamina il dibattuto – ed invero non privo di rilevanti criticità – tema della distinzione tra l’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c. e le contestazioni in sede distributiva previste dall’art. 512 c.p.c., con precipuo riferimento a quale sia lo strumento giuridico esperibile dall’esecutato nei confronti dell’interveniente sine titulo.

A tal fine, pare opportuno ricordare – pur sinteticamente – che il disposto di cui all’art. 499 c.p.c. (sul tema si v., senza pretesa di esaustività, M.G. Canella, Art. 499, in F. Carpi., M. Taruffo, Commentario breve al Codice di procedura civile, Padova, 2015, 1921 ss.; C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2014, IV, 87 ss.). Prevede per la categoria dei creditori non titolati, legittimati ad intervenire nel processo di espropriazione che «al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri ovvero erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’articolo 2214 del codice civile” .

Un meccanismo semplificato di accertamento (lato sensu inteso) del credito (non a caso paragonato, nella pronuncia in commento, all’istituto della ficta confessio). In una apposita udienza il debitore deve indicare quali tra i crediti intenda riconoscere: in caso di assenza del debitore, i crediti in parola si intenderanno riconosciuti; qualora, invece, i crediti vengano disconosciuti, il creditore interveniente sarà sottoposto ad un duplice ordine di oneri, rappresentati in primo luogo dalla necessità di proporre una istanza di accantonamento di una somma pari all’importo del proprio credito e, in secondo luogo, dall’onere di introdurre (entro trenta giorni dall’udienza) un giudizio finalizzato ad ottenere il titolo esecutivo (sul tema si v., senza pretesa di esaustività, M.G. Canella, Art. 499, in F. Carpi., M. Taruffo, Commentario breve al Codice di procedura civile, Padova, 2015, 1921 ss.; C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2014, IV, 87 ss.)..

Ciò premesso, è ora possibile interrogarsi su quale sia il metodo concesso al debitore per opporsi ad un intervento non titolato. Può ricordarsi, a tale proposito, che la funzione propria dell’opposizione all’esecuzione è individuata dalla dottrina nella contestazione in merito al diritto dell’istante di procedere ad esecuzione forzata; tramite lo strumento di cui all’art. 512 c.p.c., invece, il giudice dell’esecuzione decide (con ordinanza impugnabile ex art. 617 c.p.c.) in merito a controversie aventi ad oggetto la sussistenza del credito, il suo ammontare ovvero il suo carattere privilegiato (cfr. F. Cabrini, Art. 615, in F. Carpi, M. Taruffo, op. cit., 2279 ss.; C. Mandrioli, A. Carratta, op. cit., 103 ss. e 217 ss.).

Il problema, invero, si poneva già prima della riforma del 2005 ed ha portato a soluzioni dottrinali di segno opposto (si v., per tali rilievi, M.G. Canella, Art. 512, in F. Carpi, M. Taruffo, op. cit., 1959 ss.). Alcuni Autori, partendo da una concezione unitaria del processo esecutivo (senza distinzione, dunque, tra fase espropriativa e fase satisfattoria), retto esclusivamente – ma globalmente – dal titolo esecutivo, distinguevano tra creditori intervenuti muniti di titolo e creditori intervenuti senza titolo, ritenendo esperibile l’opposizione ex art. 615 c.p.c. nei soli confronti dei primi; viceversa, l’art. 512 c.p.c. non avrebbe mai trovato applicazione in tale evenienza. Altra dottrina, sostenendo che dopo la vendita forzata non fosse più possibile distinguere tra azione del pignorante e degli altri creditori intervenuti (senza riferimento alcuno alla presenza o meno di un titolo esecutivo), affermava che il rimedio di cui all’art. 512 c.p.c. potesse essere esperito anche nei confronti dei creditori muniti di titolo. Altri ancora reputavano che l’opposizione ex art. 512 c.p.c. potesse essere proposta anche nei confronti dell’interveniente titolato, qualora l’oggetto di tale opposizione fosse rinvenibile nella contestazione in merito al diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata (e mai nel diritto ad agire in executivis).

Un panorama variegato, dunque, in parte superato dal nuovo disposto dell’art. 615 c.p.c. che sottopone a termine l’esperibilità dell’opposizione all’esecuzione, statuendone l’inammissibilità in caso di proposizione di tale rimedio dopo che venga disposta la vendita o l’assegnazione ai sensi degli artt. 530, 552 e 569.

Va osservato che già prima della modifica appena riportata la giurisprudenza si era attestata su un distinguo basato sul diverso oggetto delle due opposizioni: nel caso di cui all’art. 512 c.p.c. verrebbe in rilievo il diritto a partecipare alla distribuzione e l’oggetto della norma sarebbe rappresentato dall’esistenza del credito, dal suo ammontare ovvero dal suo carattere privilegiato, senza rilievo alcuno della sussistenza (o meno) di un titolo esecutivo (cfr. Cass., 23 aprile 2001, n. 5961, con nota di C. Delle Donne, La Cassazione e la contestazione dei crediti nella fase di riparto dell’esecuzione forzata: ancora un’occasione mancata, in Giust. civ., 2002, 179 ss., nonché, più di recente, Cass., 26 ottobre 2011, n. 22310, Trib. Bari, 17 luglio 2006, n. 1990, in Guida al diritto, 2007, 12, 71).

La sintetica disamina occasionata dalla pronuncia in commento consente di osservare come il tema ad essa sotteso presenti profili di non scontata criticità; incertezze, queste, che non riguardano il solo piano teorico-sistematico del processo esecutivo, ma gettano ombra anche sul piano pratico-operativo.

Allo scopo di fornire qualche indicazione operativa sulla specifica questione oggetto della decisione, si può però affermare, seguendo le orme della dottrina più recente, che “le forme proprie dell’opposizione all’esecuzione sono necessarie solo laddove il debitore intenda censurare l’intervento del creditore munito di titolo esecutivo. Nei confronti dei creditori privi di titolo esecutivo la tutela del debitore rimane, infatti, affidata al rimedio stabilito dall’art. 512 c.p.c.” (P. Farina, Il nuovo art. 615 e le preclusioni tra discutibili esigenze sistematiche e rischi di un’esecuzione ingiusta, in Riv. trim. dir. proc., 2017, 271). Ciò in quanto il creditore privo di titolo è sfornito del potere di porre in essere atti di impulso, vantando solo il diritto all’accantonamento delle somme.

Per la completa ricostruzione delle posizioni dottrinarie che impongono le forme dell’art. 512 c.p.c. alle opposizioni sollevate nei confronti dei creditori privi di titolo, cfr. S. Ziino, Esecuzione forzata ed intervento dei creditori, Palermo 2004, p. 202, sub n. 7;v. altresì B. Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2016, 355 ss.; A.M. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2017, 780 ss. e pp. 802 ss.; S. Vincre, Profili delle controversie sulla distribuzione del ricavato (art. 512 c.p.c.), Padova, 2010, specimen 217 ss.