Sulla chiusura del fallimento per assenza di domande di insinuazione
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. I, 16 maggio 2019, n. 13270 – Pres. Didone – Rel. Terrusi
Parole chiave: Fallimento – Chiusura – Per assenza di domande di insinuazione tempestive – Equiparazione della rinuncia alle domande tempestivamente presentate – Inammissibilità
[1] Massima: L’art. 118, comma 1, n. 1), l.fall. prevede come motivo di chiusura del fallimento il solo caso della mancata presentazione di domande nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa, cui non possono essere equiparati né il ritiro della domanda tempestivamente presentata, né la rinuncia alla stessa intervenuta prima dell’adunanza di verifica dei crediti.
Disposizioni applicate: r.d. 267/1942, artt. 93, 101, 118
CASO
Nell’ambito di una procedura fallimentare radicata innanzi al Tribunale di Roma, tutte le ventinove domande di ammissione al passivo presentate tempestivamente venivano rinunciate prima dell’adunanza di verifica.
Essendo state, nel frattempo, presentate tre domande tardive, il giudice delegato fissava un’altra udienza di verifica, ma anche tali domande venivano rinunciate.
Fissata un’ulteriore udienza per la verifica della regolarità delle rinunce, l’istanza di chiusura del fallimento presentata ai sensi dell’art. 118, comma 1, n. 1), l.fall. veniva respinta, poiché, atteso l’elevato numero di creditori emergente dall’elenco fornito dalla stessa società debitrice in sede concordataria, vi era la concreta possibilità che, entro il termine stabilito dall’art. 101 l.fall., fossero proposte ulteriori domande tardive.
L’ordinanza del Tribunale di Roma veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma, la quale riteneva che non si rientrasse nell’ambito di applicazione dell’art. 118, comma 1, n. 1), l.fall., non potendosi ravvisare il presupposto dell’assenza di domande ivi contemplato.
Avverso la sentenza di secondo grado veniva proposto ricorso per cassazione, con il quale era denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 118, comma 1, n. 1), l.fall. e dei principi regolatori desunti dalla legge fallimentare, con riferimento alla ritenuta inapplicabilità della norma a fronte di domande di insinuazione al passivo rinunciate prima del loro esame (primo motivo) e degli artt. 101 e 108, comma 1, n. 1), l.fall., con riferimento alla ritenuta inapplicabilità del regime di chiusura del fallimento in ragione dell’asserita rilevanza delle eventuali future domande tardive (secondo motivo).
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo che tanto il Tribunale di Roma quanto la la Corte di Appello di Roma avessero correttamente negato la sussistenza delle condizioni per dichiarare la chiusura del fallimento ai sensi dell’art. 118, comma 1, n. 1), l. fall.
QUESTIONI
[1] La sentenza propone un’interessante e completa ricostruzione dell’istituto della chiusura del fallimento per assenza di domande di ammissione al passivo contemplato dall’art. 118, comma 1, n. 1), l. fall.
Partendo dal dato testuale della norma (“la procedura di fallimento si chiude se nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento non sono state proposte domande di ammissione al passivo”), la Corte di cassazione individua la ratio sottesa alla previsione legislativa, collegandola alla funzione propria del processo fallimentare, finalizzato alla liquidazione del patrimonio del debitore per soddisfare i creditori.
Da questo punto di vista, i giudici di legittimità osservano che la legge reputa tempestive soltanto le domande presentate entro il termine di trenta giorni prima dell’udienza di verifica dello stato passivo (e tale è il termine preso in considerazione dall’art. 118, comma 1, n. 1), l. fall., giusta quanto stabilito dall’art. 16, comma 1, n. 5), a mente del quale, con la sentenza che dichiara il fallimento, il tribunale “assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, il termine perentorio di trenta giorni prima dell’adunanza di cui al n. 4), per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione”); tutte le altre domande sono automaticamente da qualificarsi come tardive e, in quanto tali, possono essere presentate entro il termine di dodici mesi (prorogabile dal tribunale fino a diciotto, in caso di particolare complessità della procedura) dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (art. 101 l.fall.).
Anche le domande tardive, peraltro, sono fatte oggetto di verifica nei medesimi termini previsti per le domande tempestive, nell’ambito di un procedimento attivabile con cadenza quadrimestrale analoga a quella fissata per la ripartizione dell’attivo, a testimonianza della sentita necessità di evitare che si faccia luogo a ripartizioni parziali senza il previo esame di domande sia pure tardivamente depositate.
L’unico elemento che differenzia la domanda di ammissione al passivo tardiva da quella tempestiva è il rischio di parziale incapienza, alla luce di quanto previsto dall’art. 112 l.fall., sicché, fatta eccezione per tale aspetto, non vi è spazio per sostenere che le domande tardive debbano subire un trattamento deteriore rispetto a quanto previsto per quelle tempestive; al punto che alcune pronunce hanno considerato legittimo il provvedimento del giudice delegato che disponga l’inserimento immediato nello stato passivo di una domanda di ammissione tardiva, laddove la fissazione di una nuova adunanza – in mancanza di particolari ragioni ostative alla decisione su detta domanda in occasione di quella già fissata – risulterebbe in contrasto con l’obiettivo del sollecito espletamento delle operazioni di verifica dei crediti perseguito dalla legge (viene citata, a tale proposito, Cass. civ., Sez. I, 26 marzo 2012, n. 4792, che aveva ritenuto non censurabile il provvedimento con cui il giudice delegato aveva ammesso una domanda di insinuazione pervenuta con due giorni di ritardo rispetto al termine stabilito dall’art. 93 l.fall.).
Atteso che, come detto, il processo fallimentare è diretto a liquidare il patrimonio del fallito al fine di soddisfare i creditori, se nessuno di questi presenta domanda nel termine fissato dalla sentenza dichiarativa di fallimento significa che nessuno ha intenzione di profittare del titolo costituito da tale sentenza, onde partecipare al riparto del ricavato della liquidazione del patrimonio, sicché non vi è ragione di procedere alla liquidazione stessa e il fallimento deve essere chiuso; a tale riguardo, si ritiene che il fallito sia titolare di un vero e proprio diritto soggettivo che gli consente di ottenere la chiusura del fallimento quando non vi sono le condizioni per darvi corso.
Su tale ricostruzione della normativa di riferimento si innesta il ragionamento della Corte di cassazione, che giunge così a negare l’equiparazione, ai fini previsti dall’art. 118, comma 1, n. 1), l.fall., tra mancata presentazione di domande di ammissione al passivo tempestive e successiva rinuncia alle stesse.
Infatti, la situazione in cui non vi siano domande tempestive – quale sintomo di assenza di creditori da soddisfare – è diversa da quella in cui tali domande, ritualmente proposte, siano state successivamente abbandonate ma, prima dell’adunanza di verifica ovvero dell’adozione di un qualunque provvedimento sull’istanza di chiusura del fallimento, intervengano domande tardive comunque ammissibili.
Sebbene l’art. 118, comma 1, n. 1), l.fall. faccia esclusivo riferimento alle domande tempestive e, di converso, non ricolleghi alcun effetto ostativo alla chiusura del fallimento alla presentazione di domande tardive, la preclusione allo scrutinio di queste ultime che ne deriverebbe se si optasse per una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con il principio sotteso alla previsione legislativa (evitare l’irragionevole prosecuzione di una procedura concorsuale per cui non vi è sostanziale interesse).
Secondo i giudici di legittimità, a fronte di domande tardive ammissibilmente proposte, la chiusura del fallimento è da reputarsi preclusa per il fatto stesso della presentazione di domande tempestive, anche se poi rinunciate e indipendentemente dal fatto che i creditori tardivi possano o meno, in prospettiva, essere soddisfatti (in tutto o in parte), dal momento che l’art. 118, comma 1, n. 1), l.fall. ricollega al solo caso di mancata presentazione di domande tempestive la chiusura del fallimento in ottica acceleratoria, mentre, di converso, la presenza di domande tempestive legittima ogni eventuale diverso creditore a fare affidamento, ai fini dell’insinuazione tardiva, sull’utile prosecuzione della procedura, che, dunque, non può essere dichiarata chiusa.
A questo proposito, la sentenza annotata dichiara anche di non condividere la tesi di Cass. civ., Sez. I, 15 febbraio 2017, n. 4021, secondo cui, in presenza di domande di insinuazione sia tempestive che tardive, la rinuncia alle prime consente di dichiarare la chiusura del fallimento qualora le seconde non possano trovare utile collocazione, ovvero qualora sussistano altre condizioni – diverse da quella considerata dal n. 1) dell’art. 118 l. fall. – per la cessazione della procedura concorsuale (quali, per esempio, l’impossibilità di soddisfare, anche solo in parte, i creditori concorsuali e le spese di procedura, come previsto dal n. 4) del medesimo art. 118), che ne rendano superfluo l’esame, perché comunque destinate a rimanere insoddisfatte.
La pronuncia lascia nondimeno uno spazio per ritenere che al ritiro delle domande tempestivamente presentate possa fare seguito la dichiarazione di chiusura del fallimento, ma non già ai sensi dell’art. 118, comma 1, n. 1), l.fall., bensì in virtù della diversa previsione contenuta nel successivo n. 2), stando al quale il decreto di chiusura deve essere pronunciato quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l’intero ammontare dei crediti ammessi o questi sono in altro modo estinti e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione.
In questo senso, poiché l’inesistenza di debiti a carico del patrimonio fallimentare rileva come motivo di chiusura della procedura in sé, indipendentemente dalla modalità estintiva del credito postulato o già ammesso, il ritiro delle domande di ammissione al passivo tempestivamente presentate (per esempio perché, prima dell’udienza di verifica, i creditori che le hanno proposte sono stati soddisfatti) può rilevare, secondo un’interpretazione estensiva dell’art. 118, comma 1, n. 2), l.fall., quale elemento da cui evincere la ricorrenza della situazione ivi considerata, ai fini dell’adozione del conseguente provvedimento.