7 Settembre 2021

Sulla censurabilità in Cassazione dell’utilizzo di presunzioni semplici

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. lavoro, 30 giugno 2021, n. 18611, Pres. Manna – Est. Cavallaro

[1] Sindacato del giudice di merito – Censurabilità in sede di legittimità – Vizio denunciabile – Violazione o falsa applicazione di norme di diritto – Limiti – Conseguenze – Fattispecie (art. 2729 c.c.; art. 360 c.p.c.)

In tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di Cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta; nondimeno, per restare nell’ambito della violazione di legge, la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità (criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione), vizio valutabile, ove del caso, nei limiti di ammissibilità di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Nella specie, rispetto alla valorizzazione operata dal giudice di merito di un’ammissione effettuata dal contribuente, è stata reputata inammissibile la critica intesa ad infirmarne la validità contrapponendo un diverso elemento istruttorio, la cui valenza probatoria era stata espressamente disattesa, in tal modo prospettando surrettiziamente una rivalutazione del materiale acquisito al processo).

CASO

[1] In riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d’Appello di Roma rigettava l’opposizione proposta da un contribuente avverso una cartella esattoriale con cui gli veniva ingiunto il pagamento di contributi a favore dell’INPS; in particolare, il giudice di seconde cure riteneva doversi attribuire valore probatorio decisivo a una dichiarazione resa dal contribuente circa l’abitualità e la prevalenza dell’attività lavorativa svolta a beneficio di una s.r.l.., della quale egli era anche amministratore delegato e perciò iscritto alla Gestione separata.

Avverso tale decisione il contribuente presentava ricorso per cassazione lamentando, per quanto di interesse nella presente sede, violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2729 c.c., per avere la Corte di merito attribuito valore probatorio decisivo alla dichiarazione summenzionata: ad avviso di parte ricorrente, in particolare, i giudici di merito avrebbero errato nel non considerare che detta dichiarazione era stata rilasciata nove anni prima dei fatti di causa e, oltre a non essere corroborata da ulteriori elementi di prova o almeno indiziari, risultava smentita dalle deposizioni rese sul punto da un testimone.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte giudica inammissibile il motivo di ricorso proposto.

La Cassazione, infatti, ricorda come la violazione dell’art. 2729 c.c., veicolata quale vizio ex art. 360, n. 3), c.p.c., debba esprimersi in una censura inerente alla sussistenza dei tre caratteri che individuano una presunzione semplice (gravità, precisione, concordanza), restando invece escluso che possa essere configurata mediante il richiamo a risultanze istruttorie di segno contrario rispetto alla presunzione costruita dal giudice di merito.

Nel caso di specie, il ricorrente non avrebbe censurato la (mancata) ricorrenza dei requisiti integranti una presunzione semplice, ma avrebbe preteso di infirmare l’accertamento del fatto presunto contrapponendovi un altro fatto desumibile da una deposizione testimoniale (ritenuta inidonea, dal giudice di merito, a smentire tale presunzione).

Non ricorrendo i requisiti per una corretta censura di violazione di legge in relazione all’art. 2729 c.c., la Suprema Corte ha quindi dichiarato il motivo di ricorso inammissibile.

QUESTIONI

[1] La pronuncia in commento ha ad oggetto la definizione delle corrette modalità di denuncia del vizio di violazione di legge, ex art. 360, n. 3), c.p.c., in relazione all’art. 2729 c.c., ossia la norma disciplinante le presunzioni semplici e, con esse, il ragionamento inferenziale compiuto dal giudice di merito nella costruzione del giudizio di fatto.

Anzitutto, è opportuno ricordare il testo della norma da ultimo citata, per poi procedere all’analisi della stessa e dell’elaborazione giurisprudenziale che ne è scaturita, con particolare riguardo alle modalità di denuncia dei vizi che possono infirmare il ragionamento giudiziale fondato su presunzioni semplici.

L’art. 2729 c.c., dedicato appunto a tale categoria di presunzioni, prevede, al suo primo comma, che «le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti».

Gravità, precisione e concordanza sono dunque le caratteristiche integranti una presunzione semplice – per il resto connotata da assoluta atipicità -, a partire dalla quale il giudice di merito è legittimato a fondare, nella costruzione del giudizio di fatto, un ragionamento di tipo inferenziale.

Passando rapidamente in rassegna il significato di tali requisiti, si intende: a) per gravità, la capacità della presunzione di produrre conclusioni relative al factum probandum che abbiano un rilevante grado di attendibilità; secondo la giurisprudenza di legittimità, affinché vi sia gravità non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, ossia che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di ragionevolezza e di probabilità (ex multis, Cass., 8 ottobre 2013, n. 22898; Cass., 31 ottobre 2011, n. 22656); b) per precisione, l’idoneità della presunzione a produrre conclusioni chiare, convergenti e non equivoche sui fatti ignorati; c) in relazione alla concordanza, l’opinione dominante ha infine sposato un’interpretazione estensiva, secondo la quale non occorre, per fondare un ragionamento inferenziale, il ricorso di plurime e concordi presunzioni, ben potendo anche solo una presunzione, laddove sufficientemente grave e particolarmente precisa, costituire da sola il fondamento probatorio dell’accertamento del fatto ignorato (così, Cass., 29 luglio 2009, n. 17574; Cass., 11 settembre 2007, n. 19088).

Passando alla censurabilità in Cassazione del ragionamento presuntivo, occorre premettere come la costante giurisprudenza escluda la possibilità di un tale sindacato, purché la decisione del giudice appaia congruamente motivata (ex multis, Cass., 22 gennaio 2009, n. 1632; Cass., 26 novembre 2008, n. 28224).

Vi è spazio, peraltro, per censurare l’erronea applicazione, commessa dal giudice del merito, dell’art. 2729 c.c.: in particolare, ciò può accadere sia in caso di erronea interpretazione della norma, sia in caso di erronea sussunzione del fatto entro di essa.

Con specifico riguardo alla violazione dell’art. 2729 c.c., la giurisprudenza costante afferma infatti che, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri che individuano una presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento possa essere censurato in sede di legittimità ex art. 360, n. 3), c.p.c., dovendosi sempre verificare se la norma di cui all’art. 2729 c.c., oltre a essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (tali principi sono stati espressi da Cass., 16 novembre 2018, n. 29635; Cass., 4 agosto 2017, n. 19485; Cass., 26 giugno 2008, n. 17535).

Nell’ambito della violazione di legge, la critica della decisione giudiziale deve quindi concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti richiesti nella presunzione utilizzata nel ragionamento condotto dal giudice (gravità, precisione, concordanza), non potendo invece esprimersi per il tramite di argomentazioni dirette puramente e semplicemente a infirmare la plausibilità del ragionamento presuntivo condotto dal giudice di merito, criticando la ricostruzione del fatto che questi abbia operato (ciò che, se del caso, potrebbe piuttosto essere veicolato quale motivo di ricorso ex art. 360, n. 5), c.p.c.).

In altri termini – e qui si richiama il ragionamento condiviso anche dal provvedimento in commento e posto a giustificazione della declaratoria di inammissibilità del motivo di ricorso presentato, dove si pretendeva di censurare la violazione dell’art. 2729 c.c. tramite l’allegazione di una deposizione testimoniale di tenore opposto al risultato del ragionamento inferenziale condotto -, non è logicamente possibile configurare una violazione dell’art. 2729 c.c. mediante il richiamo a risultanze istruttorie di segno contrario rispetto alla presunzione costruita dal giudice di merito, dal momento che ciò equivarrebbe a confondere la violazione di legge con l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, operazione estranea rispetto all’esatta interpretazione della norma e inerente, appunto, alla tipica valutazione riservata al giudice di merito.

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