3 Luglio 2018

Sulla censura in appello del vizio di omessa pronuncia

di Enrico Picozzi Scarica in PDF

Cass., Sez. VI-2, 2 maggio 2018, n. 10406 – Pres. Manna – Est. Falaschi

Impugnazioni civili – Appello – Omessa pronuncia sulla domanda – Riproposizione – Sufficienza – Esclusione – Motivo specifico di impugnazione –Necessità (Cod. proc. civ., artt. 112, 329, co. 2, 342, 343, 346) 

[1] Il vizio di omessa pronuncia deve costituire oggetto di un puntuale motivo di appello, mediante il quale si segnali l’errore commesso dal giudice di primo grado, sebbene la specificazione delle ragioni poste a suo fondamento si esaurisca nell’evidenziare la mancata adozione di una decisione sulla domanda proposta.

 CASO

[1] Tizia domandava la divisione giudiziale di un terreno, chiedendo inoltre che fosse ordinata la demolizione di un capannone industriale ivi costruito dal fratello Caio. Quest’ultimo, costituendosi, chiedeva il rigetto delle domande attoree e spiegava, a sua volta, domanda riconvenzionale al fine di ottenere la divisione dell’intero asse ereditario dei genitori. Il Tribunale adito respingeva la richiesta di Tizia, mentre non adottava alcuna pronuncia quanto alla riconvenzionale di Caio. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di prime cure, disponeva lo scioglimento (parziale) della comunione nei limiti delle richieste formulate dall’attrice, da un lato, e dall’altro lato, dichiarava di non poter procedere all’esame della domanda riconvenzionale del convenuto – considerata implicitamente rigettata – poiché questi non aveva proposto gravame incidentale. La parte soccombente, pertanto, proponeva ricorso per cassazione, denunciando, tra le altre cose, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c.

SOLUZIONE

La Suprema Corte supera anzitutto – senza tuttavia chiarirne le ragioni – la soluzione interpretativa adottata dalla Corte d’Appello, secondo cui, l’omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale da parte del giudice di prime cure integrava un’ipotesi di suo implicito rigetto, per mancato assolvimento dell’onere di cui all’art. 2967 c.c., dal momento che il convenuto non aveva provveduto a restituire il proprio fascicolo, in precedenza ritirato (sul punto, cfr. Cass., sez. III, 3 luglio 2008, n. 18237; Cass., sez. II, 28 giugno 2017, n. 16212; in dottrina, v. G. Ruffini, Produzione ed esibizione dei documenti, in Riv. dir. proc., 2005, 440-443). La Cassazione, pertanto, dopo aver ricondotto l’omessa pronuncia ad un’ipotesi di violazione dell’art. 112 c.p.c. afferma che, al verificarsi di tale evenienza, alla parte si prospettano due percorsi alternativi: a) da un lato, la riproposizione della domanda non decisa in un separato giudizio; b) dall’altro lato, la sua reiterazione in sede di impugnazione. Ove si opti per quest’ultima via, il soccombente dovrà spiegare – costituendo l’omissione una parte di sentenza ex art. 329, comma 2, c.p.c., – uno specifico motivo di impugnazione nei confronti del provvedimento gravato. Quanto al profilo contenutistico dell’appello e quindi al corretto assolvimento delle indicazioni provenienti dall’art. 342 c.p.c., la Suprema Corte soggiunge che, la parte, qualora censuri la violazione dell’art. 112 c.p.c., dovrà indicare l’errore commesso dal giudice di prime cure, limitandosi ad evidenziare l’omessa pronuncia su di una domanda ritualmente proposta (nella medesima direzione, cfr. Cass., sez. II, 12 febbraio 2016, n. 2855; contra Cass., sez. I, 30 aprile 2014, n. 9485).

QUESTIONI

La soluzione adottata dal giudice di legittimità è senz’altro condivisibile, poiché coerente con i più recenti approdi delle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 19 aprile 2016, n. 7700; Cass., sez. un., 17 maggio 2017, n. 11799) in tema di rapporti tra onere di impugnazione incidentale e riproposizione ex art. 346 c.p.c.

Più specificamente, infatti, l’omissione di pronuncia costituisce un error in procedendo del giudice (v. Cass, sez. VI, 23 maggio 2018, n. 12825) che, sottraendosi al suo dovere decisorio, determina una situazione di soccombenza in capo alla parte che abbia proposto la domanda illegittimamente pretermessa.

La situazione appena descritta va tenuta distinta dal c.d. rigetto implicito, rispetto al quale, invece, una decisione, ancorché espressa in forma indiretta, può ritenersi in ogni caso sussistente (cfr. Cass., sez. lav., 26 gennaio 2016, n. 1360; Cass., sez. III, 25 febbraio 2005, n. 4079).

In entrambi i casi – ed è questo l’elemento comune delle due fattispecie – la parte che intenda dolersi dell’omissione e/o del rigetto implicito dovrà spiegare un apposito motivo di impugnazione, la cui mancata proposizione, nondimeno, sarà foriera di distinte conseguenze: il passaggio in giudicato di quella parte di sentenza che indirettamente abbia rigettato la domanda proposta, da un parte, e dall’altra, la possibilità di reiterare la domanda non decisa in un nuovo e distinto giudizio.

In questo contesto, sembra dunque evidente che, il campo di elettiva ed esclusiva applicazione della riproposizione resti circoscritto alle sole ipotesi di legittimo assorbimento.

Svolte queste preliminari distinzioni e limitando la nostra attenzione alla sola ipotesi di illegittima pretermissione di una domanda, il giudice incorrerà nel vizio in discorso tutte quante le volte eviti di esaminare e decidere una tra le varie domande proposte in via di cumulo semplice ex art. 104 c.p.c. oppure di cumulo alternativo sostanziale consistente nella proposizione di due domande incompatibili sul piano del diritto sostanziale, in relazione alle quali, il giudice, accogliendone una, deve necessariamente rigettare l’altra (su queste ipotesi, cfr. Cass. n. 7700/2016; in dottrina v. C. Consolo, Breve riflessione esemplificativa (oltre che quasi totalmente adesiva) su riproposizione e appello incidentale, in Corr. Giur., 2016, 978-982; V. Battaglia, Appunti sui rapporti tra appello incidentale e mera riproposizione, in Riv. dir. proc., 2018, 428-435).

Ma, a ben vedere, anche nella divergente ipotesi di cumulo subordinato potrà verificarsi un’omissione di pronuncia, ogniqualvolta, ad esempio, il giudice violi il nesso di subordinazione impresso dalla parte oppure, rigettando la domanda principale, tralasci di decidere quella spiegata in via subordinata.

Peraltro, ed il punto merita di essere evidenziato, mentre nelle prime due fattispecie di cumulo (ossia quello semplice e quello alternativo), il dovere decisorio del giudice deve ritenersi esteso a tutte le domande proposte, non potendo dunque ammettersi alcuno spazio per la figura dell’assorbimento, nel caso, invece, di cumulo subordinato, con l’accoglimento della domanda principale, il giudice può ritenere esaurite le sue funzioni e la domanda proposta in via gradata potrà pertanto considerarsi legittimamente assorbita (e quindi meramente riproponibile in sede appello ex art. 346 c.p.c.).

La oramai acquisita rimediabilità del vizio di omessa pronuncia mediante la proposizione di un autonomo e specifico motivo di impugnazione, impone all’interprete di chiarire un profilo – forse non debitamente indagato in giurisprudenza – vale a dire quello dei soggetti interessati a denunciare tale violazione in sede di gravame. Al riguardo, non sembra potersi nutrire alcun dubbio in ordine al fatto che il potere di impugnazione spetti alla parte che abbia proposto la domanda non decisa. Un analogo potere, invece, stando all’opinione espressa dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., sul punto, Cass., sez. I, 9 maggio 2013, n. 11012; Cass., sez. III, 18 luglio 2002, n. 10436; Cass., sez. Lav., 11 ottobre 1996, n. 8905), dovrebbe escludersi in capo alla controparte, poiché quest’ultima, da un lato, non potrebbe considerarsi soccombente e, dall’altro, non subirebbe alcun pregiudizio da una tale carenza di decisione.

La tesi – che meriterebbe ben altro approfondimento – non sembra del tutto persuasiva. In linea di principio, una situazione di soccombenza può riscontrarsi anche in capo alla parte nei cui confronti sia stata proposta una domanda non decisa e che ne abbia nel contempo chiesto il rigetto: al riguardo, infatti, sussiste una divergenza fra le sue conclusioni (rigetto della domanda) e la sentenza del giudice (carenza di decisione non solo sulla domanda ma, a ben vedere, anche sulla sua richiesta di reiezione). Parimenti, la stessa parte potrebbe risultare pregiudicata dall’omessa pronuncia sulla domanda avversaria, specie nel caso in cui, chi l’abbia proposta, decida di non avvalersi del gravame per denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c.: in tale evenienza, infatti, questa resterebbe esposta al pericolo di un nuovo giudizio sulla pretesa non decisa.