Sul regime del termine concesso per l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c.
di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDFCass., ord., 4 dicembre 2018, n. 31316 Pres. Lombardo – Rel. Carrato
Impugnazioni civili – Litisconsorzio necessario – Causa inscindibile – Omessa o tardiva integrazione del contraddittorio – Inammissibilità del gravame – Rilevabilità officiosa (C.p.c. artt. 102, 153, 331)
[1] Il termine per la notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili fissato ex art. 331 c.p.c. è perentorio, non è prorogabile neppure sull’accordo delle parti, non è sanabile dalla tardiva costituzione della parte nei cui confronti tale integrazione doveva avvenire e la sua inosservanza deve essere rilevata d’ufficio, sicché la sua violazione determina, per ragioni d’ordine pubblico processuale, l’inammissibilità dell’impugnazione.
CASO
[1] Avverso un contratto intercorso tra il de cuius e un terzo, alcuni soggetti, previamente istando per il riconoscimento della loro qualità di eredi legittimi, hanno esperito azione di nullità, in una alla proposizione di domanda diretta alla declaratoria di inefficacia, nei loro confronti, di un distinto (ma, presumibilmente, collegato) contratto ed altre domande restitutorie vuoi delle porzioni di un immobile vuoi di una somma di denaro.
Pronunciatosi il giudice di primo grado nel senso dell’integrale accoglimento di tali domande, la sentenza che ne è scaturita è stata fatta segno di appello da parte di taluno dei soccombenti, la cui istanza di gravame, però, non ha determinato l’evocazione in giudizio di tutti coloro che avevano acquistato la qualità di parte nella pregressa fase di prime cure. Acclarato come alle azioni proposte corrispondesse una situazione di litisconsorzio necessario, riconducibile, nella prospettiva impugnatoria, alle previsioni dell’art. 331 c.p.c., la Corte d’appello adita ha allora disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti pretermesse, assegnando termine apposito per provvedervi. All’udienza fissata per la prosecuzione del giudizio, gli appellanti hanno fatto però richiesta di rimessione nel termine, in ragione delle difficoltà incontrate nella ricerca e identificazione di alcuni dei soggetti nei confronti dei quali andava integrato il contraddittorio. Il giudice d’appello ha disatteso questa richiesta e, rilevato il vano decorso del termine precedentemente assegnato ai sensi dell’art. 331 c.p.c., ha decretato, in obbedienza a quanto la norma prevede al riguardo, l’inammissibilità dell’impugnazione esperita, con pronuncia che uno degli appellanti sconfitti ha ritenuto di dover fare oggetto di ricorso per cassazione: iniziativa che è all’origine dell’ordinanza quivi in esame
SOLUZIONE
[1] Il ricorrente ha contestato la decisione di absolutio ab instantia adottata dal giudice di seconde cure sia sotto il profilo della violazione di legge ex art. 360, 1° comma, n. 3, sia sotto quello dell’omessa o contraddittoria motivazione di cui al successivo n. 5 della stessa norma. Preliminarmente escluso come il vizio di omessa o contraddittoria motivazione, almeno per come nella specie dedotto, possa oggi costituire, alla stregua del nuovo dettato della disposizione da ultima richiamata, motivo di doglianza in sede di giudizio di legittimità, la Corte ha proceduto all’esame della denunciata violazione di legge, concludendo, però, nel senso dell’infondatezza anche di quella distinta linea di censura.
Assunta come incontestata premessa la sussistenza di una fattispecie di litisconsorzio necessario, riguardabile come causa inscindibile ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 331 c.p.c., il giudice della nomofilachìa ha richiamato il proprio consolidato insegnamento in merito al termine che, a mente di quella norma, il giudice è tenuto ad assegnare ai fini dell’integrazione del contraddittorio, nell’ipotesi in cui, come nel caso deciso, la domanda di gravame non abbia coinvolto tutte le parti della precedente istanza di giudizio. E osservato come il giudice di secondo grado si fosse puntualmente attenuto ai princìpi che scandiscono quell’insegnamento – e che tratteggiano quel termine come: i) perentorio; ii) non prorogabile, neppure su accordo delle parti; iii) non sanabile per effetto della tardiva costituzione della parte nei cui confronti il contraddittorio doveva essere integrato; iiii) e, infine, dettato per ragioni di ordine pubblico processuale, sì che la relativa inosservanza sia suscettibile di rilievo anche ex officio -, non ne è potuto conseguire che il rigetto del formulato ricorso e la piena conferma della sentenza impugnata
QUESTIONI
[1] Tutti quelli che la Suprema Corte ha invocato, nell’occasione, come i cardini della sua interpretazione del termine ex art. 331, 1° comma, c.p.c., rispondono effettivamente a una solida e radicata tradizione: v. così, per la perentorietà del termine in questione, Cass. 8 novembre 2017, n. 26490; Cass. 23 luglio 2010, n. 17416; per la sua improrogabilità anche a dispetto di un accordo delle parti, Cass. 17 luglio 1999, n. 7570; Cass. 10 luglio 1999, n. 7282; per la rilevabilità anche d’ufficio della relativa violazione, Cass. 23 luglio 2010, n. 17416; Cass. 24 luglio 1999, n. 8009; Cass. 24 gennaio 1995, n. 791. Se un’eccezione può farsi, questa, semmai, attiene alla regola per cui nessuna efficacia sanante potrebbe essere attribuita alla spontanea costituzione in giudizio, ovviamente a termine già scaduto, della parte nei cui confronti si debba integrare il contraddittorio: nel senso della procedibilità nel merito del gravame allorché detta costituzione in giudizio sia comunque intervenuta, purché in momento anteriore all’udienza fissata con l’ordine di integrazione del contraddittorio, v. infatti, assumendo che in tal modo quell’ordine avrebbe raggiunto il suo scopo, Cass. 26 gennaio 2004, n. 1326; e sulla sua scia, Cass. 6 dicembre 2006, n. 26156; ma nella direzione recepita dal provvedimento in rassegna, e nel segno della preminenza delle ragioni d’ordine pubblico processuale che sottendono il termine in discorso, cfr. le successive Cass. 27 marzo 2007, n. 7528, Cass., 30 gennaio 2017, n. 2298.
Il rigore dell’esegesi nomofilattica in argomento non si è spinto sino al punto di escludere la possibilità di beneficiare al riguardo, ove ne sussistano le condizioni, dell’istituto della rimessione in termini ex art. 153, 2° comma, c.p.c.; e nel senso che l’inosservanza del termine de quo non dovesse rilevare come motivo di inammissibilità del gravame allorché la parte fosse in grado di dimostrare che tale inosservanza era da addebitarsi a causa ad essa parte non imputabile, v. già, prima ancora della codificazione di detto istituto – risalente alla l. 18 giugno 2009, n. 69 -, Cass. 14 ottobre 2005, n. 20000, in Corr. giur., 2006, 1559, con nota di Tedoldi. Ma nella fattispecie in epigrafe, non era questione di ammissibilità o meno della rimessione nel termine, bensì di adeguatezza o meno della motivazione su cui era incardinata la decisione negativa resa sul punto dal giudice di merito: ciò di cui, per quanto sopra si è detto, la Cassazione non ha potuto occuparsi.
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