Sul potere delle parti del giudizio divisorio di modulare le proprie richieste all’esito della consulenza tecnica
di Rita Lombardi Scarica in PDFCass., sez. II, 30 maggio 2017, n. 13621- Pres. Mazzacane – Rel. D’Ascola
Giudizio di divisione – Operazioni di divisione – Consulenza tecnica – Modifiche delle richieste – Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 789; cod. civ. art. 720).
[1] In sede di operazioni divisionali risponde alle esigenze cui il giudizio divisorio è indirizzato consentire il dispiegamento di modifiche delle domande in relazione all’emergere e alla formalizzazione, officiosa o di parte, di novità che giustificano un nuovo assetto di interessi e poiché la consulenza a fini divisionali assume di regola rilievo decisivo nell’orientare le volontà dei condividenti, essi legittimamente possono formulare richieste diverse da quelle iniziali e tra loro diversificate.
CASO
[1] Nell’ambito di un giudizio di divisione di un compendio immobiliare dieci comunisti si avvalgono del medesimo difensore. Pur tuttavia all’esito della consulenza tecnica d’ufficio tre di essi, a mezzo di difensori diversi, formulano richieste disgiunte. Il Tribunale di Brescia, reputando che all’atto della costituzione in giudizio era stata avanzata una richiesta di attribuzione del compendio immobiliare congiunta, dichiara tardive le domande di attribuzione dei beni ricadenti nella comunione in proporzione alle rispettive quote, giacché formulate oltre i termini delle memorie di cui all’art. 183 c.p.c. co., e fatto proprio il progetto di divisione redatto dal consulente, lascia permanere lo stato di comunione tra i dieci comunisti.
Con l’appello i due comunisti superstiti osservano che la loro domanda non poteva intendersi come nuova e si dolgono della permanenza dello stato di comunione che determina la violazione degli artt. 1111 e 1114 c.c., ma la Corte di appello di Brescia conferma la sentenza di prime cure. Proposto ricorso per cassazione sul punto la seconda sezione della Corte di cassazione lo ritiene fondato e rinvia la causa alla medesima Corte di appello in diversa composizione.
SOLUZIONE
[1] La Cassazione rimarca che il giudizio di scioglimento di comunioni non è pienamente compatibile con le scansioni e le preclusioni del processo in generale, potendo i condividenti determinare legittimamente le proprie richieste anche all’esito della consulenza tecnica nonché dei comportamenti assunti da tutti in ordine al progetto di divisione, acquisendo rilievo pure eventuali sopravvenuti atti negoziali traslativi che alterano le quote iniziali, di talché i condividenti ben possono mutare, anche in sede di appello, le proprie conclusioni e richiedere per la prima volta l’attribuzione, per intero o congiunta, di un bene immobile non comodamente divisibile.
Segnatamente, la Corte rileva che in tale giudizio la consulenza tecnica assume rilievo decisivo nell’orientare le volontà dei condividenti e che da essa possono emergere novità che giustificano un nuovo assetto di interessi e, dunque, l’esigenza di avanzare nuove richieste. Pertanto nella specie il giudice di primo grado, e di poi la Corte di appello, visto il (presunto) mutamento delle richieste dei tre comunisti, avrebbero dovuto formulare un nuovo progetto divisionale o, in caso di non comoda divisibilità del bene in comunione, procedere alla vendita di esso.
QUESTIONI
[1] La motivazione della Cassazione s’incentra sulla singolarità della struttura del giudizio di divisione, di cui essa stessa aveva dato conto in modo più articolato nella pronuncia del 19 luglio 2016 n.14756 (in dottrina i tratti singolari di siffatto giudizio sono stati rimarcati da Lombardi, Contributo allo studio del giudizio divisorio. Provvedimenti e regime di impugnazione, Napoli, 2009, 12 ss.; sulla compatibilità del giudizio divisorio con il principio delle preclusioni v. Cass., sez. un., 20 giugno 2006, n.14109).
Da ciò la Corte trae la conseguenza per la quale le parti di tale giudizio possono riformulare le loro richieste rispetto alle modalità della divisione dopo il deposito della consulenza tecnica ed altresì possono avanzare per la prima volta l’istanza di attribuzione del bene non comodamente divisibile in appello (Cass. 19 luglio 2016, n. 14756; Cass. 17 aprile 2013, n. 9367; Cass. 14 agosto 2012, n. 14521; v., inoltre, Cass. 25 maggio 2016 n. 10856, ove si specifica che la richiesta in secondo grado non può avanzarsi se è stata già formulata da uno dei condividenti in primo grado, restando in tal caso preclusa la possibilità per gli altri dal momento che il diritto all’attribuzione non dipende dall’impugnazione della sentenza; Cass. 17 aprile 2013, n. 9367; Cass. 14 agosto 2012, n. 14521. In dottrina, si rinvia a Lombardi, Contributo, cit., 299 ss.).
Giova però rimarcare che sulla qualificazione e tempistica di quest’ultima istanza si sono registrati diversi orientamenti. In epoca più risalente essa veniva configurata come domanda nuova (Cass. 4 giugno 1974, n. 1624) o come domanda riconvenzionale (Cass. 28 gennaio 1988, n. 763). Di seguito si sono affermati sia l’orientamento che la intende quale eccezione (Cass. 2 giugno 1999, n. 5392, ma anche Cass. 14 maggio 2008, n. 12119) sia quello che ne ravvisa una mera specificazione della domanda di scioglimento della comunione (Cass. 28 novembre 1998, n. 12111). Quest’ultima posizione, allo stato prevalente, reputa che dell’istanza ex art. 720 c.c. sia proponibile in ogni momento del processo al verificarsi dello stato di non comoda divisibilità del bene in comunione, di conseguenza avanzabile per la prima volta in appello (Cass. 19 luglio 2016, n. 14756).
Sulla singolare posizione del Tribunale di Sulmona (sent. 11 gennaio 2017) per la quale, stante il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 co. 2 Cost., l’attribuzione del bene non comodamente divisibile può essere disposta dal giudice anche se nessuna parte l’ha richiesta (valutate però le possibilità economiche e gli interessi delle parti) v. Lombardi, Sul potere del giudice di attribuzione del bene immobile non comodamente divisibile in questo Notiziario, 14 marzo 2017.
Sul potere del giudice nell’attribuzione del bene indivisibile in caso di concorrenza tra più richieste, si è chiarito che il criterio della quota maggiore di cui all’art. 720 c.c. non è vincolante per il giudice il quale per ragioni di opportunità può attribuire il bene anche ad un altro quotista, purché motivi in modo adeguato e logico: Cass. 28 ottobre 2009, n. 22857; Cass. 25 settembre 2008, n. 24053. Con riguardo ai casi di conflitto tra maggior comunista singolo e maggior comunista collettivo, siffatte ragioni sono state rinvenute nell’interesse comune delle parti (v. Cass. 7 ottobre 2016, n. 20250; Cass. 22 marzo 2016, n. 5603; Cass. 4 aprile 2008, n. 8827) ovvero nella sussistenza di “motivi gravi” attinenti agli interessi comuni delle stesse: Cass. 4 marzo 2005, n. 4778; Cass. 29 agosto 1998, n. 8629. Sull’istanza congiunta di più comunisti v. anche la più recente Cass. 21 gennaio 2017 n.1596.
Occorre però segnalare che nella specie in esame pare essersi realizzata una situazione opposta rispetto a quelle di cui si occupano le pronunce che si esprimono sulla tardiva istanza (individuale o collettiva) di attribuzione del singolo bene in comunione: taluni comunisti dapprima avrebbero chiesto “l’assegnazione di una quota comune” – e dunque l’attribuzione congiunta del compendio immobiliare – e di poi avrebbero revocato siffatta richiesta chiedendo “l’attribuzione di una quota per ciascuno”, di tal guisa aprendo la prospettiva della vendita del compendio immobiliare, ossia di quella via che il sistema, all’art. 720 c.c., reputa soluzione estrema (su cui v. tra le altre, oltre alla già citata Cass. 19 febbraio 2016, n. 14756; Cass. 19 maggio 2015, n. 10216; Cass. 13 maggio 2010, n. 11641, in Foro it., 2011, I, 178 ss.; Cass. 3 maggio 2010, n. 10624; in dottrina v. Andolina, Note sull’oggetto del giudizio divisorio, in Riv. dir. civ., 1960, II, 587; Pavanini, Divisione giudiziale, voce Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 473; Tedesco, Lo scioglimento delle comunioni, Milano, 2002, 280 ss.; Lombardi, Sui limiti alla discrezionalità del giudice nell’attribuzione del bene non comodamente divisibile, in Foro it., 2011, I, 178).