25 Febbraio 2025

Il concetto di complanarità ai fini della modifica della domanda in corso di causa

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Cass., sez. II., 8 novembre 2024, n. 28873 Pres. Di Virgilio, Rel. Grasso

Procedimento civile – Modifica o precisazione della domanda – Atto di citazione – Udienza di prima comparizione – Memoria – Ammissibilità (C.p.c. artt. 100, 163, 166, 171 ter, 132, 183, 342)

Massima: “L’introduzione in giudizio da parte dell’attore di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere oltre la barriera preclusiva segnata dall’udienza ex art. 183 cod. proc. civ. ratione temporis applicabile è ammissibile solo in caso di teleologica “complanarità” tra le due domande, dovendo pertanto tale diritto attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere alla realizzazione (almeno in parte) dell’utilità finale già avuta di mira con l’originaria domanda (salva la differenza tecnica di petitum mediato) e rivelarsi di conseguenza incompatibile con il diritto per primo azionato”.

CASO

La vicenda in esame trae origine dalla pretesa degli acquirenti di un terreno alla risoluzione del contratto di compravendita, alla restituzione del prezzo e al risarcimento del danno, formulata nei confronti degli alienanti in ragione della previa determinazione all’acquisto del lotto per edificare la casa d’abitazione e della presupposta presentazione, da parte delle promittenti venditrici in sede di contratto di preliminare, di un certificato di destinazione urbanistica dal quale emergeva che il terreno promesso in vendita era ricompreso in una zona indicata come residenziale di completamento, senza che dallo stesso risultasse alcun vincolo di inedificabilità; fatti a cui seguiva però il diniego comunale a qualsiasi lavoro attesa l’esistenza sul terreno di un vincolo di inedificabilità idrogeologico che rendeva del tutto inedificabile l’area.

Si costituivano i convenuti negando di essere a conoscenza dell’esistenza del vincolo e chiedendo l’autorizzazione alla chiamata del Comune, in via di manleva e per la proposizione di domanda riconvenzionale vòlta al rimborso del contributo ICI versato in presenza di un vincolo di inedificabilità; si costituiva altresì il Comune, sostenendo che il vincolo paesaggistico e ambientale discendeva da qualità intrinseche del bene e non da scelte discrezionali dell’amministrazione, nonché la pubblicazione del piano dell’assetto idrogeologico sulla Gazzetta Ufficiale e sui bollettini regionali, con esclusione dunque di qualsiasi legittima ignoranza in ordine all’esistenza del vincolo.

Con la prima memoria del “vecchio” art. 183, comma 6 c.p.c., e dunque nemmeno nella prima udienza effettiva susseguente al rinvio per permettere la chiamata del terzo, gli attori aggiungevano alla domanda svolta in via principale una subordinata con cui chiedevano l’annullamento del contratto per vizio della formazione del consenso, oltre all’estensione della domanda risarcitoria al Comune.

Il Tribunale, per la parte che qui più espressamente rileva, dichiarava l’inammissibilità della domanda di annullamento del contratto per vizio del consenso poiché formulata tardivamente, e rigettava nel merito tutte le altre domande.

La sentenza era confermata in grado d’appello.

Gli attori proponevano ricorso per cassazione sulla base di due soli motivi, di cui qui rilevante il primo con cui gli acquirenti lamentavano ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183, comma 5 c.p.c. nella parte in cui i giudici del merito avevano negato l’ammissibilità della modifica per cumulo “pur essendo la stessa diretta conseguenza della comparsa di risposta delle convenute e del Comune di Gioia dei Marsi che ammetteva l’esistenza di un vincolo idrogeologico”, e in ogni caso fondata sulla “medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio” con la domanda originaria.

SOLUZIONE

La Cassazione rigetta il primo motivo confermando la necessità del carattere di “complanarità teleologica” tra la domanda originariamente proposta e quella modificata dall’attore, condivisibilmente non ravvisato nel caso di specie tra la pretesa alla risoluzione del contratto per inadempimento e la successiva domanda di annullamento per vizio della volontà, trattandosi nel primo caso della deduzione di un vizio funzionale del rapporto e, nel primo, di un vizio invece attinente alla genetica del rapporto contrattuale, con conseguente indebito ampliamento del thema decidedum.

QUESTIONE

La vicenda in fatto, sopra sinteticamente ripercorsa, offre al giudice di legittimità una fattispecie quasi paradigmatica in quanto a novità della “seconda” domanda rispetto alla pretesa originaria, e permette così alla Corte di ribadire alcuni punti fermi (affermati in relazione all’art. 183 ratione temporis applicabili, ma con considerazioni estendibili all’attuale art. 171 ter c.p.c. e, in particolare, alla sua prima memoria) riguardo al tradizionalmente incerto confine tra la modifica integrale, come tale inammissibile, della domanda originaria, fino a qualche anno fa più frequentemente battezzata in giurisprudenza in termini di mutatio libelli, e la più tenue precisazione, ossia quella semplice emendatio libelli invece consentita nei limiti di cui alla precedente formulazione dell’art. 183, comma 5 c.p.c.

Si tratta di distinzione da sempre lineare sul piano astratto, ma, appena trasposta sul piano pratico, foriera di dubbi interpretativi e di orientamenti giurisprudenziali oscillanti tra il polo della severità e quello – più consono al principio di economia processuale, ma non sempre esente da compromissioni del diritto alla difesa in capo alla parte che subisce la modifica – che tendeva invece a estendere quanto più possibile l’area operativa della c.d. emendatio.

È noto che tale dicotomia è stata criticata, anche sul piano strettamente lessicale, dalle Sezioni Unite con la sent. n. 12310 del 15 giugno 2015, che pure, tra i due poli sopra delineati, pendeva sensibilmente verso un’interpretazione morbida della nozione di modifica (o, al contrario, a una lettura estensiva della nozione di precisazione) e otteneva tale effetto aprendo le porte alla radicale sostituzione della domanda iniziale laddove, fermo il nucleo dei fatti storici allegati con l’atto introduttivo, l’attore avesse “mostra[to] chiaramente di ritenere la domanda come modificata più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio”.

In quell’occasione, gli attori avevano chiesto l’emissione di una sentenza ex art. 2932 c.c. produttiva dell’effetto traslativo del diritto di proprietà anche in quel caso su un terreno, che affermavano essere stato promesso in vendita dal convenuto; in corso di causa la domanda era stata modificata nel petitum immediato, vòlto re melius perpensa ad una sentenza dichiarativa del già avvenuto trasferimento del diritto (sul rilievo che il negozio, sulla base del quale era stata inizialmente richiesta la pronuncia costituiva, dovesse in realtà qualificarsi come definitivo).

Significativo, in quella decisione, era l’approccio dichiaratamente non formalistico all’interpretazione dell’art. 183 c.p.c., e in particolare l’ancoraggio della “riconosciuta possibilità di modificare domande, eccezioni e conclusioni già formulate” alla “maggiore economia processuale e [alla] migliore giustizia sostanziale” discendenti dalla “concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale”, oltre che alla “stabilità delle decisioni giudiziarie, anche in relazione alla limitazione del rischio di giudicati contrastanti” derivante dalla verosimile (ri)formulazione, in un giudizio ad hoc, della domanda dichiarata inammissibile per tardività nel processo base.

All’effettivo abbandono, da parte della giurisprudenza prevalente, delle obsolete espressioni legate alla mutatio e alla emendatio del libellum non si accompagnava però un concreto affievolirsi delle difficoltà operative connesse all’individuazione delle modifiche in ultima analisi permesse all’attore alla lettura della comparsa di risposta del convenuto, e, come nel caso di specie, del terzo chiamato, come emergente dalla mole di sentenze emesse, sullo specifico punto, anche dopo la pur chiara posizione espressa dalle Sezioni Unite ormai dieci anni fa.

La decisione in esame si inserisce nell’orientamento che dirime la questione inerente all’ammissibilità o meno della domanda nuova sulla base della nozione – di conio dottrinale, a partire dalla definizione di Consolo [per riferimenti, dello stesso Autore e Federica Godio, Le Sezioni Unite di nuovo sulle domande cc.dd. complanari, ammissibili anche se introdotte in via di cumulo (purché non incondizionato) rispetto alla domanda originaria, in Corr. giur., 2019, 267 ss.] e non utilizzata dal citato precedente del 2015) di complanarità teleologica tra la pretesa originaria e quella introdotta in corso di causa, sulla base della canonica premessa che la modifica della domanda è sì permessa, anche laddove mutino entrambi gli elementi oggettivi della domanda (petitum e causa petendi), quando la domanda così modificata risulta “connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, o l’allungamento dei tempi processuali”, con assunto già affermato, oltre alle sentenze citate in motivazione, dalla recentissima Cass., S.U., 15 ottobre 2024, n. 26727, neppure nominata dalla decisione in epigrafe sia pure avente ad oggetto lo specifico tema, distinto da quello qui esaminato, del rapporto tra la domanda proposta in via monitoria e le possibili integrazioni dello stesso ricorrente nella futura veste di convenuto opposto; Cass., 2 agosto 2024, n. 21821; Cass., 8 maggio 2023, n. 12090.

Premessa cui fa seguito, nella motivazione della sentenza in epigrafe, la precisazione che ciò che rende però concretamente ammissibile l’introduzione in giudizio da parte dell’attore di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere “oltre la barriera preclusiva segnata dall’udienza ex art. 183 cod. proc. civ.” (oggi, attualizzando, nella prima memoria ex art. 171 ter c.p.c. e, nel rito semplificato di cognizione, in prima udienza o nella prima memoria ex art. 281 duodecies, comma 4 c.p.c., qualora concessa) è la “teleologica complanarità”, da individuarsi in quattro distinti requisiti, ossia (i) la “attinenza” del diritto “alla medesima vicenda sostanziale già dedotta”, (ii) il “correre” del diritto “tra le stesse parti”, (iii) la tendenza alla realizzazione, almeno parziale, del petitum immediato ossia dell’utilità già avuta di mira con l’originaria domanda, salva l’ovvia differenza tecnica del petitum mediato, e (iv) la conseguente incompatibilità con il diritto per primo azionato.

La griglia dei presupposti per l’ammissibilità della domanda nuova era già stata affermata, con caratteri simili, da Cass., 14 marzo 2022, n. 8127; Cass., 5 gennaio 2022, n. 199, quest’ultima in realtà in riforma di una sentenza d’appello che aveva erroneamente escluso la complanarità (non tra domanda proposta in citazione e domanda modificata nel corso di giudizio di primo grado, come nel caso di specie; ma) tra la “domanda, svolta in primo grado, finalizzata ad ottenere l’adempimento delle pattuizioni contrattuali aventi ad oggetto il trasferimento di un determinato compendio immobiliare” e, in secondo grado, la richiesta di condanna “al pagamento dell’equivalente pecuniario dello stesso compendio”, non sussistendo “dubbio” secondo la Corte sul fatto che “la domanda svolta in appello attenesse alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, corresse tra le stesse parti e tendesse alla realizzazione (almeno in parte) dell’utilità finale già avuta di mira con l’originaria domanda”.

Sul tema, senza pretese di esaustività, si vedano anche i lavori di Cerino Canova, La domanda giudiziale ed il suo contenuto, in Commentario del c.p.c. diretto da Allorio, Torino, 1980, 208; Menchini, I limiti oggettivi del giudicato, Milano, 1987, 242 ss. e, più recentemente, Gamba, Domande senza risposta, Padova, 2008, 19 ss.; Gabrielli, Proponibilità della domanda risarcitoria e restitutoria in corso di giudizio purché congiuntamente con quella di risoluzione del contratto inadempiuto, in Riv. dir. civ., 2012, 597 ss.; Muroni, A margine di due recenti ordinanze interlocutorie della Cassazione in tema di mutatio libelli, in Resp. civ. e prev., 2014, 515 ss.;  Sassani, Di modificazioni della domanda, diritti autodeterminati, litisconsorti necessari e altro ancora nel giudizio arbitrale, in www.judicium.it.

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