31 Gennaio 2023

Sui residui accertamenti permessi al giudice a seguito del rinvio c.d. prosecutorio

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Cass., sez. III, 16 novembre 2022, n. 33735 Pres. Frasca, Rel. Dell’Utri

Procedimento civile – Cassazione – Giudizio di rinvio – Accertamento – Giudice – Prescrizione (C.c., art. 2909; c.p.c. artt. 360, 384, 392)

Massima: “Qualora la Corte di Cassazione, nel cassare con rinvio la sentenza di merito dichiarativa della prescrizione, si limiti a vagliare tale questione (nel senso di escluderla) senza esprimere alcuna valutazione circa l’effettiva sussistenza dei presupposti della situazione giuridica dedotta in giudizio dalla parte, l’accertamento di questi ultimi resta pienamente devoluto al giudice del rinvio”.

CASO

Veniva proposta in primo grado una domanda di condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero della Salute, al risarcimento del danno da tardiva trasposizione di direttiva comunitaria in relazione alla mancata remunerazione dell’attrice ricorrente in ragione dell’avvenuta frequentazione del corso di specializzazione universitaria in materia medica.

La complessa fattispecie sostanziale vedeva infine, con sentenza del 2018, la Corte d’appello di Roma – giudice del rinvio a seguito della Cassazione della sentenza di secondo grado, resa con sent. 21077/2012 che aveva escluso la prescrizione dei diritti azionati dall’originaria attrice – rigettare la domanda, evidenziando come il corso di specializzazione non fosse incluso negli elenchi previsti dalla disciplina comunitaria ai fini della remunerazione dei relativi frequentanti, non avendo la ricorrente fornito la prova del carattere comune di tale scuola di specializzazione a due o più Stati membri (condizione idonea a legittimare in ogni caso la remunerazione).

Ciò che rileva processualmente è che il giudice del rinvio, pur escludendo che fosse maturata la prescrizione, rigettava la domanda di risarcimento del danno da tardiva trasposizione della direttiva n. 82/76/Cee, relativa alla remunerazione dei medici specializzandi, in ragione della mancata inclusione del corso di specializzazione frequentato dalla ricorrente negli elenchi previsti dalla disciplina comunitaria.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’originaria attrice in primo grado, lamentando per la parte che qui interessa l’errore processuale commesso dalla Corte d’appello in sede di rinvio, asseritamente integrante una “nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, dell’art. 2909 c.c., dell’art. 359 c.p.c., nonché dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”, consistito nell’aver indebitamente “esteso la propria cognizione all’accertamento nel merito della sussistenza dei presupposti di fatto del diritto azionato in giudizio […] (con particolare riguardo all’inclusione della scuola di specializzazione dalla stessa frequentata tra quelle dell’elenco comunitario o tra le c.d. specializzazioni analoghe: questione rimasta totalmente incontestata in tutto il corso del giudizio di merito), atteso che l’esame di tale questione doveva ritenersi ormai precluso a seguito della pronuncia di legittimità che aveva negato l’intervenuta prescrizione del diritto […], residuando unicamente la pronuncia sulla determinazione del quantum risarcitorio”.

SOLUZIONE

La Cassazione conferma la sentenza, osservando in motivazione che la sentenza rescindente già pronunciata a suo tempo dalla stessa Corte si era limitata ad affrontare la questione della prescrizione del diritto, risolta dai primi due giudici del merito nel senso dell’effettiva maturazione della prescrizione del diritto vantato dalla ricorrente, e differentemente valutata dalla Cassazione secondo cui, al contrario, il diritto non poteva dirsi prescritto (per ragioni sostanziali qui non rilevanti).

Nessuna valutazione era stata tuttavia offerta, nella sentenza che aveva disposto il rinvio, in ordine alla “effettiva sussistenza (o meno) dei presupposti di fatto e di diritto indispensabili ai fini del riconoscimento di tale diritto”.

Per tale ragione correttamente il giudice del rinvio aveva ritenuto “integralmente aperto lo spazio di intervento per l’accertamento dei ridetti presupposti e, in primo luogo, per l’accertamento delle circostanze relative all’effettiva avvenuta frequentazione”, da parte dell’attrice in primo grado, “di un corso di specializzazione previsto dalle direttive Europee o ad esso equipollente o previsto da due o più Stati membri”, e dunque per la dichiarazione in ordine all’esistenza o meno del diritto vantato.

QUESTIONI

La sentenza in commento, nell’esprimere il principio di diritto sopra evidenziato, conferma la linea di tendenza giurisprudenziale che amplia gli spazi decisionali del giudice del rinvio e, per arrivare a ciò, sul piano interpretativo applica un’esegesi particolarmente restrittiva, e peraltro pienamente conforme al dato letterale, dei limiti nei quali incorre il giudice del rinvio a seguito della decisione con cui la Cassazione opera il c.d. rinvio prosecutorio, ossia quello con cui la Corte, ritenendo di non poter decidere nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2 c.c., demanda “ad altro giudice” il compito di esprimere la (tendenziale) ultima parola sul processo.

La stessa norma, come si è anticipato, nulla dice che si ponga in contrasto con la predetta linea interpretativa che, sostanzialmente, apre al giudice del rinvio la possibilità di un esteso riesame della vicenda: il capoverso dell’art. 384 si limita infatti ad affermare che la Cassazione, a seguito dell’accoglimento del ricorso, si trova davanti all’alternativa tra “decide[re] la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto” e “cassa[re] la sentenza rinviando la causa ad altro giudice, il quale deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte”.

L’unico vincolo per il giudice del rinvio, dunque, consiste nel rispetto del principio di diritto, il ché esclude (di nuovo, solo tendenzialmente) la possibilità di un corto circuito processuale per cui il giudice d’appello decide sulla base dell’interpretazione in diritto “A”, non corrispondente alla giurisprudenza della Corte; il soccombente ricorre per Cassazione, e in quella sede ottiene l’annullamento della sentenza sfavorevole sulla base del consolidato orientamento “B”; e, all’esito del giudizio di rinvio, il giudice dell’appello decide nuovamente sulla base dell’interpretazione “A”.

Fuori da questa ipotesi – che corrisponde ad una patologia del sistema, comunque rimediabile in virtù dalla ricorribilità per cassazione della sentenza che conclude il giudizio di rinvio, anche sulla base della violazione, censurabile con il motivo n. 3 dell’art. 360, dello stesso art. 384, comma 2 c.p.c. – fisiologicamente al giudice del rinvio è attribuito il potere- dovere di esaminare qualsiasi presupposto, in fatto e in diritto, posto dall’originario attore a fondamento della domanda, il cui interesse non sia ovviamente precluso, a monte, dal diverso percorso logico- giuridico adottato dal giudice di legittimità.

E’ significativo che la giurisprudenza riconosca questa libertà di indagine in ogni giudizio civile di rinvio, a partire da quello, processualmente peculiare, originato dalla sentenza della Cassazione penale che, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., “annull[i] solamente”, all’interno della sentenza impugnata, “le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se acco[lga] il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato”, e perciò “rinvi]i] quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello”: si pensi al caso, tra i più ricorrenti nell’applicazione dell’art. 622 c.p.p., in cui la Cassazione penale dichiari la prescrizione del reato già accertato dalla Corte d’appello nel secondo grado del giudizio penale, e, non potendo pronunciarsi sul risarcimento del danno richiesto dalla parte costituitasi parte civile, rinvia per tale decisione al “giudice civile competente per valore in grado di appello”.

La complessa fattispecie origina un giudizio civile di rinvio, che la stessa giurisprudenza non esita a definire “sui generis” (Cass., 30 agosto 2022, n. 25541), in realtà non disciplinato espressamente da alcuna disposizione del codice di procedura civile e ciò comporta l’applicabilità delle norme del giudizio civile di rinvio ex artt. 392 ss. c.p.c., ivi compresa quell’ampia libertà di accertamento che abbiamo visto essere tradizionalmente riconosciuta al giudice del rinvio. Secondo la Cassazione, infatti, quest’ultimo deve verificare “la ricorrenza, sul piano oggettivo e soggettivo, di tutti gli elementi dell’illecito civile”, e ciò anche oltre i confini del reato: “anche ove, in ipotesi, il reato abbia rilevanza solo se doloso (dolo specifico), in sede civile occorre avere riguardo non all’intenzionalità del comportamento dell’asserito responsabile, bensì alla generica dolosità della condotta. Nel giudizio civile di rinvio ex articolo 622 del Cpp si determina, infatti, una piena translatio del giudizio sulla domanda civile, sicché la Corte di appello civile competente per valore, cui la Cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo e oggettivo dell’illecito ex articolo 2043 del Cc, applica i criteri di accertamento della responsabilità civile, i quali non sono sovrapponibili ai più rigorosi canoni di valutazione penalistici, funzionali all’esercizio della potestà punitiva statale, non essendo più in gioco la dimensione penale della condotta, bensì la condotta lesiva di un diritto altrui e le relative forme restitutorie e risarcitorie”.

La medesima libertà è accordata nell’ambito del giudizio di rinvio “tipico”, nel quale l’unico limite per il giudice è riscontrato – oltre, ovviamente, al principio di diritto – nelle “questioni che, anche se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto medesimo dell’enunciazione, formando oggetto di giudicato implicito interno, stante che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della pronuncia in violazione del principio di intangibilità della sentenza” (Cass., 3 marzo 2022, n. 7091; App. Torino, 5 luglio 2022, n. 763).

Alla stessa linea va ascritta la sentenza in esame, che, come si è visto, esclude dalla cristallizzazione del giudicato interno la dichiarazione sull’esistenza del diritto, certo non discendente dall’accertamento, questo sì contenuto nella sentenza di Cassazione che aveva disposto il rinvio, dell’inesistenza dei presupposti per la dichiarazione della prescrizione.

E ancora maggiori sono i poteri del giudice del rinvio quando il rinvio stesso deriva dall’accoglimento del ricorso non per ragioni legate alla constatata violazione ovvero falsa applicazione di legge, come nel caso esaminato nella fattispecie decisa dalla Cassazione con la sentenza in epigrafe, ma da quelli che la giurisprudenza ancora recente, con dizione che richiama in realtà l’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. previgente, chiama “vizi di motivazione”: i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio, infatti, secondo la Cassazione sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni e “nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex articolo 384, comma 1, del Cpc, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi. Nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità” (Cass., 24 febbraio 2022, n. 6097).

L’effetto di “riapertura” connesso alla pronuncia che dispone il rinvio non è d’altra parte sconosciuto all’ordinamento, che al terzo comma dell’art 394 prevede ben due possibili res nova nel giudizio introdotto dalla riassunzione: l’esperimento per la prima volta del giuramento decisorio, e, soprattutto, la formulabilità di “conclusioni diverse da quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata” laddove “la necessità delle nuove conclusioni sorga dalla sentenza di cassazione”. Ed è conosciuto anche alla giurisprudenza, che sulla base della pacifica inapplicabilità dell’art. 346 c.p.c. al giudizio di cassazione in tema di rinuncia implicita alle domande ed eccezioni non accolte nella sentenza impugnata, conclude che “sulle questioni esplicitamente o implicitamente dichiarate assorbite dal giudice di merito, e non riproposte in sede di legittimità all’esito di tale declaratoria, pertanto, non si forma il giudicato implicito, ben potendo le suddette questioni, in caso di accoglimento del ricorso, essere riproposte e decise nell’eventuale giudizio di rinvio” (Cass., 9 maggio 2022, n. 14541).

Una fattispecie ancora diversa – nella quale il giudice del rinvio è effettivamente libero di riesaminare in fatto e in diritto la vicenda ad esso sottoposta ma per particolari ragioni “cronologiche” – è quella esaminata dalla recente sent. Cass., 13 ottobre 2022, n. 30167), per cui l’obbligo di uniformarsi alla regula iuris enunciata dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c. viene meno quando la norma da applicare in aderenza a tale principio sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima successivamente alla pronuncia rescindente, “dovendo, in questo caso, farsi applicazione del diritto sopravvenuto (e, cioè, alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità), che travalica il principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio”.

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