Successione a titolo particolare nel diritto controverso: la legittimazione passiva nell’azione esecutiva per obblighi di facere permane in capo all’originario debitore, salvo intervento dell’avente causa ed estromissione del dante causa
di Cecilia Vantaggiato Scarica in PDFCassazione civile, sez. II, ord. 29/11/2018, n. 30929, Presidente Correnti, Relatore Fortunato
MASSIMA
Il soggetto condannato a un “facere” mediante esecuzione di determinate opere su un immobile ceduto ad altri non perde, in conseguenza del trasferimento del bene, la legittimazione passiva all’azione esecutiva ai sensi degli artt. 2909 c.c., 474 e 475 c.p.c., potendo la successione a titolo particolare avere incidenza nel processo esecutivo soltanto a seguito di una iniziativa del nuovo titolare del diritto, poiché a quest’ultimo è consentito di interloquire sulle modalità dell’esecuzione, ferma restando la validità e l’efficacia del precetto intimato al dante causa.
CASO
Gli attori avevano acquistato dal convenuto taluni fondi agricoli e, contestualmente alla stipula, il convenuto aveva altresì concesso una servitù di passaggio pedonale e carrabile dietro pagamento di un’indennità. Circa sei mesi dopo, il Comune dava atto agli attori della pendenza di una procedura espropriativa, che interessava il fondo servente e conseguentemente anche la servitù. Gli attori, quindi, adivano il Tribunale, chiedendo la condanna del convenuto a ripristinare la servitù di passaggio, conformemente al titolo. Tribunale e Corte d’appello accoglievano la domanda e condannavano il convenuto a ripristinare la servitù. Il convenuto proponeva ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
La Corte di cassazione, pur accogliendo i primi due motivi di ricorso relativi a errores in procedendo, in via sostitutiva di merito riteneva comunque corretto il decisum dei Giudici dei gradi precedenti. La Corte evidenzia che la domanda proposta dagli attori era volta a eliminare gli effetti pregiudizievoli prodotti dall’esproprio di una porzione del fondo servente e a ricostituire l’originaria ampiezza del tracciato asservito secondo le prescrizioni dell’atto costitutivo. La sentenza di primo grado, confermata in appello, aveva disposto il ripristino del diritto con le modalità e il tragitto individuati dal CTU: per dare concreta attuazione a quanto deciso, era irrilevante che il fondo servente fosse stato ceduto in corso di causa.
QUESTIONI
L’art. 111 c.p.c. si applica tutte le volte che il trasferimento in corso di causa per atto “inter vivos” della “res litigiosa” riguardi gli immobili interessati dalle vicende di causa, allorquando gli effetti del provvedimento giurisdizionale siano destinati a prodursi nella sfera giuridica di soggetti diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto e ciò anche riguardo alle posizioni di obbligo connesse alla successione nella titolarità di un diritto reale (cfr., Cass. 10563/2001, nonché, in motivazione, Cass. 3643/2013). Il soggetto condannato ad un “facere” mediante esecuzione di determinate opere su un immobile trasferito ad altri, non perde in conseguenza del trasferimento del bene la legittimazione passiva all’azione esecutiva ai sensi dell’art. 2909 c.c. e artt. 474, 475 c.p.c., potendo la successione a titolo particolare avere incidenza soltanto a seguito di una iniziativa del nuovo titolare del diritto sul bene, essendo consentito a costui di interloquire sulle modalità dell’esecuzione, ferma restando la validità e l’efficacia del precetto intimato al dante causa (Cass. 73/2003; Cass. 11272/1993; Cass. 11583/2005; Cass. 601/2003).
Nel caso in esame occorreva, dunque, stabilire se il soggetto legittimato passivo a dare esecuzione all’anzidetta sentenza fosse l’originario debitore-convenuto-dante causa o l’avente causa.
L’art 2909 c.c. disciplina l’efficacia soggettiva del giudicato, prevedendo che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato faccia stato fra le parti, gli eredi e gli aventi causa. In tale ultima categoria rientrano tutti i soggetti che siano succeduti nel diritto controverso dopo la formazione del giudicato e, comunque, dopo l’inizio del processo, fatti salvi gli effetti del possesso in buona fede di cose mobili e della trascrizione in materia immobiliare o di beni mobili registrati (art. 111, u. c., c.p.c.).
Nel caso di specie, il trasferimento di una parte dell’immobile era avvenuto, per espropriazione per pubblica utilità, nel corso del giudizio, risultando in tal modo applicabile l’art 111 c.p.c.
Tale articolo del codice di rito presuppone una successione a titolo particolare nel diritto che costituisce oggetto del processo, la quale si verifica in forza del trasferimento del diritto per atto fra vivi (con un atto di trasferimento a titolo derivativo, in via volontaria o coattiva) o per causa di morte (mediante legato).
La ratio della disposizione, lungi dal prevedere un divieto di alienazione della res litigiosa, contempera due esigenze opposte: da un lato, la celerità dei traffici commerciali e, dall’altro, la certezza del diritto, del processo e dei provvedimenti giurisdizionali decisorii. Da qui la disciplina dettata dall’art. 111 c.p.c., la quale prevede che il processo prosegua fra le parti originarie: ciò vale in assoluto per l’ipotesi di trasferimento inter vivos, mentre occorre applicare i necessari temperamenti, invece, nel caso di successione mortis causa, per evidenti ragioni d’impossibilità di proseguire il processo da o nei confronti del de cuius, quando rilevi nel processo il fatto interruttivo, nei modi previsti dalla legge (artt. 299 ss. c.p.c.).
Nel caso oggetto del presente contributo, quindi, non solo il convenuto aveva subìto l’espropriazione dell’immobile nel corso del giudizio, sottacendo il trasferimento in questione, ma, una volta intervenuta la sentenza che lo condannava ad un facere, sosteneva che fosse insuscettibile di attuazione, data l’intervenuta alienazione del fondo servente.
Come detto, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., qualora nel corso del giudizio intervenga un trasferimento del diritto controverso, il processo prosegue tra le parti originarie: pertanto, già solo in virtù di tale norma, legittimato passivo permane l’alienante, salvo che non sia stato espressamente estromesso dal giudizio, con il consenso della controparte.
È appena il caso di ricordare che la sentenza intervenuta fra le parti costituisce titolo esecutivo. Secondo il disposto dell’art. 612 c.p.c., dettato per l’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare, il titolo esecutivo consiste in una sentenza di condanna. Il soggetto legittimato a promuovere l’azione esecutiva è chi dalla sentenza sia stato accertato essere titolare del diritto a che altri adempia un obbligo di fare o non fare.
Secondo la Corte, essendo il titolo esecutivo emesso nei confronti dell’originario convenuto, a nulla rileva il trasferimento del diritto: come già detto, ai sensi dell’art 111 c.p.c., la legittimazione passiva all’azione esecutiva resta in capo al soggetto condannato a un facere, potendo la successione a titolo particolare avere incidenza nel processo esecutivo soltanto a seguito di un’iniziativa del nuovo titolare del diritto sul bene, essendo consentito a costui di interloquire (solo) sulle modalità dell’esecuzione. Resta tuttavia ferma la validità e l’efficacia del precetto intimato al dante causa, convenuto nel processo: sicché è soltanto un’iniziativa dell’avente causa a comportare la sostituzione del successore stesso all’originario esecutato nella posizione di legittimato passivo all’esercizio dell’azione esecutiva (v. già Cass., 15 novembre 1993, n. 11272).
Un ruolo attivo dell’avente causa cui sia stato trasferito il bene si potrà avere, dunque, solo nel caso in cui questi subentri effettivamente all’originario esecutato, nella posizione di legittimato passivo all’esercizio dell’azione esecutiva. Nel caso di specie, l’acquirente non ha ritenuto di intervenire volontariamente nel processo. Gli attori, pertanto, correttamente si sono avvalsi di un valido ed efficace titolo esecutivo formatosi nei confronti del convenuto, pur sussistendo eventuali aventi causa di costui che ben avrebbero potuto interloquire sulle modalità dell’esecuzione, intervenendo eventualmente nel procedimento promosso contro il debitore risultante dal titolo.
Non sussiste, invero, alcuna automatica sostituzione del soggetto condannato ad un facere con l’acquirente a titolo particolare cui sia stato trasferito il bene, poiché il primo non perde la legittimazione passiva nell’azione esecutiva, continuando gli atti esecutivi ad essere compiuti nei confronti del debitore esecutato, sebbene alienante il bene sul quale cade l’esecuzione forzata in forma specifica per obblighi di fare.
Pertanto, correttamente la Corte ha ritenuto permanere in capo al debitore-alienante la legittimazione passiva, ferma la possibilità per gli aventi causa di intervenire nel procedimento, per proporre opposizione all’esecuzione o per interloquire sulle modalità della stessa (già Cass. sent. n. 551/1968; n. 610/1981).