Srl a base ristretta e costi indeducibili, nessuna tassazione sui soci
di Redazione Scarica in PDFUna questione, sovente al centro del dibattito, attiene all’operatività della presunzione di distribuzione ai soci del maggior reddito definitivamente accertato in capo alla srl a ristretta compagine sociale.
In virtù di tale presunzione l’Amministrazione finanziaria, in parallelo all’ emissione dell’atto di rettifica dell’imponibile nei confronti della srl, avvia un accertamento complementare nei confronti dei rispettivi soci, imputando a questi l’utile extrabilancio non dichiarato dalla società.
Tale ricostruzione presuntiva, del quale l’accertamento sulla società costituisce antecedente logico, trae spunto dal vincolo di solidarietà e reciproco controllo che lega i soci delle piccole srl partecipate da un numero limitato di soggetti. Il ragionamento induttivo si fonda su una regola empirica secondo la quale, in predette realtà aziendali, si può verosimilmente ritenere che i maggior utili non dichiarati vengano distribuiti a ciascun socio in misura proporzionale alle quote di partecipazione da questi detenute.
L’automatica attribuzione pro quota del maggior reddito rideterminato in capo alla srl, pur non trovando alcun supporto legislativo (a differenza di quanto avviene nelle società di persone e nelle srl che optano per la trasparenza fiscale ex articolo 116 Tuir) costituisce prassi diffusa e ammessa dalla Giurisprudenza che, in più occasioni, ha avuto modo di statuire la legittimità del ribaltamento dell’utile extracontabile (Cass. n. 27778/2017, n. 5925/2015, n. 17984/2012, n. 12576/2012), salva, tuttavia, la facoltà del contribuente di fornire la prova che il maggior utile occultato non sia stato effettivamente distribuito, ora per ragioni legate all’estraneità del socio alla gestione amministrativa della società (cfr. CTR Puglia n. 40/2011, CTR Toscana n. 396/2011), ora per ragioni legate all’assenza di una concreta provvista finanziaria trasferibile alla sfera patrimoniale di quest’ultimo (cfr. Cass. n. 923/2016, n. 19013/2016, n. 20806/2013).
Ed è proprio in relazione alla necessaria presenza di disponibilità finanziarie correlate al maggior reddito societario che la CTP Reggio Emilia, con sentenza n. 22/2018, si è pronunciata fornendo un quadro ancor più chiaro sull’operatività della presunzione in commento.
Nello specifico, il Collegio adito, chiamato a pronunciarsi nell’ambito di un procedimento che vedeva coinvolto un socio di una srl a base familiare il cui reddito era stato rettificato in aumento a motivo di costi indeducibili, ha concluso che l’apodittica distribuzione può trovare applicazione nei soli casi in cui la rettifica dell’utile societario scaturisca da maggiori ricavi imponibili sottratti ad imposizione, “…non, certo dai minori costi deducibili che di per se non creano provvista finanziaria”.
Dunque, soltanto nelle ipotesi, ad esempio, di accertamento di ricavi “in nero” la presunzione semplice assume de plano i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dalle norme di legge (articolo 2427 cod. civ.; articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973), potendo gli elementi positivi di reddito occultati tramutarsi in reddito di capitale rilevante ex articolo 47 Tuir.
A ben vedere, il provvedimento ben si concilia con la posizione assunta dall’AIDC, la quale ha sostenuto che la presunzione possa trovare applicazione “solo e nei limiti in cui il maggior reddito accertato in capo alla società discenda da fattispecie che implicano una comprovata formazione di risorse finanziarie occulte, quindi da ricavi non dichiarati o da costi fittiziamente sostenuti” (Norma di comportamento n. 198 AIDC), circostanze che evidentemente non si verificano laddove la rettifica riguardi, ad esempio, costi effettivamente sostenuti ma ritenuti in tutto o in parte indeducibili.
Appare chiaro che, mentre i maggiori ricavi accertati possono sottendere la formazione surrettizia di mezzi finanziari ripartibili tra i soci, di converso, il maggior utile fiscale derivante dal disconoscimento di costi deducibili comporta un accrescimento del reddito da un punto di vista prettamente tributario (nel senso di accrescere la capacità contributiva della società), non anche finanziario (nel senso di drenare liquidità verso i soci accrescendone il relativo patrimonio).
Si segnala inoltre che la CTP, soffermandosi sui risvolti processuali della fattispecie, ha confermato quanto espresso dalla Corte di Cassazione in merito all’indipendenza dei due giudizi tributari, prevedendo che non si debba far luogo alla sospensione del processo tributario nei confronti del socio in attesa della definitività dell’accertamento incentrato sulla società.
In passato, la sospensione veniva spesso invocata poiché l’approccio dei verificatori poteva risultare criticabile dal punto di vista dell’operatività della presunzione, la stessa infatti non può operare laddove si desuma un fatto ignoto (la distribuzione dell’utile ai soci) da un fatto, parimenti, ignoto (presenza di un reddito non definitivamente accertato). Al riguardo, è ormai pacifico che il fatto noto su cui poggia il procedimento induttivo risiede non tanto nella certezza del maggior utile societario, quanto nel dato di fatto (oggettivamente riscontrabile) connesso alla ristretta base societaria
Articolo tratto da “Euroconferencenews“