Spostamento della centrale idrica condominiale: competenze e maggioranze assembleari
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCondominio – Delibere assembleari – Impugnazione – Spostamento della cisterna della riserva idrica – Esclusione della rinunzia alla servitù esistente a vantaggio delle parti comuni – Estinzione della servitù solo se ne vengono meno i requisiti oggettivi – Rigetto.
“I condomini, seppur titolari di un fondo configurato come dominante nell’ambito di una servitù costituita per la fruizione di un servizio condominiale, possono decidere di modificare il servizio (nella specie, spostando l’ubicazione dell’autoclave, dell’elettropompa e della cisterna della riserva dell’impianto idrico) con le maggioranze richieste dall’art. 1136 c.c., non costituendo oggetto della delibera la rinunzia della servitù, la cui estinzione consegue eventualmente ad essa, piuttosto, quale effetto legale tipico della nuova situazione di fatto venutasi a creare tra i fondi per il venir meno dei requisiti oggettivi che caratterizzano la servitù, salvo che la trasformazione del servizio non richieda l’unanimità per altre ragioni, derivanti dalle regole che disciplinano l’estrinsecazione della volontà condominiale in materia di innovazioni vietate, determinando, in base ad apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, una sensibile menomazione dell’utilità ritraibile dalla parte comune (art. 1120, comma 2, c.c., nella formulazione “ratione temporis” applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla l. n. 220 del 2012).”.
CASO
La vertenza in atti prende avvio mediante l’impugnazione di una delibera assembleare dinanzi al Tribunale di Taranto, da parte di alcuni condomini che si opponevano allo spostamento della centrale idrica condominiale dal locale sottoscala, di proprietà esclusiva del condomino Tizio, al piano di copertura delle scale, invocando la nullità della medesima in quanto contenti una rinuncia implicita di un diritto (servitù)..
Avverso la sentenza del giudice di prime cure, veniva proposto appello da parte dei condomini soccombenti in primo grado, attesa l’impossibilità di inquadrare lo spostamento della centrale idrica quale innovazione vietata, appurato che i beni de quibus non risultavano sottratti all’uso e al godimento dei condomini.
Infatti, la corte d’appello negava la violazione dell’art. 1108 c.c., comma 3, non potendosi ravvisare nel deliberato assembleare una implicita rinuncia alla servitù che il condominio esercitava con l’allocazione della cisterna nel sottoscala di proprietà esclusiva, mancando ad ogni modo un atto scritto in tal senso.
Avverso quest’ultima sentenza i soccombenti condomini insistevano, presentando ricorso per Cassazione con atto affidato a cinque motivi.
SOLUZIONE
La Suprema Corte di Cassazione rigettava il ricorso per i motivi che seguono e condannava in solido i ricorrenti alla refusione delle spese del giudizio di legittimità; inoltre, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dava atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
QUESTIONI
Con la prima doglianza i ricorrenti eccepivano la nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., non avendo i giudici di secondo grado esaminato la domanda di nullità della delibera per aver l’assemblea rinunciato ad una parte comune, quale la servitù sul sottoscala occupata con l’elettropompa, l’autoclave e la cisterna.
Al contempo, i ricorrenti adducevano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. per aver la Corte distrettuale negato la ravvisabilità di una rinuncia scritta o implicita alla servitù.
Parimenti, anche i successivi motivi, in sintesi, attenevano alla parte della sentenza nella quale i giudici di seconde cure rilevavano, come essenziale, un atto scritto ai fini della rinuncia alla servitù, censurando l’omessa motivazione sul punto.
Appurata la possibilità di trattazione congiunta di tutti e cinque i motivi di ricorso, i giudicanti premettevano l’assoluta legittimità della pronuncia impugnata, in virtù del verificato rispetto dell’art. 132 c.p.c., in quanto la Corte distrettuale aveva correttamente individuato le argomentazioni rilevanti per individuare le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.
A ben vedere degli ermellini tutti i motivi di ricorso, accomunati da profili di inammissibilità e dunque infondatezza, venivano basati sull’erronea deduzione che la delibera assembleare de qua configurasse una rinuncia alla servitù vantata dal condominio sulla proprietà esclusiva del succitato condomino Tizio, ovverossia il sottoscala.
Ciò in quanto appare evidente che una deliberazione della compagine condominiale che decida di “spostare l’autoclave, l’elettropompa e la cisterna della riserva idrica dal vano sottoscala dello stesso edificio (…) al piano di copertura della scala” non può mai qualificarsi come “rinunzia alla servitù” esistente a vantaggio delle parti comuni, di per se’ postulante il consenso unanime di tutti i condomini per il disposto dell’art.1108 c.c., comma 3, (applicabile anche al condominio di edifici per il rinvio contenuto nell’art. 1139 c.c. alle norme sulla comunione).
In presenza di una siffatta delibera dell’assemblea, quindi, l’eventuale estinzione della ipotizzata servitù sulla porzione di proprietà non potrebbe derivare da un atto di volontà diretto a tale scopo, bensì andrebbe al più ricondotta al venir meno della utilitas, e cioè della situazione oggettiva essenziale che caratterizza il contenuto della servitù, in forza dell’art. 1074 c.c.
Entro detti limiti, nei fatti, il titolare del fondo dominante (il Condominio) ha semplicemente deciso – esercitando i poteri e le facoltà connesse al diritto dominicale – di modificare la situazione di fatto, da cui potrebbe derivare la mancanza di utilità della servitù[1].
In sintesi, quindi, l’eventuale estinzione della servitù nel caso di specie poteva inquadrarsi quale conseguenza e non già quale oggetto della decisione presa dall’assemblea, in considerazione del venir meno della utilità, o meglio, di tutte quelle circostanze oggettive che caratterizzano ed assurgono a requisiti del contenuto della servitù stessa.
Ferme le osservazioni fin ora riportate, secondo i giudici di diritto le censure alla pronuncia d’appello apparivano prive di rilievo idoneo alla cassazione della stessa e, per l’effetto, dovevano essere rigettate
In conformità con quanto su argomentato, i giudicanti osservavano dunque che rientra nelle competenze dell’assemblea di condominio il potere di disciplinare la gestione dei beni e dei servizi comuni, ai fini della migliore e più razionale utilizzazione di essi da parte dei condomini, anche quando il servizio si svolge con l’uso di determinati beni comuni, ovvero quando la sistemazione più funzionale del servizio, deliberata dall’assemblea, comporti, come conseguenza, la dismissione dell’uso di detti beni ovvero il trasferimento di essi in altro luogo.
Nell’ambito, dunque, della gestione dinamica dei beni condominiali, non vi è ragione di prescrivere una sorta di intangibilità delle condizioni esistenti e di negare l’operatività del principio maggioritario al fine di decidere le modifiche o gli ammodernamenti ritenuti dell’assemblea idonei a rendere più confortevole la fruizione delle unità immobiliari. L’opposizione della minoranza dei condomini o di uno soltanto, se ammessa, quindi, ripristinerebbe quello ius prohibendi che il metodo collegiale ed il principio di maggioranza mirano a superare.
Appurato che la delibera de qua non costituiva approvazione di innovazioni vietate, ne’ comportava l’impedimento al diritto dei condomini di beneficiare del servizio di approvvigionamento dell’acqua, ma si esauriva nella modifica delle modalità di svolgimento di esso, rientrando nella competenza dell’assemblea il potere di deliberare a maggioranza la modifica delle modalità di attuazione, prescindendo dalla sorte della servitù, che, rispetto all’oggetto proprio della delibera adottata con i poteri dell’assemblea, doveva considerarsi un mero effetto pratico, privo di rilevanza giuridica, del deliberato[2].
Enunciando il principio in epigrafe, il Supremo Collegio rigettava il ricorso e condannava in solido i ricorrenti alla refusione delle spese del giudizio di legittimità, apprendo condivisibile e senza censure quanto argomento dalla cassazione nella parte motiva, ossia il principio che una servitù in favore di parti condominiali dell’edificio per destinazione del padre di famiglia a carico di un unità esclusiva – ove il costruttore del fabbricato aveva collocato l’autoclave, l’elettropompa e la cisterna della riserva idrica – può formare oggetto di accertamento meramente incidentale, funzionale alla sola decisione dell’atto collegiale ma privo di efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli.
[1] (cfr. in tal senso su fattispecie assolutamente analoga, Cass. Sez. 2, 22/03/2007, n. 6915).
[2] Cass. Sez. 2, 22/03/2007, n. 6915.