Spese processuali e principio di soccombenza: le deroghe previste dall’art. 92 c.p.c. non sono tassative
di Claudio Bechis Scarica in PDFTrib. Torino, 13 febbraio 2017 – G.U. Mollo
Spese processuali – Compensazione ex art. 92, comma 2, c.p.c. – Rito del lavoro – Interpretazione costituzionalmente orientata – Tassatività delle ipotesi di legge – Esclusione – Soccombenza incolpevole per ragioni di fatto – Analogia iuris – Applicabilità – Potere discrezionale del giudice di compensare le spese – Sussistenza
(Cost. artt. 3, comma 2, 24 commi 1 e 3 e 111, comma 2; C.p.c. artt. 91, comma 1 e 92, comma 2)
[1] Al fine di garantire il rispetto degli artt. 3, co. 2, 24, co. 1 e 3, e 111, co. 2 Cost. nell’ambito del processo del lavoro (spesso caratterizzato da asimmetria informativa ai danni della parte debole), occorre dar corso ad un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 92, co. 2, c.p.c. per cui le ipotesi di compensazione ivi previste in relazione a profili puramente giuridici non sono tassative: pertanto, in virtù di un principio equitativo di carattere generale – fondato sulle citate disposizioni costituzionali – il giudice del lavoro può tuttora compensare discrezionalmente le spese della lite – in via di analogia iuris – nei casi in cui la soccombenza della parte risulti comunque incolpevole alla luce degli imprevedibili risultati dell’accertamento giudiziale, ma sulla base di una valutazione più stringente di quella già fondata sulle “gravi ed eccezionali ragioni” di cui alla previgente formulazione della norma in esame.
CASO
[1] Nella fattispecie, una lavoratrice ha impugnato il proprio trasferimento lavorativo ritenendolo: (i) in via principale, ritorsivo – e dunque nullo ex artt. 1345 e 1418 c.c. – poiché esclusivamente determinato dal suo rifiuto di apporre una clausola di flessibilità dell’orario lavorativo al proprio contratto part time; (ii) in via di subordine, ingiustificato – e quindi in ogni caso illegittimo ex art. 2103, co. 8, c.c. – registrandosi presso la nuova sede di lavoro della ricorrente addirittura un’eccedenza di dipendenti con le sue stesse identiche mansioni di cassiera.
SOLUZIONE
[1] Pur confermando la carenza di organico che all’esito di una procedura collettiva di riduzione del personale aveva reso necessario il trasferimento impugnato, l’istruttoria ha anche chiarito come la conseguente riorganizzazione aziendale avesse da subito dato luogo, nell’arco di alcune mattinate, ad un apparente sovrannumero di cassieri nell’ambito del punto vendita in questione.
Il Giudice ha pertanto ritenuto incolpevole la totale soccombenza della lavoratrice, compensando integralmente le spese del giudizio sulla base del percorso argomentativo sintetizzato in massima, posto che l’appurato equivoco – fattuale – non risultava “coperto” dalle ipotesi – puramente giuridiche – ancora contemplate dall’art. 92, co. 2, c.p.c. in relazione all’assoluta novità della questione trattata e al mutamento della giurisprudenza su profili dirimenti (fermo restando l’ulteriore presupposto alternativo della soccombenza reciproca delle parti).
Ciò, tenuto anche conto dei rilievi con cui la stessa ricorrente, considerando invece tassativa la citata norma, ne aveva sostenuto l’incostituzionalità per violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza nonché del diritto di difesa ex artt. 3, 24 e 111 Cost. (cfr. Scarselli, Il nuovo art. 92, 2° comma, c.p.c., in Foro It., 2015, V, 51 ss; in giurisprudenza, cfr. Trib. Torino, ord., 30 gennaio 2016, in questo Notiziario, 11 aprile 2016, con nota di chi scrive, Compensazione delle spese processuali. Il «nuovo» art. 92 c.p.c. rimesso alla Corte costituzionale e in corso di pubbl. su Foro it., 2017, con nota di Costantino, Sulla dichiarata non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 92, co. 2, c.p.c.; cfr. altresì Trib. Reggio Emilia, ord., 28 febbraio 2017, in corso di pubbl. su Giur. It., 2017, che vede altresì minacciata l’indipendenza del giudice ex artt. 24, 25, 102, 104 e 111 Cost., con l’ulteriore sospetto di discriminazioni patrimoniali vietate dagli artt. 14, Cedu e 21, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
QUESTIONI
[1] L’annotata sentenza propone una permissiva interpretazione dell’art. 92, co. 2, c.p.c., ritenendola costituzionalmente imposta dall’esigenza di non scoraggiare iniziative di tutela funzionali all’esistenza libera e dignitosa dei cittadini (cfr. art. 36 Cost.), visto anche il gap patrimoniale e/o informativo che spesso penalizza il dipendente rispetto al datore di lavoro (al quale Trib. Reggio Emilia, ord., 28 febbraio 2017, cit., accosta il deficit cognitivo normalmente scontato da chi voglia esperire un’azione risarcitoria fondata sulla “responsabilità medica”).
A sostegno della propria tesi, il Tribunale sabaudo ha osservato come la nuova formulazione della norma in esame non utilizzi avverbi restrittivi dai quali si debba necessariamente desumere il carattere tipico delle ipotesi di compensazione ivi ancora contemplate (cfr. Costantino, cit.), preferendo ravvisare al di là delle stesse una lacuna di legge piuttosto che affidarsi all’argomento del legislatore consapevole (ritenuto debole anche da Cass., Sez. un., 13 febbraio 2017, n. 3702, in corso di pubbl. su Giur. it., 2017, in materia di eventi interruttivi ex art. 301, co. 1, c.p.c.).
Tale impostazione mira a far salvo – in favore del solo dipendente? – un potere discrezionale del quale la magistratura ha spesso abusato.
Per quanto opportunamente circoscritto all’ambito lavoristico, tale risultato sembrerebbe porsi in diretto contrasto con l’obiettivo stesso dell’art. 13, D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (conv. con modif. in L. 10 novembre 2014 n. 162), che – con l’inedita chiusura di una fattispecie tradizionalmente disciplinata in modo elastico (cfr. già art. 370, co. 2, c.p.c. 1865) – ha per l’appunto inteso arginare la precedente prassi pretoria nell’ottica di valorizzare ulteriormente l’impatto deflattivo della regola della soccombenza (cfr. relazione illustrativa d.d.l. di conv. D.L. cit., in www.senato.it; cfr. Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Torino, 2016, 431 ss e Verde, Diritto processuale civile, I, Bologna, 2015, 284 s).
E’ pur vero che la statuizione in commento non manca di chiarire come il ripristinato vaglio giudiziale debba intendersi più severo di quello fondato sul previgente art. 92, co. 2, c.p.c. (come modif., già in senso restrittivo, dall’art. 45, co. 11, L. 18 giugno 2009, n. 69), ma la difficoltà di individuare il labile delta tra la vecchia e la nuova formulazione della norma potrebbe finire per riportare in auge le “vecchie abitudini” dei giudici del lavoro.
Forzata appare la concezione del potere discrezionale in discorso quale espressione di un principio generale, costituendo la compensazione delle spese un’eccezione alla regola di cui all’art. 91, co. 1, c.p.c. (cfr. Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano, 2015, 438, Mandrioli, Diritto, cit., 430 s, Montesano-Arieta, Trattato di diritto processuale civile, I, Padova, 2001, 579, Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 307, Bongiorno, voce “Spese giudiziali”, in Enc. Giur., XXX, Roma, 1993 e Lupano, Responsabilità per le spese e condotta delle parti, 2013, Torino, 2013, 95 e segg., nel dare atto della ratio equitativa dell’istituto in analisi).
Né, infine, la delicatezza degli interessi coinvolti rende scontata l’incostituzionalità del presumibile carattere tassativo delle ipotesi di legge, posto che la regolazione delle spese processuali rappresenta un problema meramente accessorio alla decisione del merito della lite, rimesso alla discrezionalità del legislatore ed involgente soli inconvenienti di fatto, come tali, del tutto irrilevanti innanzi alla Consulta (cfr. Corte Cost., ord., 30 luglio 2008 n. 314, Corte Cost. 4 giugno 2014 n. 157 e Corte Cost., ord. 28 novembre 2012 n. 270, nonché Corte Cost., ord., 21 dicembre 2007 n. 446, secondo cui neppure il principio del victus victori è costituzionalmente necessario); tanto più che, venuto meno il c.d. sistema tariffario, la discrezionalità espunta a valle potrebbe comunque ritenersi “compensata” a monte dal potere del giudice di liquidare le spese anche al di sotto dei parametri minimi di cui al D.M. 10 marzo 2014 n. 55 (cfr. artt. 2, co. 1, lett. a), D.L. 4 luglio 2006 n. 223, conv. con modif. in L. 4 agosto 2006 n. 248 e 9 D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, conv. con modif. in L. 24 marzo 2012 n. 27).
Peraltro, una via ermeneutica più agevolmente praticabile ai fini del temperamento dell’attuale rigore normativo si direbbe passare per l’ampliamento della nozione della soccombenza reciproca (cfr. Cass., 14 ottobre 2016, n. 20838, in Mass., 2016 e Cass., 22 febbraio 2016, n. 3438, in Dir. & Giust., 2016, n. 10, 21 ss, con nota di Valerio, L’accoglimento parziale della domanda implica soccombenza (parziale) dell’attore: spese di lite compensate; contra Cass., 21 marzo 1994, n. 2653, in Mass., 1994).