Sostituzione della delibera impugnata ed effetti sul processo: anche in materia condominiale vale l’art. 2377 c.c.
di Davide Turroni Scarica in PDFCass. civ., Sez. II, ord., 6 aprile 2018, n. 8515 – Pres. Mazzacane – Rel. Casadonte
Cessazione della materia del contendere – Condominio – Impugnazione delibera dell’assemblea – Sostituzione con altra delibera – Applicazione analogica dell’art. 2377, 8° comma, c.c. (Cod. civ., artt. 1137, 2377; C.p.c., art. 100)
[1] Nel giudizio di impugnazione contro la delibera dell’assemblea condominiale l’adozione di una nuova delibera dal contenuto incompatibile con quella impugnata determina la cessazione della materia del contendere, in applicazione analogica dell’art. 2377, 8° comma, c.c.
CASO
[1] Nel corso del giudizio promosso per l’annullamento di una delibera, l’assemblea condominiale ne adotta una nuova in sostituzione di quella impugnata – in particolare, l’impugnazione del condomino aveva ad oggetto l’invito a restituire un locale condominiale da lui adibito a biblioteca personale; in seguito l’assemblea condominiale proponeva all’attore un contratto di locazione relativo allo stesso locale. Il Tribunale (in disparte il dubbio sulla portata precettiva della delibera impugnata) dichiara cessata la materia del contendere richiamandosi all’art. 2377, penult. comma, c.c.; condanna l’attore alla rifusione delle spese processuali, ravvisandone la «soccombenza virtuale». Il condomino appella la decisione, sostenendo – fra l’altro – che la seconda delibera non ne avrebbe fatto venir meno l’interesse a impugnare la precedente. La corte d’appello conferma la decisione e il condomino ricorre in cassazione, che enuncia il principio riportato nella massima.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione, in linea col suo precedente indirizzo, conferma l’applicazione alla materia condominiale della regola dettata dall’art. 2377, 8° comma, c.c. per i giudizi di impugnativa contro le delibere assembleari delle società per azioni. Conferma inoltre che il giudici del merito avevano correttamente applicato questa regola, chiarendo che la «sostituzione» ex art. 2377 c.c. ricorre anche quando la delibera successiva ha un contenuto incompatibile con quella impugnata.
QUESTIONI
[1] La decisione, nel confermare l’applicazione analogica alla materia condominiale dell’art. 2377 c.c., dà sostanziale continuità a un consolidato orientamento del quale sono espressione, inter alia, Cass., 11 agosto 2017, n. 20071, Cass., 10 febbraio 2010, n. 2999; Trib. Milano, 19 luglio 2017, in Rep. Leggi d’Italia, 2017; Trib. Ivrea, 7 febbraio 2017, ibid.; Trib. Torino, 17 giugno 2011, in Imm. propr., 2012, 3, 195 ss.; Trib. Torino, 16 maggio 2011, in Corr. merito, 2012, 579 ss., con nota di B. Paparo, La sostituzione della delibera condominiale impugnata determina la cessazione della materia del contendere.
L’art. 2377, 8° comma, c.c. non dà un nome alla causa del rigetto; mentre gli interpreti solitamente la qualificano come «cessazione della materia del contenere». Quest’ultima è peraltro una categoria giuridica che ospita ipotesi molto varie e dalle implicazioni non univoche (sulla quale v. per tutti B. Sassani, voce Cessazione della materia del contendere, I) Diritto processuale civile, in Enc. giur, VI, Roma, 1988; A. Scala, La cessazione della materia del contendere nel processo civile, Torino, 2001).
Comunque, l’art. 2377 c.c. lascia chiaramente intendere che, al verificarsi della situazione prevista dal suo 8° comma, il giudice perde il potere di decidere la causa nel merito. Tale è del resto la communis opinio, secondo cui la sostituzione della delibera impugnata determina il rigetto della domanda senza decisione nel merito, per venir meno dell’interesse ad agire: così ad es. Cass. 20071/2017, cit.; Trib. Milano, 19 luglio 2017, cit.
La tecnica adottata dall’art. 2377 c.c. non è così ovvia come può sembrare, per cui la soluzione di estenderla a casi analoghi – ed in specie alla materia condominiale – assume sicura rilevanza pratica. In astratto, l’adozione di una delibera in sostituzione di quella già impugnata può dar luogo a una varietà di soluzioni articolate su diversi livelli: A) rigetto della domanda in rito, che è la linea scelta dall’art. 2377 c.c. / decisione della domanda nel merito; B) spese processuali compensate tra le parti / spese a carico del convenuto, che è il criterio indicato come «normale» dall’art. 2377 c.c. / spese addebitate secondo la c.d. «soccombenza virtuale»; C) totale insensibilità del giudizio alla nuova delibera (principalmente per prevenire abusi del potere di delibera) / effetto sul processo ma sottoposto a specifici requisiti, che è la scelta seguita dall’art. 2377 c.c.; D) onere di impugnazione autonoma della delibera «sostitutiva» / estensione alla nuova delibera degli effetti della impugnativa.
Quanto al profilo sub A) l’applicazione dell’art. 2377 c.c. alla materia del condominio, come abbiamo visto, è lineare; nel senso che la nuova delibera, sostitutiva di quella impugnata, provoca l’inammissibilità della domanda – o la sua «improcedibilità», per quanto, nel caso in esame, la differenza tra i due titoli di rigetto in rito mi sembra soltanto terminologica – e non l’infondatezza nel merito.
Per l’aspetto sub B), invece, la soluzione adottata nelle cause condominiali devia da quella prevista dall’art. 2377 c.c., perché in materia condominiale la giurisprudenza tende a decidere sulle spese secondo il criterio della soccombenza virtuale; cioè secondo una «prognosi postuma» consistente nel valutare (in via sommaria) quale sarebbe stato l’esito del giudizio se non fosse intervenuta la nuova delibera. Così, di nuovo, Cass. 20071/2017; oltre alla sentenza di merito riportata dalla decisione in commento –non censurata sul punto.
Sub C) e D) in materia condominiale non constano deviazioni dalla linea seguita nell’art. 2377 c.c., che subordina l’effetto sostitutivo al fatto che la nuova delibera sia presa «in conformità della legge e dello statuto» – con l’ovvio richiamo al regolamento condominiale e non allo statuto sociale.
L’invalidità della nuova delibera impedisce la chiusura in rito del processo, che dovrà quindi approdare alla decisione sul merito. Siccome non distingue tra nullità e annullabilità, la disposizione conferma che, seppur annullabile, la seconda delibera non osta all’annullamento della precedente. Questa tecnica pone una serie di problemi, che riguardano soprattutto: i) il tipo di verifica il giudice deve condurre sulla nuova delibera, per stabilire se sia valida e quindi idonea a impedire la decisione sul merito; ii) la sorte delle delibere annullabili non autonomamente impugnate, che è problema correlato al primo.
Il fatto che la delibera valida impedisca la decisione nel merito induce a ritenere che il giudice decida la questione della sua validità in via meramente incidentale, quindi senza attitudine a fare stato in altri giudizi (in tal senso v. Cass., 2008, n. 16017; Trib. Torino, 26 ottobre 2017, in Rep. Leggi d’Italia, 2018 dove ulteriori richiami di giurisprudenza).
Più problematica la questione sub ii) sugli effetti di una seconda delibera, sostitutiva della prima ma annullabile. Se anche il giudice conserva il potere di decidere sull’impugnazione della prima delibera, non per questo l’interessato è sollevato dall’onere di impugnare la seconda. La soluzione preferibile consiste nel distinguere a seconda del vizio rilevato. Se la nuova delibera è riproduttiva della prima, anche nel vizio che la colpisce, allora non sembra esigibile una impugnazione ad hoc e l’eventuale accoglimento della prima dovrebbe estendere i suoi effetti alla seconda delibera (v., per tutte Cass., 30 ottobre 1970, n. 2263, in Foro it., 1971, I, 1999 ss.; e a contrariis Trib. Milano, 27 giugno 2014, ivi, 2014, I, 3315 ss.). Negli altri casi, un’autonoma impugnazione sembra invece necessaria per evitare che la delibera si consolidi frustrando così il vantaggio di un futuro annullamento della prima – ragione che ha indotto Trib. Milano, 13 marzo 2013, in Giur. it., 2013, 10, 2057 e Trib. Milano, 12 marzo 2013, in Società, 2013, 791 ss., con nota di V. Salafia, Sul funzionamento della società a responsabilità limitata, a ritenere che anche in questo caso viene meno l’interesse ad agire e il giudice deve respingere la domanda in rito.
Rimane il problema di stabilire quando una nuova delibera abbia astratta attitudine a sostituire la precedente e la risposta va data secondo la relazione che corre tra le due. «Sostitutiva» è la delibera uguale alla precedente, salvo nelle variazioni dettate dalla volontà di prevenire il vizio già denunciato; ma «sostitutiva» è pure la delibera dal contenuto incompatibile con quello oggetto dell’impugnazione, che è il caso sul quale pronuncia la decisione annotata. Non propriamente tale è viceversa la delibera assunta dopo che l’assemblea abbia formalmente (con apposita delibera) revocato la precedente: v. in tal senso Cass., 12 dicembre 2012, n. 22762, in Rep. Leggi d’Italia, 2012.