Sostenibilità: alcuni spunti di riflessione e un po’ di chiarezza
di Giulia Maria Picchi - Senior partner Marketude Scarica in PDFLe occasioni in cui si parla di sostenibilità si stanno decisamente moltiplicando.
Solo questa settimana sono riuscita a partecipare a due eventi molto interessanti e ricchi di spunti. Nessuno dei due era focalizzato sul settore degli studi professionali ma devo dire -e non mi sorprende- che vedo diverse analogie con il mondo imprenditoriale.
Primo spunto. Le PMI, stando alle descrizioni di chi sta cercando di coinvolgerle per avere informazioni sullo stato del loro orientamento verso la sostenibilità, si stanno progressivamente abituando all’idea di dover rispondere a questionari somministrati da istituzioni finanziarie e fondi o da aziende di più grandi dimensioni -che stanno già rendicontando e hanno bisogno di capire a che punto sono i loro fornitori.
La cosa interessante che è stata sottolineata è che questo esercizio fa comprendere alle PMI quanto siano in effetti già virtuose, evidenziando diversi aspetti che danno per scontati, o a cui non attribuiscono il giusto valore o, ancora che, forse per cultura, hanno qualche ritrosia a comunicare.
Lavorando con gli studi succede esattamente la stessa cosa.
Entrambe le realtà sono ovviamente abituate a raccogliere informazioni, dati e numeri che ne descrivono l’andamento e l’efficienza e che servono non solo a fare il punto ma anche a orientare le scelte di chi è alla guida (almeno sperabilmente).
Ma quando si parla di ESG ci si trova davanti a un set completamente diverso di parametri. Che però sono quelli a cui il mercato è sempre più interessato e sulla base dei quali orienta le proprie scelte di consumo.
E da qui il secondo spunto.
Di questi dati che cosa possono farsene le aziende e gli studi? Che informazioni forniscono? E aggiungo: come i professionisti potranno usarle per assistere le loro imprese clienti e offrire loro una consulenza a vero valore aggiunto? Perché forse bisognerebbe cominciare a dirsi -con una certa onestà intellettuale- che le attività che ora assorbono la gran parte del tempo di avvocati e commercialisti saranno svolte molto a breve da qualche software super evoluto.
“ChatGPT Already Outperforms a lot of Junior Lawyers” Richard Susskind dixit.
E allora se questo è vero e se è vero che ci saranno altri set di dati da esaminare per rivedere i processi interni alle aziende allora è anche vero che si aprono moltissime opportunità di lavoro.
Terzo spunto. La sostenibilità è una materia ostica, costellata di acronimi che certo non aiutano ad avvicinarla con facilità. I due principali che vengono confusi -ammesso di averli nel radar entrambi- sono ESG e SDGs. Ma non è chiara nemmeno la differenza tra sostenibilità e ESG.
Partiamo da ESG: l’acronimo sta per Environmental (ambiente), Social (società/sociale) e Governance, ossia i tre pilastri sulla base dei quali viene rendicontata la sostenibilità. Per essere più precisi ancora ESG sono le tre dimensioni usate per verificare, misurare, controllare e sostenere l’impegno di un’impresa -e anche di uno studio ovviamente- in termini di sostenibilità. A grandi linee, si tratta in sostanza di descrivere che impatto ha l’organizzazione sull’ambiente, in che modo l’organizzazione migliora il proprio impatto sociale in termini di diritti umani, uguaglianza di genere, diversità e inclusione, ecc. e rispetto al suo contesto e, infine, come si comporta sul mercato e come lo stesso CdA (o la partnership) è composto e retribuito.
Nel redigere i report è risultato evidente che i tre parametri servono in particolare a descrivere come l’organizzazione affronta rischi legati a situazioni di crisi ed emergenze. A questo proposito, è bene ricordare che l’obiettivo è quello di far sì che ogni realtà adotti tutti quei comportamenti che le consentono di prosperare nel lungo periodo. Quindi è facile capire perché la prospettiva dei rischi -analizzata secondo le tre direttrici ESG- sia molto rilevante. Particolarmente per gli investitori – ma qui si apre un altro tema su cui (per ora) soprassiedo.
L’acronimo ESG non è una novità: nella sua versione attuale è stato introdotto negli anni 2000, precisamente nel 2004 quando Kofi Annan, allora Segretario generale delle Nazioni Unite, ha invitato le principali istituzioni finanziarie a partecipare a un’iniziativa congiunta volta a sviluppare linee guida e raccomandazioni su come integrare meglio le questioni ambientali, sociali e di corporate governance nella gestione degli asset, nei servizi di intermediazione dei titoli e nelle funzioni di consulenza associate.
Che cosa sono invece gli SDGs? Gli SDGs (acronimo che sta per Sustainable Development Goals) sono i 17 obiettivi -tra loro interconnessi- contenuti nella Agenda 2030, la risoluzione approvata dall’Assemblea generale dell’ONU (193 Stati membri) il 25 settembre 2015.
I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile -a loro volta articolati in 169 punti- mirano ad affrontare un’ampia gamma di questioni relative allo sviluppo economico e sociale, che includono la povertà, la fame, il diritto alla salute e all’istruzione, l’accesso all’acqua e all’energia, il lavoro, la crescita economica inclusiva e sostenibile, il cambiamento climatico e la tutela dell’ambiente, l’urbanizzazione, i modelli di produzione e consumo, l’uguaglianza sociale e di genere, la giustizia e la pace.
Che cosa si intende invece con sostenibilità? Per chiarirlo è indispensabile parlare del Rapporto “Our common future”, meglio conosciuto come Rapporto Brundtland, dal nome della presidente della Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo (World Commission on Environment and Development, WCED,) che lo ha presentato nel 1987.
Il rapporto Brundtland evidenziava come la grande povertà del sud e i modelli di produzione e di consumo non sostenibili del nord impattavano sull’ambiente sottolineando la necessità di attuare una strategia in grado di integrare le esigenze di sviluppo con la necessità di salvaguardare l’ambiente. Questa strategia è stata definita in inglese con il termine «sustainable development» o «sviluppo sostenibile» ossia “quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Credo che già solo con questa definizione si riesca a capire come la sostenibilità sia un concetto ben più ampio degli ESG poichè comprende tutti quei comportamenti che una realtà mette in atto per ridurre il suo impatto e fare in modo che le risorse che utilizza non compromettano la disponibilità di quelle delle future generazioni. La sostenibilità chiede alle organizzazioni di creare nuovi modelli di business, di rivedere i propri processi interni e i propri comportamenti.
E’ un modo -a mio avviso entusiasmante- per fare innovazione, per guardare alla propria realtà con occhi nuovi, per certi versi anche per essere aiutati nella definizione delle strategie.
Ma, come si diceva all’inizio di questo articolo, è anche un modo per cominciare a rendersi conto di quanto già è stato fatto e per valorizzare quelle scelte e quei comportamenti che già sono virtuosi e meritano di essere conosciuti e comunicati, non ultimo per dare l’esempio e dimostrare che la sostenibilità è un cammino che tutti, imprese e studi, possono percorrere.