Sorte dei negozi conclusi nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti in caso di successiva apertura del fallimento
di Carlo Trentini, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sez. I, 19 dicembre 2023, n. 35519, ord. interloc. – Pres. M. Cristiano – Rel. A. Pazzi
Parole chiave: Accordo di ristrutturazione dei debiti – Omologazione – Inadempimento del debitore agli obblighi assunti – Dichiarazione di fallimento – Omessa risoluzione degli accordi negoziali – Insinuazione del credito al passivo
Questione rimessa in pubblica udienza: prospettando il primo motivo di ricorso per cassazione una questione di diritto di particolare importanza, la Corte di Cassazione ha rimesso la causa in pubblica udienza, ex art. 375, comma 1, c.p.c. al fine di verificare le sorti del negozio concluso nell’ambito della procedura ex art. 182-bis l.fall., nel caso in cui, intervenuta l’omologazione, il debitore non ottemperi agli obblighi derivantigli dall’accordo e, a seguire, venga dichiarato il fallimento, senza che, previamente, sia stata pronunziata o quanto meno chiesta la risoluzione dell’accordo, da intendersi nel senso di negozio concluso tra debitore e creditore. La quaestio iuris si pone in relazione alla pretesa, contestata, del creditore, di chiedere l’ammissione al passivo dell’intero suo credito, quale sussistente anteriormente all’accordo concluso ed omologato – e non il solo importo di cui all’accordo, poi omologato.
Posta in altri termini, e per stare alle parole dell’ordinanza in rassegna, la questione può riassumersi in questo: “quali siano le sorti dell’accordo in caso di successivo fallimento (o liquidazione giudiziale)” e “se l’eventuale venir meno del negozio si verifichi automaticamente o soltanto a seguito di previe iniziative del creditore contraente”.
Riferimenti normativi: art. 182-bis l.fall.; artt. 1321, 1322 e 1324 c.c.
Caso e questione posta: essendo stato dichiarato il fallimento di un imprenditore che aveva concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, ma che si era reso inadempiente agli obblighi derivantigli dall’accordo concluso, il creditore, rimasto insoddisfatto, aveva insinuato al passivo l’intero credito originario e non quello, minore, sulla base dell’accordo raggiunto, allegando che quell’accordo doveva ritenersi risolto per inadempimento o per impossibilità sopravvenuta; in senso contrario, il giudice delegato, ritenuto che l’accordo fosse rimasto valido ed efficace, aveva provveduto ad ammettere il credito per il minore importo.
Proposto reclamo al collegio, il Tribunale di Napoli confermava la decisione della verifica sommaria, evidenziando come la natura negoziale dell’accordo concluso rimanesse impregiudicata dall’impossibilità di dare esecuzione al piano sotteso agli accordi, e, non essendo stato previamente risolto il negozio, questo restasse dunque valido ed efficace inter partes.
Il primo motivo di ricorso per cassazione denuncia la violazione degli artt. art. 182-bis, 72 e 52 l.fall., nonché 1322, 1323, 1325, 1326, 1453, 1458 e 1463 c.c. sulla base della considerazione che l’accordo di ristrutturazione costituisce uno strumento per la regolazione della crisi e che, quindi, ove questo risultato si possa conclamare non conseguito né più conseguibile, per effetto dell’apertura della procedura liquidatoria concorsuale, ne discende l’impossibilità di dare esecuzione all’accordo di ristrutturazione e, pertanto, se ne determina il venir meno della causa, da ciò ulteriormente desumendosene la cessazione dell’effetto parzialmente remissivo dell’accordo, divenuto impossibile.
Donde la fissazione della trattazione in pubblica udienza.
Commento:
1) La fase successiva all’omologazione degli accordi
Va premesso che non constano precedenti editi, né di legittimità, né di merito. Ne segue che la disamina della questione non può che prendere le mosse dall’inquadramento generale della condizione giuridica delle parti una volta intervenuta la definitività dell’omologazione degli accordi di ristrutturazione.
Intervenuto il decreto di omologazione, l’imprenditore ritorna ad essere soggetto alla disciplina di diritto comune: i creditori riprendono la più totale libertà d’azione[1], nel senso che gli aderenti possono pretendere l’adempimento degli accordi; gli extranei, l’integrale pagamento.
In caso di mancato adempimento degli accordi, gli aderenti possono chiederne la risoluzione[2]; eventualmente, ove siano state inserite negli accordi (ciò che, è ben possibile e può anzi considerarsi pattuizione non infrequente), potranno essere fatte valere clausole risolutive espresse[3].
Quanto agli estranei, non pare ch’essi possano chiedere la risoluzione degli accordi; essi non sono parti dei contratti; la loro pretesa all’adempimento degli stessi potrebbe ammettersi solo qualificando gli accordi alla stregua di contratti a favore di terzi, ciò che va, in linea di principio, escluso, fatta salva, s’intende, l’ipotesi che negli accordi siano contenute clausole espresse a favore dei terzi non aderenti[4], così come nell’ipotesi di accordi ad efficacia estesa.
2) Quali rimedi per i creditori in caso d’inadempimento del debitore
Quanto ai rimedi apprestati dall’ordinamento, occorre, ad avviso di chi scrive, distinguere. L’affermazione secondo cui i creditori possono, indiscriminatamente, avvalersi degli istituti di diritto comune, pur diffusa[5], non pare accettabile: se è indiscusso che i creditori possano avvalersi dell’azione di risoluzione[6], non paiono ammissibili le azioni generali di nullità e di annullamento[7] (in particolare, per induzione in errore[8]), da far valere secondo le ordinarie regole di diritto sostanziale e processuale (in particolare in tema di competenza[9]), e che sarebbero da esercitarsi mediante giudizi di cognizione ordinaria[10].
In senso contrario, occorre considerare la peculiare natura che gli accordi assumono in forza dell’omologazione, cui il tribunale perviene non soltanto ad esito di una verifica della sussistenza dei presupposti e della regolarità del procedimento, ma anche di uno scrutinio generale di legalità, in particolare per ciò che attiene alla validità dei negozi (va ricordato che la nullità è sempre rilevabile d’ufficio). Intervenuta l’omologazione, gli accordi cessano di essere semplici negozi di diritto privato[11]; il rimedio avverso l’invalidità degli accordi, in presenza di un difetto genetico degli stessi, è costituito dall’opposizione all’omologazione e dal reclamo alla corte d’appello; esauriti – o non impiegati – i rimedi processuali, non ne sono ammessi altri, di diritto sostanziale[12], così come non può considerarsi ammessa la dichiarazione di nullità o l’annullamento del contratto preliminare a fronte del cui inadempimento sia stata chiesta e pronunziata sentenza ex art. 2932 c.c. passata in giudicato.
Nel caso in cui le parti aderenti abbiano convenuto la novazione delle obbligazioni, occorre verificare se l’accordo raggiunto possa considerarsi avere, in concreto, natura di transazione, e se la pattuizione intervenuta abbia (a norma dell’art. 1230 c.c.) “in modo non equivoco” previsto l’estinzione dell’obbligazione originaria. Se tale patto non sia stato stipulato, la risoluzione dell’accordo comporterà la reviviscenza del debito originario[13]. Inoltre, l’art. 1976 c.c. fa divieto di risolvere in tal caso la transazione per inadempimento, salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente pattuito[14].
3) Giudice competente per le azioni successive all’omologazione
Dal punto di vista processuale, trovano applicazione le norme di diritto comune: le controversie nascenti dagli accordi non sono attribuite alla competenza del tribunale fallimentare, ma vanno promosse secondo gli ordinari criteri generali di distribuzione della competenza[15]. Non diversamente, se sorge contestazione circa l’esistenza del credito ovvero il suo ammontare, secondo l’orientamento consolidato in tema di concordato preventivo[16], l’accertamento del credito è demandato ad un ordinario giudizio di cognizione[17].
4) Circa l’ammissibilità dei rimedi in autotutela
È stata posta la questione se i creditori aderenti possano avvalersi dei rimedi individuali di autotutela preventiva previsti dall’ordinamento in caso d’insolvenza del debitore, e segnatamente se possano invocare l’art. 1186 c.c. sulla decadenza dal beneficio del termine e l’art. 1461 c.c., che facoltizza il creditore a sospendere l’esecuzione se l’altra parte del contratto sia divenuta insolvente[18]. Ovviamente, la questione si pone ipotizzando che, successivamente alla conclusione degli accordi, e alla stessa omologazione, sia possibile affermare essere intervenuto, nella fase dell’esecuzione, un peggioramento della situazione, ovvero un aggravamento del dissesto dell’impresa già in crisi, pervenendosi ad una soluzione negativa, sulla base dell’assunto che il creditore aderente, ben consapevole dello stato di crisi in cui versava l’imprenditore (al tempo della stipulazione degli accordi), non potrebbe avvalersi dei mezzi di autotutela, sia perché ciò sarebbe in palese violazione delle regole di comportamento secondo buona fede (artt. 1375 e 1175 c.c.), sia perché la giurisprudenza interpreterebbe le norme in questione limitandone la possibilità d’impiego ai casi in cui il creditore non fosse già consapevole dello stato d’insolvenza in cui versa il debitore, ciò che, per definizione, nel caso di stipulazione di accordi ex art. 182-bis l.fall. (ed, ora, ex art. 57 CCII), non potrebbe certamente affermarsi[19].
Ma tale tesi non può condividersi.
In linea di principio, è fuori discussione che il creditore il quale, ben consapevole dello stato d’insolvenza in cui versi il debitore, stipuli un negozio, quale che ne sia la natura, nell’ambito di accordi di ristrutturazione dei debiti, certamente non può poi invocare lo stato d’insolvenza o la situazione di crisi dell’imprenditore per esigere immediatamente la prestazione ovvero per esimersi dall’eseguire quella cui egli sarebbe tenuto. Ciò non significa, peraltro, che l’eventuale sviluppo negativo della situazione e cioè il mancato venir meno della crisi (al cui superamento gli accordi sono appunto destinati) e, quindi, in ipotesi, il manifestarsi di una situazione incompatibile con il previsto superamento della situazione oggettiva in cui versava il debitore nel momento in cui gli accordi sono stati conclusi e, poi, omologati, non possa legittimare il creditore aderente ad invocare i normali rimedi di diritto comune.
Se è pacifico che il creditore aderente ha diritto all’esecuzione degli accordi e che, in difetto, non possono soccorrergli i rimedi propri del diritto concorsuale, in particolare l’annullamento e la risoluzione (giacché codesti sono rimedi che la legge appresta per l’istituto del concordato, non per gli accordi), ma soltanto i rimedi di diritto comune; e se si considera che gli accordi dovrebbero avere come effetto il superamento della crisi (e l’attestazione, oltre alla veridicità dei dati aziendali e all’integrale pagamento dei non aderenti, deve prevedere, più in generale, che gli accordi possano essere attuati e ne consegua quindi il superamento della crisi) – non si vede perché, se tale effetto, in fatto, non si produce e se l’imprenditore, ad onta della ristrutturazione, e del ripristino delle condizioni di solvibilità ed equilibrio finanziario-patrimoniale cui l’esito del procedimento avrebbe dovuto condurlo, di fatto subisce un aggravamento della sua posizione e permane o ritorna[20] a versare in stato di crisi, il creditore aderente non possa – allora – invocare i mezzi di autotutela individuale che l’ordinamento, mediante le disposizioni di cui agli artt. 1186 e 1461 c.c., gli accorda. Non immuta i termini del ragionamento la considerazione che il creditore aderente agli accordi è di regola un creditore qualificato, che è – o dovrebbe essere – perfettamente in grado di compiere una valutazione preventiva circa la condizione in cui versa il debitore, di talché l’eventuale aggravamento del dissesto non dovrebbe coglierlo impreparato, rappresentando un “evento per così dire fisiologico” rispetto all’iter di superamento della crisi[21]. In realtà, gli accordi sono finalizzati proprio al superamento della crisi; non è affatto fisiologico che, nonostante l’omologazione degli accordi, e in difformità rispetto alle previsioni (contenute nel piano, asseverate dall’attestatore e positivamente vagliate dal tribunale in sede di omologazione), in fase di esecuzione la condizione in cui versa l’imprenditore peggiori rispetto al preventivato e il percorso di ristrutturazione defletta rispetto alle linee tracciate; se questo si verifica, siamo in presenza di un aggravamento della crisi di un debitore che più non dovrebbe versare in tale condizione, e anzi se ne sarebbe dovuto allontanare.
5) Circa la questione posta dall’ordinanza in commento
Dato per pacifico che il creditore insoddisfatto abbia titolo per chiedere la risoluzione dell’accordo stipulato, la quaestio iuris segnalata dalla corte di legittimità è se sia onere del creditore rimasto insoddisfatto, che intenda far valere il credito originario, provocare, prima dell’apertura del concorso, la risoluzione del contratto concluso nell’ambito del procedimento degli accordi.
La tesi per cui l’accordo diverrebbe ineseguibile, essendo venuto meno il contratto per difetto della causa, non sembra fondata: se è vero che la causa è, in questi casi, multipla (il perseguimento della soluzione della crisi e la definizione del rapporto tra il debitore e il singolo creditore), non si vede come possa predicarsi che il mancato raggiungimento della causa generale possa comportare l’invalidità del negozio; che lo scopo non possa perseguirsi perché una parte è inadempiente non comporta l’invalidità dello stesso; così, concluso un contratto di vendita, se il venditore non consegna la cosa all’acquirente, il negozio è inadempiuto, con responsabilità del dante causa, ma non viene meno la causa e il negozio è senz’altro sempre valido e può chiedersene l’esecuzione.
Conclusione: Attendiamo con vivo interesse la soluzione che vorrà dare la Cassazione. A noi pare che la soluzione negativa sia quella preferibile. Se si afferma che questa costituirebbe un caso d’ingiustizia sostanziale nell’accordo, si consideri che, ad escludere tale esito pregiudizievole per il creditore, dovrebbe bastare includere, nelle pattuizioni del negozio stipulato, la clausola che preveda, in caso d’inadempimento, la riviviscenza dell’obbligazione originaria.
[1] Così, è stato osservato, se, in conseguenza di accadimenti imprevisti o addirittura imprevedibili, si dovesse constatare l’inattuabilità del piano, dovranno ritenersi ammissibili azioni cautelari da parte dei creditori estranei (ma anche da parte di aderenti) i quali prospettino conseguenze imminenti ed irreparabili per le loro ragioni in conseguenza e per l’effetto dell’esecuzione del piano: P. Marano, in Il nuovo fallimento, a cura di F. Santangeli, Milano, 2006, 789; cfr. anche S. Ambrosini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, commentario sistematico diretto da A. Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2010, 1137 segg., 1165.
[2] M. Renzulli, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, a cura di A. Caiafa S. Romeo, tomo III, Padova, 2014, 205; G. Racugno, in I presupposti La dichiarazione di fallimento Le soluzioni concordatarie, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, coordinato da G. Capo, F. De Santis e B. Meoli, vol. I, Padova, 2010, 556; G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, VIII ed., Milano, 2011, 787. La risoluzione per inadempimento è azione che compete agli aderenti, che lamentino la mancata esecuzione degli accordi: non è pensabile che possano avvalersene gli estranei, che agli accordi sono indifferenti: S. Ambrosini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, ed. 2010, cit., 1167; L. D’Orazio, Lavori in corso sugli accordi di ristrutturazione dopo il d.l. 31 maggio 2010, n. 78. Dal piano al controllo del tribunale, nota a Trib. Roma 20 maggio 2010, in Giur. merito, 2011, 433.
[3] D. Benincasa, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, in Le procedure concorsuali, in Le procedure concorsuali, a cura di A. Caiafa, tomo II, Padova, 2011, 1419.
[4] E. Capobianco, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione delle crisi d’impresa. Profili strutturali e funzionali e conseguenze dell’inadempimento del debitore, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, 323.
[5] G. Racugno, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm., 2009, I, 667; V. Tripaldi, in Manuale di diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Milano, 2011, 364; M. Galardo, Accordi di ristrutturazione: valutazione del tribunale e inadempimento dell’accordo di ristrutturazione omologato, in Dir. fall., 2011, II, 170.
[6] È possibile ipotizzare la risoluzione degli accordi, con ciò intendendosi la risoluzione di diritto comune dei negozi privatistici conclusi: L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, III ed., Torino, 2008, 342. La risoluzione di tutti gli accordi in tanto potrà considerarsi possibile in quanto l’inadempimento di una delle varie obbligazioni assunte sia rilevante anche per gli altri contratti e per gli altri contraenti, a norma dell’art. 1459 c.c.
[7] E. Frascaroli Santi, Il diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, Padova, 2016, 816 nega che gli accordi possano essere soggetti alle azioni ordinarie di diritto privato, per la loro natura di procedure concorsuali; M. Galardo, Accordi di ristrutturazione: valutazione del tribunale e inadempimento dell’accordo di ristrutturazione omologato, cit., 170, il quale esclude invece la possibilità della rescissione per lesione, anche alla luce della considerazione che negli accordi sarebbe insito un elemento di alea; e, inoltre, perché, presentando gli accordi una causa simile a quella della transazione, dovrebbe potersi applicare, quanto meno analogicamente, la norma dell’art. 1970 c.c. che non ne consente l’impugnazione per causa di lesione.
[8] Cfr. L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, cit., 344, il quale segnala l’ipotesi della possibile collusione tra il debitore e la maggioranza dei creditori, in danno degli estranei, ipotizzando il rimedio della dichiarazione di fallimento ovvero delle responsabilità civili o penali.
[9] D. Romano, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti alla luce del d.l. n. 83 del 2012, in Giust. civ., 2013, 587; S. Ambrosini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, ed. 2010, cit., 1167; V. Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 619.
[10] M. Ferro, Commento all’art. 182bis, in La legge fallimentare: commentario teorico e pratico, in La legge fallimentare: commentario teorico e pratico, a cura di M. Ferro, III ed., Padova, 2014, 2543; V. Zanichelli, I concordati giudiziali, cit., 619.
[11] E. Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale, cit., 175, la quale sostiene che gli accordi, una volta omologati, perdono la natura di ordinari contratti di diritto privato e costituiscano il presupposto di un provvedimento giurisdizionale che può essere rimosso soltanto attraverso le impugnazioni.
[12] La mia opinione è mutata, dunque, rispetto a quanto sostenuto in C. Trentini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2012, 348.
[13] G. Scarselli, in E. Bertacchini L. Gualandi S. Pacchi G. Pacchi e G. Scarselli, Manuale di diritto fallimentare, II ed., Milano, 2011, 547.
[14] M. Galardo, Accordi di ristrutturazione: valutazione del tribunale e inadempimento dell’accordo di ristrutturazione omologato, cit., 171.
[15] In tal senso Cass. 24 settembre 2012, n. 16187 (ord.), in Giust. civ. Mass., 2012, 1139 e in Unijuris.it, pubb. 22.11.2012, decisione assunta a seguito di istanza di regolamento di competenza relativamente ad una controversia avente per oggetto una transazione susseguente ad un accordo di ristrutturazione.
[16] Cass. 27 ottobre 2006, n. 23271, in Giust. Civ. Mass., 2006, 2516; Cass. 14 febbraio 2002, n. 2104, in Fall., 2003, 25, con nota di C. Trentini; Cass. 22 settembre 2000, n. 12545, in Giust. civ. Mass., 2000, 1978; Cass. 14 aprile 1993, n. 4446, in Fall., 1993, 1036 e in Giust. civ., 1993, I, 2061, con nota di G. Lo Cascio; Cass. 24 giugno 1993, n. 7002, in Fall., 1993, 1237; Cass. 2 aprile 1987, n. 3202, in Fall., 1987, 1051; Cass. 12 marzo 1987, n. 2560, in Fall., 1987, 812, (con specifico riguardo alla ridiscussione sul rango del credito); Cass. 4 febbraio 1980, n. 770, in Giust. civ., 1980, I, 2520, con nota di B. Sassani e in Giur. comm., 1981, 262, con nota di P. F. Censoni; Cass. 22 novembre 1976, n. 4383, in Foro it., 1977, I, 1746; Cass. 29 maggio 1976, n. 1939, in Foro it., 1976, I, 2666; Trib. Siracusa 11 novembre 2011 (cron. n. 2758), in Il Caso.it, pubb. 7.12.2011; App. L’Aquila 8 settembre 2011, in Juris Data. Il creditore può conseguire il risultato dell’accertamento anche mediante ricorso al procedimento monitorio: Trib. Bologna 30 marzo 1985, in Informazione previd., 1985, 948; Trib. Ascoli Piceno 5 maggio 1983, in Giur. it., 1985, I, 2, 189; Trib. Milano 27 gennaio 1983, in Giur. it., 1983, I, 2, 807; M. Fabiani, Il concordato preventivo, in Commentario Scialoja Branca Galgano, Bologna, 2014, 453; C. Trentini, Modalità di verifica dei crediti nel concordato preventivo (nota a Cass. 14 febbraio 2002, n. 2104), in Fall., 2003, 29.
[17] Sempre Cass. 24 settembre 2012, n. 16187, cit.
[18] A sollevare la questione è P. Quarticelli, Gestione negoziata della crisi di impresa e autotutela preventiva dei diritti dei creditori nel confronto fra la riforma francese della procédure de conciliation e la nuova disciplina degli accordi ristrutturazione dei debiti, in Banca, borsa e tit. cred., 2011, I, 22.
[19] P. Quarticelli, Gestione negoziata della crisi di impresa e autotutela preventiva dei diritti dei creditori nel confronto fra la riforma francese della procédure de conciliation e la nuova disciplina degli accordi ristrutturazione dei debiti, cit., 26 segg. (passim). Circa la giurisprudenza a favore di tale indirizzo, l’Autrice cita Trib. Milano 17 settembre 1992, in Banca, borsa e tit. cred., 1994, II, 79 (in tema di art. 1186 c.c.) (ma a chi scrive pare che la sentenza affermi proprio il contrario, e cioè che [si legge nella massima] “…il mutamento “in pejus” della garanzia patrimoniale rileva ai fini della decadenza dal termine anche quando il debitore si trovi in difficoltà finanziarie già al sorgere dell’obbligazione…”); in tema di art. 1461 c.c., vengono citati i seguenti precedenti: Cass. 11 marzo 1981, n. 1389, in Giur. it., 1982, I, 1, 378; Cass. 4 agosto 1988, n. 4835, in Giust. civ., 1988, I, 2913; Cass. 22 gennaio 1999, n. 602, in Giust. civ. Mass., 1999, 144; Cass. 24 febbraio 1999, n. 1574, in Giust. civ. Mass., 1999, 392.
[20] “Ritorna” perché, come osservato, gli accordi avrebbero dovuto ricondurlo al superamento della crisi.
[21] P. Quarticelli, Gestione negoziata della crisi di impresa e autotutela preventiva dei diritti dei creditori nel confronto fra la riforma francese della procédure de conciliation e la nuova disciplina degli accordi ristrutturazione dei debiti, cit., 47.
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