Sfratto per morosità – Liquidazione delle spese di lite: il criterio del decisum e del disputatum tra antinomia normativa e integrazione reciproca
di Cecilia Vantaggiato Scarica in PDFCass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 04-04-2019) 19-07-2019, n. 19606 Rel. Iannello – Pres. Frasca
Ai fini della liquidazione delle spese di lite nel giudizio di impugnazione dell’ordinanza provvisoria di rilascio, adottata ex art. 665 c.p.c. a seguito dell’opposizione del conduttore, il valore della causa non è dato dall’ammontare della morosità su cui si fonda l’intimazione di sfratto, ma è costituito dal valore della parte del rapporto controverso tra le parti, ossia dal valore dei canoni scaduti e a scadere per tutta la rimanente durata della locazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che, non essendo stati offerti elementi sufficienti per pervenire a tale determinazione, la causa fosse di valore indeterminato).
Fatti di causa
S.P. promuoveva avanti al Tribunale di Roma un procedimento di convalida di sfratto per morosità in relazione a immobile ad uso abitativo nei confronti di C., nel corso del quale, a seguito di opposizione, veniva emessa ordinanza provvisoria di rilascio, ai sensi dell’art. 665 c.p.c.
L’intimata adiva il giudice di seconde cure, che dichiarava il mezzo di gravame inammissibile. Avverso tale decisione, la ricorrente proponeva ricorso per Cassazione.
Soluzione
La Suprema Corte ha statuito l’inammissibilità del ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali. La censura infatti era stata dedotta e argomentata come se il provvedimento impugnato fosse stato un’ordinanza di convalida di sfratto emessa ai sensi dell’art. 663 c.p.c. e non una mera ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c., emessa sul rilievo che non sussistevano i presupposti per l’emissione di un provvedimento di convalida e che, a seguito di opposizione dell’intimato, occorreva disporre il prosieguo del giudizio nelle forme del procedimento a cognizione piena: ordinanza espressamente dichiarata dalla norma non impugnabile e neppure soggetta ad appello o a ricorso straordinario per cassazione (v. ex aliis Cass. 06 giugno 2014, n. 12846).
Trattandosi di opposizione all’ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c., il valore della causa è stato individuato avuto riguardo al valore di quella parte del rapporto dedotto in lite che è controverso fra le parti, ossia al valore dei canoni scaduti e a scadere per tutta la rimanente durata della locazione. La parte ricorrente è stata altresì condannata ex art. 96, comma 3, c.p.c. per abuso del processo.
Questioni
Oggetto di analisi è la corretta determinazione del valore della controversia ai fini della liquidazione dei compensi, ove nel procedimento per convalida di sfratto per morosità sia stata proposta opposizione e sia stata emanata ordinanza provvisoria di rilascio ex art 665 c.p.c.
La quantificazione delle spese di lite è disciplinata oggi dal D.M 55/2014. Il compenso, infatti, si determina avuto riguardo ai parametri tariffari previsti dal decreto ministeriale, valutate le fasi di effettivo svolgimento, la natura della controversia, la modesta difficoltà dell’affare, la limitata o meno complessità delle questioni giuridiche trattate nonché in base allo scaglione di valore della controversia. L’art 5 c. 1 del D.M., ai fini della determinazione del valore della lite, richiama le norme del codice di procedura civile.
Gli artt. 10 ss. del codice di rito offrono vari criteri per individuare il valore della causa.
Così, l’art 14 c.p.c., con riferimento alle cause relative a somme di danaro, prevede che il valore della controversia debba essere determinato in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall’attore e che costituisce l’oggetto della domanda. Anche l’art 5 D.M. 55/2014 fa proprio il criterio appena indicato, stabilendo che in ogni caso si debba avere riguardo “al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o della legislazione speciale”.
Il criterio offerto dalle norme citate è stato definito come il criterio del disputatum, sulla base del quale, come detto, viene fissata la competenza (cfr. anche Cass., sez. 2^, 27 febbraio 1998, n. 2172).
Per vero, l’oggetto della domanda considerato nel momento iniziale svolge un ruolo diverso nei due casi appena prospettati: mentre, infatti, per l’individuazione del giudice competente per valore esso vale a fissare un parametro oggettivo per individuare in limine litis il giudice naturale, nel caso della determinazione degli onorari d’avvocato esso rappresenta unicamente un riferimento iniziale, affinché si possa determinare un parametro da utilizzare in seguito (cioè al momento della decisione della lite), quando occorra quantificare il rimborso delle spese a carico della parte soccombente. A tale proposito, il citato art. 5 DM 55/2014 precisa ulteriormente che, nel caso di giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, si ha riguardo di norma “alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata“, dimostrando di accogliere, ad integrazione e rettifica del disputatum, il criterio del decisum.
Perciò, il disputatum come identificato nel momento iniziale della lite non è risolutivo ai fini delle spese, dovendosi tener conto anche dell’effettiva decisione (il decisum): il giudice in tal modo provvede a fissare la dimensione reale della lite.
Sul punto la stessa Suprema Corte (SS.UU. 11-09-2007, n. 19014) ha ribadito la compenetrazione fra il criterio del decisum e del disputatum, stabilendo che la regola tariffaria, nel disporre che, nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa sia determinato a norma del codice di procedura civile avendo riguardo, nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata, debba essere interpretato nel senso che, in caso di accoglimento totale della domanda in un grado del giudizio e di impugnazione del convenuto limitatamente ad una parte della somma attribuita, con conseguente passaggio in giudicato della condanna in relazione alla somma non contestata, si debba “rapportare il valore degli ulteriori gradi di giudizio alla sola somma ancora in contestazione, risultando illogico, oltre che iniquo, equiparare, nella determinazione dei diritti e degli onorari a carico del soccombente, la posizione del convenuto che abbia impugnato la condanna all’intera somma a quella di colui che si sia limitato a contestare solo una parte della somma cui sia stato condannato”.
A livello codicistico un’altra norma richiama il criterio del disputatum: l’art 12 c.p.c. con riferimento alle cause relative a rapporti obbligatori, a locazioni e a divisioni prevede che il valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determini in base “a quella parte del rapporto che è in contestazione” (rectius, quindi, in base al quod disputatum).
Nella sentenza in esame è fatta applicazione dei criteri indicati dal codice di rito: la lettura coordinata delle norme fa emergere chiaramente come il principio fondante, sotteso a questa disciplina, è che ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente il valore della controversia vada fissato sulla base del criterio del disputatum (ossia di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nell’atto di impugnazione parziale della sentenza sul punto; cfr. Cass. civ. Sez. III, Sent., 23/11/2017, n. 27871 e Cass. 12/06/2015, n. 12227), a patto che ciò avvenga avuto riguardo al petitum sostanziale oggetto della domanda e non al valore (auto)determinato dall’attore, spesso in modo erroneo.
Tutto ciò in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato all’opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di tariffe per prestazioni giudiziali (sul punto cfr. anche C. cost. n. 36 del 1980 che, con riferimento agli onorari di avvocati, ha affermato che, “ai fini del controllo dell’osservanza dei principi di cui agli artt. 35 e 36 Cost., deve considerarsi l’attività complessiva del professionista”, così ritenendo mutuabile dagli evocati parametri tale canone di adeguatezza e proporzionalità previsto per il lavoro che va tutelato in tutte le sue forme ed applicazioni.