16 Giugno 2020

Il servizio di portierato nel condominio

di Ilaria Ottolina, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 20 maggio 2020 n. 9292

Condominio – terzo creditore del condominio – rapporto di lavoro subordinato di portierato – accertamento differenze retributive e t.f.r. – litisconsorzio necessario dei condòmini – esclusione – legittimazione passiva del condominio in persona dell’amministratore – esclusione – responsabilità dei condòmini – solidarietà – esclusione – carattere parziario dell’obbligazione – sussiste – somministrazione alloggio al portiere – presunta simulazione contratto di comodato – esclusione – indici di subordinazione: vigilanza, custodia, pulizie condominiali – sussiste.

Riferimenti normativi: – art. 1131 c.c. – art. 102 c.p.c. – art. 1117, co. 1, n. 2 c.c – art. 1123 c.c. – art. 1294 c.c. – art. 1295 c.c.

“… I succitati principi, del resto, a maggior ragione valgono in forza di quanto affermato dalla succitata pronuncia delle S.U. n. 9148/2008, secondo cui riguardo alle obbligazioni assunte dall’amministratore, o comunque, nell’interesse del condominio, nei confronti dei terzi – in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile, vincolando l’amministratore i singoli condòmini nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio – la responsabilità dei condòmini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c., per le obbligazioni ereditarie

“… Deve, poi, ad ogni modo rilevarsi la rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti dei convenuti quali partecipanti al c.d. condominio, cioè quali condòmini, dunque passivamente legittimati rispetto alle azionate pretese creditorie, sicché, esclusa altresìl’ipotesi del litisconsorzio necessario, non occorreva formulare la domanda nei riguardi del condominio in persona dell’amministratore pro tempore. La rappresentanza di quest’ultimo, peraltro limitata alle sole cose comuni e alla loro gestione, non esclude comunque quella dei singoli compartecipanti alle pretese che vengono fatte valere appunto contro di loro pro quota … la legittimazione passiva dell’amministratore stesso deve ritenersi eventuale e sussidiaria, giusta disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2, con la conseguenza che il terzo può legittimamente instaurare il contraddittorio nei confronti di tutti i condòmini, anziché dell’amministratore, ovvero chiamare in giudizio, oltre a quest’ultimo, taluni condòmini per l’accertamento dell’unico fatto costitutivo dell’unica obbligazione immediatamente azionabile anche nei loro confronti, atteso che, con riferimento alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune, per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, i singoli condòmini rispondono in proporzione al valore della proprietà di ciascuno”

“… in materia di rapporto di portierato, in favore di un condominio, l’assemblea dei condòmini ha il potere di prestare direttamente il proprio consenso, anche per fatti concludenti, alla conclusione di un contratto. Ne consegue che l’instaurazione del rapporto di lavoro subordinato può essere desunta, oltre che da delibere assembleari, anche dalla esplicazione dell’attività lavorativa, dall’occupazione, da parte del lavoratore, dell’appartamento condominiale assegnato e dall’accettazione della prestazione di lavoro da parte del condominio … la somministrazione dell’alloggio ubicato nell’edificio condominiale, ove non risulti giustificato da un diverso titolo, deve presumersi effettuata in favore del lavoratore che vi dimora al fine di svolgervi il servizio di portierato, che implica l’attività di vigilanza e di custodia, alla prestazione delle quali è finalizzata la suddetta somministrazione …”

“… ai fini dell’individuazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia. Tale principio non vale invece nell’ipotesi inversa in cui, rispetto ad una situazione lavorativa ritenuta priva dei connotati della subordinazione, le parti stipulino un contratto che, invece, riconosca a partire da una certa data la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato … il giudice di merito, cui compete di dare l’esatta qualificazione giuridica del rapporto, deve a tal fine attribuire valore prevalente – rispetto al nomen iuris adoperato in sede di conclusione del contratto – al comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto stesso …”

IL CASO

Il contratto di portierato (con alloggio) nel condominio, oggetto della sentenza in commento, evoca una sorta di “Giano Bifronte”[1], la cui tipica causa lavoristica si associa, con riguardo all’assegnazione dell’alloggio al portiere (ed al suo nucleo familiare), ad una figura del tutto atipica di locazione (che, di fatto, locazione non è, trattandosi piuttosto di un elemento della retribuzione[2]).

Quando poi l’alloggio è di proprietà condominiale[3], come nella fattispecie, gli effetti e gli obblighi derivanti dal contratto di portierato ricadono su ciascun condomino (e non sul condominio in persona dell’amministratore, difettando in capo a quest’ultimo il potere di firma del contratto di lavoro)[4].

La vicenda è la seguente: il ricorrente (in seguito, gli eredi) adiva il Giudice del Lavoro di Reggio Calabria, convenendo in giudizio alcuni condòmini, per ottenere l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro di portierato all’interno di un condominio (con alloggio per sé e per la propria famiglia), con conseguente condanna al pagamento di una serie di differenze retributive.

Sosteneva il ricorrente che la concessione in godimento dell’alloggio, benché formalmente legittimata dal contratto di comodato, andava invero ricondotta al rapporto di portierato, avendo egli espletato, in favore del condominio, servizi di vigilanza, di custodia e di pulizia (quest’ultimo sino al subentro dell’impresa del figlio), con vincoli d’orario, concessione di ferie e permessi e simili.

La domanda, disattesa in primo grado, veniva tuttavia accolta dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, la quale rigettava l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dei condòmini appellati e per l’effetto, accertato il rapporto di subordinazione, condannava i medesimi, pro quota, al pagamento delle differenze retributive siccome quantificate mediante consulenza tecnico-contabile d’ufficio.

I soccombenti interponevano quindi ricorso per Cassazione dinanzi alla sezione lavoro e, sulla scorta di tredici articolati motivi (tra ricorso principale e ricorso incidentale adesivo), eccepivano la legittimazione processuale dell’amministratore di condominio in luogo dei condòmini (parzialmente evocati in giudizio dall’ex portiere-controricorrente), l’assenza di potere organizzativo, direttivo e disciplinare nei confronti del lavoratore, l’assenza di un contratto di portierato scritto ex art. 7 C.C.N.L. 30 giugno 1988 ma, piuttosto, la concessione dell’alloggio con contratto di comodato gratuito, liberalità che veniva contraccambiata dall’occupante mediante amichevoli, autonome e saltuarie attività, a beneficio del condominio.

LA SOLUZIONE

 La sezione lavoro della Corte di Cassazione, previa declaratoria di rituale instaurazione del contraddittorio, in ragione del criterio della parziarietà nelle obbligazioni condominiali verso terzi, esclusa l’ipotesi del litisconsorzio necessario (di tutti i condòmini), esclusa la legittimazione passiva dell’amministratore quale unico soggetto avente facoltà di stare in giudizio in rappresentanza del condominio, rigettava – nel merito – tutti i tredici motivi di ricorso, non ravvisando né errori di fatto (nei limiti dell’”omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti”, di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. e conseguente vizio di “motivazione apparente”, “perplessa”, “incomprensibile”, elaborata dalla giurisprudenza su tale presupposto[5]), né errori di diritto.

Per l’effetto, confermava la sentenza della Corte d’Appello reggina e la natura subordinata del rapporto di lavoro di portierato intercorso tra il portiere e il condominio, sotto le “mentite spoglie” di un comodato contrassegnato dal reciproco scambio di liberalità.

LE QUESTIONI GIURIDICHE

La sentenza in commento, a tratti farraginosa anche in ragione dei numerosi motivi di ricorso, risolve il caso in modo condivisibile, sia pure attraverso la tecnica – poco “accattivante” – del mero richiamo ad una lunga serie di precedenti, su alcuni dei quali ci si vuole soffermare in questa sede. 

In primo luogo, la Cassazione affronta la questione preliminare di rito circa la regolarità della costituzione del contraddittorio, siccome integrato in primo grado dal portiere-ricorrente – si rammenta che costui aveva evocato in giudizio solo alcuni condòmini, che già in primo grado risultava essersi costituito anche il condominio e che, successivamente, altri condòmini si erano costituiti in grado di legittimità, al fine di difendersi rispetto agli effetti sfavorevoli della sentenza d’appello pronunciata pro quota nei confronti degli originari convenuti – e lo fa mediante il richiamo a) al criterio della parziarietà delle obbligazioni assunte dal condominio verso i terzi e b) all’assenza di litisconsorzio necessario dell’intero condominio rispetto a tali obbligazioni, atteso che i singoli condòmini rispondono in proporzione al valore della proprietà di ciascuno.

a) In merito al criterio della parziarietà, la Suprema Corte annotata richiama le Sezioni Unite n. 9148 dell’8 aprile 2008, che notoriamente avevano risolto l’annoso contrasto giurisprudenziale sul punto[6] “… facendo propria la tesi minoritaria del principio di parziarietà, ossia della ripartizione tra i condòmini delle obbligazioni assunte nell’interesse del condominio in proporzione alle rispettive quote. In particolare, la Corte ha sottolineato che l’obbligazione, ancorché comune, è divisibile trattandosi di somma di denaro; la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e l’art. 1123 c.c. non distingue il profilo esterno da quello interno; l’amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote”.

Tuttavia, la Sezione Lavoro in commento pare dimenticare che la Legge di Riforma del condominio n. 220/2012 ha di fatto reintrodotto, con l’art. 63, co. 2., disp. att. c.c., la solidarietà a carico di tutti i condòmini (virtuosi), sempre nei limiti della loro quota, fatto salvo il preventivo tentativo di escussione dei condòmini morosi (in questo senso, l’amministratore “… è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condòmini morosi”, co. 1, art. 63, disp. att. c.c.).

b) Sebbene per i motivi appena anzidetti si ritenga che, allo stato, il principio di parziarietà sia recessivo rispetto ad una sorta di solidarietà temperata dal beneficium excussionis, il principio pare comunque compatibile – e, a maggior ragione, lo è il principio di parziarietà – con l’assenza di litisconsorzio necessario dell’intero condominio rispetto alle obbligazioni verso terzi.

A questo proposito, la sentenza in commento richiama copiosa giurisprudenza, secondo cui “… non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario – e non vi è inscindibilità delle cause sul piano processuale – quando il giudizio ha ad oggetto un’obbligazione solidale, poiché la struttura del rapporto consente ad ogni creditore di esigere – e obbliga ciascun debitore a corrispondere – l’intero”[7].

Ritenuti, quindi, passivamente legittimati a stare in giudizio i singoli condòmini (la cui condanna è pro quota), la Cassazione annotata rigetta l’eccezione relativa alla legittimazione processuale del solo amministratore pro tempore a stare in giudizio in rappresentanza del condominio (esclusa la legittimazione dei singoli condòmini).

Invero, richiamando precedenti conformi[8], la Corte afferma finanche la mera sussidiarietà ed eventualità della legittimazione passiva dell’amministratore, ben potendo stare in giudizio, pro quota, i singoli compartecipanti al condominio,“… con la conseguenza che il terzo può legittimamente instaurare il contraddittorio nei confronti di tutti i condòmini, anziché dell’amministratore, ovvero chiamare in giudizio, oltre a quest’ultimo, taluni condòmini per l’accertamento dell’unico fatto costitutivo dell’unica obbligazione immediatamente azionabile anche nei loro confronti, atteso che, con riferimento alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune, per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, i singoli condòmini rispondono in proporzione al valore della proprietà di ciascuno”[9].

c) Passando al merito della sentenza in commento, la Corte accerta determinati presupposti (indici di subordinazione) e richiama – rigettando i corrispondenti motivi di ricorso – una serie di principi consolidati:

  • in primo luogo, ritenuta l’assenza di errori di fatto decisivi ex 360, co. 1, n. 5, c.p.c. e ritenuta, di conseguenza, l’insindacabilità in sede di legittimità dell’accertamento effettuato dalla Corte di merito, conferma la natura subordinata del rapporto contrattuale de quo (benché formalizzato apparentemente a titolo di comodato, tramite la concessione dell’alloggio, che peraltro nel portierato non può che essere gratuita): viene infatti sancito che la finalità dissimulata della concessione stessa era la “continuativa prestazione di vigilanza e custodia dello stabile [compresi ulteriori servizi, definiti da certa dottrina di “tutela del decoro improprio”, quali il ritiro e la consegna della corrispondenza ai condòmini ma anche il servizio di pulizia] donde la messa a disposizione delle energie lavorative in favore dei vari partecipanti al suddetto condominio, così concretizzandosi pure l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo di parte datoriale(com’è stato autorevolmente chiarito, il portierato “… ha ad oggetto un immobile destinato a casa del portiere, non rivolto a soddisfare un’esigenza abitativa del conduttore ma gli obblighi giuridici nascenti da un rapporto di lavoro, che il condominio ha nei confronti di un proprio dipendente …”, sicché, per esempio, sarebbe illegittima l’apposizione di un canone, in quanto previsione peggiorativa rispetto al C.c.n.l. di categoria [10]);
  • in secondo luogo, ritenuta pure l’assenza di errori di diritto, la Corte richiama il principio secondo il quale il contratto di portierato può ritenersi integrato, come nel caso, anche per fatti concludenti: “… in materia di rapporto di portierato, in favore di un condominio, l’assemblea dei condòmini ha il potere di prestare direttamente il proprio consenso, anche per fatti concludenti, alla conclusione di un contratto. Ne consegue che l’instaurazione del rapporto di lavoro subordinato può essere desunta, oltre che da delibere assembleari, anche dalla esplicazione dell’attività lavorativa, dall’occupazione, da parte del lavoratore, dell’appartamento condominiale assegnato e dall’accettazione della prestazione di lavoro da parte del condominio …”[11];
  • ancora, in generale, in tema di simulazione, la Corte afferma che “… ai fini dell’individuazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia”. Tuttavia – precisa – tale principio non vale invece nell’ipotesi inversa in cui, rispetto ad una situazione lavorativa ritenuta priva dei connotati della subordinazione, le parti stipulino un contratto che, invece, riconosca a partire da una certa data la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato …”[12]: com’è noto, del resto, l’ordinamento tende a favorire la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, di maggior tutela per il lavoratore;
  • infine, la sezione lavoro in commento rammenta anche la funzione del Giudice di merito, “… cui compete di dare l’esatta qualificazione giuridica del rapporto, a tal fine attribuendo “… valore prevalente – rispetto al nomen iuris adoperato in sede di conclusione del contratto – al comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto stesso …” (per esempio, a fini elusivi della disciplina legale inderogabile o in caso di passaggio alla subordinazione per fatti concludenti o, in generale, qualora il nomen iuris sia non congruente rispetto alla situazione di fatto)[13].

[1] Per una curiosa coincidenza etimologica, il Giano della mitologia classica (Ianus) era preposto proprio alle porte, ai passaggi (ianuae), di cui custodiva l’entrata e l’uscita (materiale o simbolica), recando in mano una chiave e un bastone, mentre le due facce vegliavano nelle due direzioni opposte (come si conviene, giustappunto, ai portinai, ianitores).

[2] C.C.N.L. portieri, addetti alle pulizie e altri dipendenti da proprietari di fabbricati.

[3] Si rammenta che l’art. 1117, co. 1, n. 2, c.c. annovera, quali parti comuni con funzione pertinenziale e accessoria, la portineria (incluso l’alloggio del portiere), salvo titolo contrario (acquisto a titolo originario o possesso ad usucapionem). A fronte di tale dato normativo, la giurisprudenza ha elaborato la c.d. presunzione di condominialità (ex multis Cass. civ., sez. II, 09/09/2019 n. 22442; Cass. civ., sez. II, 01/08/2014 n. 17556; Trib. Milano, sez. XIII, 04/01/2019; contra Cass. civ., S.U., 07/07/1993 n. 7449; Cass. civ., sez. II, 05/03/2015 n. 4501; Cass. civ., sez. II, 17/02/2020 n. 3852, secondo cui non si tratta di mera presunzione di condominialità ma di bene condominiale sic et simpliciter).

[4] Per un’esauriente disamina complessiva dell’argomento, si veda la recente opera di LUPPINO S., Le locazioni in condominio, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2020, pagg. 103 e ss.

[5] Cass. civ., sez. II, 13/08/2018 n. 20721; Cass. civ., sez. III, 12/10/2017 n. 23940.

[6] Contra, e quindi a favore della tesi maggioritaria della solidarietà, Cass. civ., sez. II, 31/08/2005 n. 17563; Cass. civ., sez. II, 30/07/2004 n. 14593. Per completezza, sotto altro profilo, si rammenta che le Sezioni Unite n. 9148/2008 avevano anche (sorprendentemente) sottoposto a critica la consolidata qualificazione giuridica del condominio, da parte della giurisprudenza stessa, quale ente di gestione.

[7] Così Cass. civ., sez. III, 27/06/2007 n. 14844; conformi, ex multis, Cass. civ., sez. II, 21/11/2006 n. 24680; Cass. cinse. III, 30/05/2008 n. 14469; Cass. civ., sez. III, 08/03/2019 n. 6727. Sotto altro profilo, a fronte di un’istanza di rimessione in termini da parte di un contro ricorrente-ricorrente incidentale, la Corte in commento esclude altresì il litisconsorzio necessario nei casi di accertamento incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, di un presupposto logico-giuridico necessario ai fini della decisione della domanda principale (così Cass. civ., sez. III, 11/06/2003 n. 9374; Cass. civ., sez. II, 13/02/2008 n. 3474; Cass. civ., sez. III, 03.11.2008 n. 26422).

[8] Cass. civ., sez. II, 19/04/2000 n. 5117.

[9] La decisione in commento è conforme anche a Cass. civ., S.U., 18/04/2019 n. 10934.

[10] LUPPINO S., op. cit., pag. 107.

[11] Cass. civ., sez. lav., 06/03/2014 n. 5297; Cass. civ., sez. Lav., 04/12/1990 n. 11638; Cass. civ., sez. lav., 18/03/1993 n. 3225.

[12] Cass. civ., sez. lav., 19/08/2013 n. 19199; Cass. civ., sez. lav., 23/07/2004 n. 13872; Cass. civ., sez. lav., 04/03/2015 n. 4346.

[13] Cass. civ., sez. lav., 10/04/2000 n. 4533; Cass. civ., sez. lav., 01/06/1998 n. 5370; Cass. civ., sez. lav., 27/07/2009 n. 17455.

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