17 Ottobre 2023

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevale sul fallimento (e sul pignoramento)

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. pen., sez. un., 6 ottobre 2023, n. 40797 – Pres. Sarno – Rel. Scarcella

Dichiarazione di fallimento – Spossessamento del fallito – Sequestro preventivo finalizzato alla confisca – Prevalenza

Massima: “L’avvio della procedura fallimentare non osta all’adozione o alla permanenza, se già disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari”.

CASO

Successivamente alla dichiarazione di fallimento di una società in nome collettivo e dei suoi soci illimitatamente responsabili, a carico di uno di questi – nell’ambito del procedimento penale che lo vedeva indagato per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte – veniva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di partecipazioni sociali e di un immobile a lui intestati.

Il curatore fallimentare, esperita vittoriosamente l’azione revocatoria per la declaratoria di inefficacia degli atti con i quali i medesimi beni erano stati conferiti in un trust, chiedeva al Tribunale di Pescara il loro dissequestro, sostenendo che non potevano considerarsi nella disponibilità del fallito, visto che il loro possesso materiale e giuridico si era trasferito in capo alla curatela in conseguenza e per effetto della dichiarazione di fallimento.

L’istanza veniva respinta, con provvedimento confermato dal Tribunale del riesame di Pescara a seguito dell’impugnazione proposta dalla curatela.

L’ordinanza di rigetto era, quindi, gravata con ricorso per cassazione, la cui trattazione veniva rimessa alle Sezioni Unite, atteso il contrasto di giurisprudenza formatosi sulla questione relativa alla prevalenza o meno del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari rispetto a una precedente dichiarazione di fallimento comportante lo spossessamento del debitore erariale e la confluenza dei beni oggetto della misura cautelare penale nella massa fallimentare.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che la sentenza di fallimento non priva il fallito della titolarità dei beni (che rimangono di sua proprietà fino a quando non siano stati alienati o assegnati nell’ambito della procedura concorsuale), ma solo dell’amministrazione e della disponibilità degli stessi, sicché dev’essere in ogni caso accordata la prevalenza al sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dalla normativa tributaria, attesa, da un lato, la natura obbligatoria della misura ablatoria alla cui salvaguardia è funzionale quella cautelare e considerato, dall’altro lato, l’interesse dell’erario – di matrice eminentemente pubblicistica e giustificante come tale il sacrificio dei diritti di credito vantati da terzi – a recuperare beni che costituiscono il profitto di evasione, impedendone la circolazione e la possibile dispersione.

QUESTIONI

[1] Era atteso da tempo il deposito delle motivazioni della sentenza con cui le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato la prevalenza del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni appartenenti al fallito sottoposto a procedimento penale per reati tributari, anche qualora la dichiarazione di fallimento abbia preceduto l’adozione della misura cautelare reale.

La tematica si inscrive nel dibattito inerente ai rapporti tra sequestri penali e procedure concorsuali (ed esecutive), con particolare riguardo a quelle fattispecie (tra le quali figurano anche le misure di prevenzione relative a reati tributari) non ricadenti – direttamente o per effetto di un rinvio o un richiamo espresso – nell’ambito di applicazione della disciplina dettata dagli artt. 52 e seguenti d.lgs. 152/2011 (cosiddetto Codice antimafia).

Va fin da subito sottolineato che, pur essendo riferito a un caso in cui il sequestro interferiva con una procedura concorsuale, il principio di diritto enunciato con la sentenza annotata, viste le ragioni che hanno condotto alla sua enucleazione, assume rilievo anche con riferimento ai rapporti con l’espropriazione forzata individuale.

Ripercorrendo l’evoluzione giurisprudenziale in materia di rapporti tra sequestro penale e procedura fallimentare, le Sezioni Unite hanno dato atto dell’esistenza di due orientamenti: il primo, secondo cui la misura ablatoria penale è caratterizzata da una prevalenza funzionale, indipendentemente dal fatto che sia stata disposta prima o dopo la dichiarazione di fallimento; il secondo, che, invece, ravvisa nella priorità temporale il criterio risolutore da adottare in caso di coesistenza dei vincoli derivanti, da un lato, dal sequestro preventivo finalizzato alla confisca e, dall’altro lato, dall’attribuzione alla curatela fallimentare del possesso e della disponibilità dei beni appartenenti al fallito.

Nell’affermare, all’esito della disamina operata, il primato sempre e comunque della misura cautelare penale, i giudici di legittimità hanno imperniato il loro ragionamento sul fatto che lo spossessamento che il fallito subisce in relazione ai propri beni, vincolati alla procedura concorsuale a garanzia della soddisfazione dei creditori, non esclude la conservazione, in capo al medesimo fallito, della titolarità degli stessi, che viene meno solo in conseguenza della loro alienazione; allo stesso modo, il trasferimento delle somme già appartenenti al fallito si produce solo con la loro materiale traditio ai creditori aventi diritto, sicché, fino a quel momento, non possono essere considerate come appartenenti a un terzo estraneo alla commissione del reato, restando pur sempre beni del fallito – sebbene attinti dal vincolo di indisponibilità – e, come tali, suscettibili di sequestro preventivo in suo danno.

È venuta, così, a cadere l’obiezione su cui la curatela aveva fondato l’impugnazione del provvedimento che aveva negato il dissequestro dei beni in relazione ai quali era stata vittoriosamente esperita l’azione revocatoria: obiezione che faceva leva sul fatto che, come previsto dall’art. 42, comma 1, l.fall., la dichiarazione di fallimento comporta lo spossessamento del fallito e il venire meno del suo potere di disporre dei propri beni, automaticamente trasferiti alla procedura fallimentare, con subentro ope legis del curatore nella loro amministrazione a partire da tale momento. Secondo questa impostazione, l’autonoma posizione giuridica e il correlativo potere di fatto sulle cose appartenenti al fallito attribuiti dall’ordinamento al curatore ne determinerebbero, di fatto, la fuoriuscita dalla sfera patrimoniale del responsabile del reato, realizzandosi quella condizione di appartenenza dei beni a persona estranea al reato che, a termini dell’art. 12, comma 1-bis, d.lgs. 74/2000, inibisce l’adozione del provvedimento ablatorio della confisca e, così, del vincolo cautelare a essa funzionale.

Le Sezioni Unite, come detto, hanno preso nettamente le distanze da questa ricostruzione e affermato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca – diretta o per equivalente – del profitto di reati tributari, anche se cronologicamente successivo alla sentenza dichiarativa di fallimento, deve prevalere in ragione della natura obbligatoria della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato.

E poiché, come evidenziato in sentenza, lo spossessamento che consegue alla dichiarazione di fallimento è assimilabile, quanto a natura giuridica, a quello che si determina in virtù del pignoramento nell’espropriazione singolare, trattandosi dei medesimi effetti, sebbene quantitativamente più imponenti, non vi è motivo di escludere che la regola affermata sia da reputarsi applicabile anche con riguardo al processo esecutivo.

Pure l’ulteriore elemento addotto per mettere in discussione la prevalenza del sequestro penale, ossia l’ingiustificata compressione delle ragioni dei creditori concorsuali diversi dall’erario, in spregio alla par condicio creditorum, non è stato considerato decisivo dalle Sezioni Unite.

In questo senso, il carattere obbligatorio della confisca tributaria – che, a termini dell’art. 12-bis d.lgs. 74/2000, opera sempre, salvo che si tratti di beni appartenenti a persona estranea al reato – la rende idonea a prevalere su eventuali diritti di credito inerenti al medesimo bene, vista la finalità sanzionatoria perseguita (trattandosi di strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato); un tanto esclude che la dichiarazione di fallimento possa esplicare effetti preclusivi rispetto all’operatività della cautela reale preventiva, non essendo irragionevole che le posizioni dei creditori non erariali siano configurate come recessive, tenuto conto dei principi e dei valori di matrice pubblicistica perseguiti dalla confisca tributaria.

In quest’ottica, il sacrificio dei creditori privati si giustifica in considerazione dell’interesse al recupero di quanto evaso e della necessità di evitare la circolazione di beni provenienti da evasione: finalità che non possono essere vanificate da concorrenti diritti di credito vantati da terzi, travalicando la dimensione privatistica.

Da ultimo, va rilevato come, pur essendone stata predicata l’inapplicabilità al caso di specie, visto che si trattava di una procedura concorsuale avviata prima della sua entrata in vigore, sia stata considerata la disposizione dettata dall’art. 317 d.lgs. 14/2019, che funge ora da disciplina di carattere generale per la regolamentazione dei rapporti tra sequestro preventivo finalizzato alla confisca e procedure concorsuali (nonché, sempre per identità di natura e scopo, espropriazioni forzate individuali, perlomeno secondo l’orientamento che si sta progressivamente affermando).

Quantunque non sia scontato inferire dalla norma di nuovo conio criteri interpretativi utilizzabili con riguardo a fattispecie a essa precedenti, l’opzione legislativa per l’inequivocabile prevalenza della misura cautelare penale corrobora e conforta la soluzione prescelta dalle Sezioni Unite.

Nell’assetto attuale, infatti, i rapporti tra procedura concorsuale (ovvero esecutiva) e confisca sono scanditi da una serie di regole chiare e precise dettate dal Codice antimafia, che la sentenza annotata enuncia in modo altrettanto puntuale:

  • qualora il sequestro funzionale alla confisca preceda la liquidazione giudiziale, i beni attinti dal vincolo penale restano esclusi dalla massa attiva concorsuale (art. 63, comma 4);
  • qualora, invece, sia l’apertura della liquidazione giudiziale a precedere il sequestro, i beni che ne sono oggetto vanno separati dalla massa attiva liquidabile e consegnati all’amministratore giudiziario (art. 64, comma 1);
  • ove il patrimonio della liquidazione giudiziale racchiuda esclusivamente beni già in precedenza sequestrati ai fini della successiva confisca, il tribunale dell’insolvenza sancirà la chiusura della procedura concorsuale (art. 63, comma 6);
  • allo stesso modo, se, una volta aperta la liquidazione giudiziale, sequestro o confisca ne intercettino l’intera massa, il tribunale dichiarerà chiusa la procedura concorsuale (art. 64, comma 7);
  • nel caso in cui la misura penale antecedente alla liquidazione giudiziale venga revocata, il curatore apprenderà i beni che ne sono stati oggetto, subentrando all’amministratore giudiziario nei rapporti processuali, con conseguente riapertura della procedura concorsuale, quand’anche siano trascorsi cinque anni dalla chiusura (art. 63, comma 7);
  • parimenti, se la misura penale adottata dopo l’apertura della liquidazione giudiziale venga revocata prima della chiusura di quest’ultima, i beni vincolati saranno ex novo inglobati nella massa attiva della procedura concorsuale e l’amministratore giudiziario li consegnerà al curatore (art. 64, comma 10).

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