12 Settembre 2017

Il sequestro ai sensi del Codice antimafia su tutto il patrimonio della società non impedisce la dichiarazione di fallimento

di Alexandra Aliotta Scarica in PDF

Cass. civ., sez. I, 12 gennaio 2017, n. 608, Pres. Nappi; Est. Ferro; PM. Russo

[1] Procedure concorsuali – Misure di prevenzione patrimoniali – Dichiarazione di fallimento – Ammissibilità.

(r.d. 16 marzo 1942 n.267, disciplina del fallimento, art. 5, 6, 16, 18, 118, 119; d.leg. 6 settembre 2011, n. 159, Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, art. 20, 63).

 

[2] Procedure concorsuali – Fallimento – Mancanza di attivo – Dichiarazione di fallimento – Ammissibilità.

(r.d. 16 marzo 1942 n.267, disciplina del fallimento, art. 5, 6, 16, 18, 118, 119,121; d.leg. 6 settembre 2011, n. 159, Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, art. 20, 63).

[1] Non sussiste alcuna incompatibilità fra procedura fallimentare e sequestro per misure di prevenzione dei beni della società fallita ai sensi del d.leg. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione).

[2] L’insussistenza di massa attiva da ripartire fra i creditori non è di ostacolo alla dichiarazione del fallimento anche quando tutti i beni della società fallita sono sottoposti a misura di prevenzione a carattere patrimoniale

 CASO

[1] [2] Su istanza di un creditore, il Tribunale di Bari ha dichiarato il fallimento di una società i cui beni erano stati sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento di misure di prevenzione.

La società fallita ha proposto reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento innanzi alla Corte di appello di Bari deducendo diversi profili di nullità della pronuncia per vizi del procedimento e anche la sua incompatibilità con il concomitante sequestro dei beni per misure di prevenzione, ai sensi dell’art. 20 d.leg. 6 settembre 2011, n. 159, Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.

La Corte di Appello, ritenendo fondata la dedotta confliggenza fra la dichiarazione di fallimento e la sussistenza di una misura di prevenzione patrimoniale sui beni della fallita, ha accolto il reclamo.

Avverso la sentenza della Corte di appello, il creditore istante e la Curatela della società fallita hanno proposto ricorso per cassazione sollevando diversi motivi.

SOLUZIONE

[1] [2] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ha cassato la sentenza impugnata ed ha rinviato ad altra sezione della Corte di appello di Bari per una nuova pronuncia sul merito della dichiarazione di fallimento sulla base del seguente principio di diritto: l’insussistenza di massa attiva di ripartire non è di ostacolo alla dichiarazione di fallimento e pertanto non vi è alcuna incompatibilità fra il procedimento di sequestro di tutti i beni di una società (in applicazione di una misura di prevenzione) e il fallimento della stessa.

In motivazione la Suprema Corte ha confermato quanto statuito da una precedente pronuncia sullo stesso tema (Cass. 28 gennaio 2014, n.1739) e ha chiarito che, in presenza dei presupposti di sui all’art. 5 l. fall., può farsi luogo alla dichiarazione di fallimento anche quando la totalità dei beni del fallito è assoggettata a misura di prevenzione, con conseguente sottrazione alla massa attiva fallimentare.

Secondo la Suprema Corte, l’insussistenza di patrimonio da ripartire fra i creditori non è di ostacolo alla dichiarazione di fallimento, del quale infatti è prevista la chiusura nell’ipotesi di mancanza di attivo.

Allo stesso modo, precisa la Corte, il Codice delle leggi antimafia non esclude, ed anzi espressamente ammette, che la società, i cui beni siano stati sottoposti a sequestro, possa essere dichiarata fallita.

I diversi commi dell’art. 63 del codice delle leggi antimafia danno per presupposta la coesistenza fra le due procedure e si limitano a regolare l’incidenza della misura di prevenzione sugli esiti della procedura fallimentare, dopo che la stessa è stata regolarmente aperta.

Sulla base delle superiori considerazioni, la Suprema Corte ha affermato la compatibilità tra la misura di prevenzione e la procedura fallimentare e ha cassato la sentenza della Corte di Appello che aveva invece erroneamente ritenuto che la procedura concorsuale non potrebbe essere aperta in caso di sequestro totalitario e dunque di impossibilità di distribuire alcunchè ai creditori concorsuali.

 QUESTIONI

[1] [2] Con la pronuncia in epigrafe la Corte di Cassazione ha affrontato la questione del rapporto fra la dichiarazione di fallimento e l’esistenza di una misura di prevenzione a carattere reale che colpisce tutti i beni del fallendo, affermando la piena compatibilità fra i due procedimenti alla luce della normativa applicabile ovvero della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n.267), e del Codice delle leggi antimafia (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159).

La decisione della Suprema Corte si fonda sull’interpretazione sistematica delle norme applicabili in materia fallimentare e di misure di prevenzione e in particolare l’art. 118 l. fall e l’art. 63 del Codice delle leggi antimafia).

Il richiamo alla disciplina del sequestro, contenuta nel Codice delle leggi antimafia, è esaustivo e sgombera il campo da ogni residuo dubbio sulla legittimità della dichiarazione di fallimento di una società, in stato di insolvenza, i cui beni siano sottoposti a misura di prevenzione.

L’art. 63, che è proprio rubricato “Dichiarazione di fallimento successiva al sequestro”, al primo comma prevede espressamente che “venga dichiarato il fallimento dell’imprenditore i cui beni aziendali siano sottoposti a sequestro o a confisca”; nel successivo comma quarto si legge “Quando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare”.

Ancora l’art. 63 al sesto comma dispone che “Se nella massa attiva del fallimento sono ricompresi esclusivamente beni già sottoposti a sequestro, il tribunale, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara chiuso il fallimento”, e non dispone la revoca del fallimento che, quindi, è stato legittimamente dichiarato.

Infine la stessa norma, al settimo comma, conferma la possibile coesistenza fra le due procedure disciplinando il caso in cui vi sia la revoca del sequestro o della confisca, il curatore con effetti diversi a seconda del momento in cui interviene: se la procedura fallimentare è ancora in corso, il Curatore procede all’apprensione dei beni ai sensi del capo IV del titolo II della legge fallimentare; se la revoca interviene dopo la chiusura del fallimento, il Tribunale provvede ai sensi dell’articolo 121 l.fall alla riapertura del fallimento.

Allo stesso modo l’art. 118 l. fall. contempla fra le ipotesi di chiusura del fallimento quella della insussistenza di attivo fallimentare da ripartire.

Il dato testuale che è emerge dalle norme richiamate conduce a ritenere che la sottoposizione dei beni di una società al vincolo della misura di prevenzione è irrilevante ai fini della dichiarazione del fallimento di una società in presenza dei presupposti di legge.

Peraltro, l’insussistenza di massa attiva è verificabile solo ex post dagli organi del fallimento e non può assurgere ad un requisito valutabile in sede prefallimentare ai fini della dichiarazione di fallimento (che peraltro prevede una delibazione sommaria sulla sussistenza dello stato di insolvenza e non sarebbe compatibile con la complicata ricerca di tutti i beni da attrarre alla massa fallimentare).

Ora, non vi è dubbio che il rapporto fra le due procedure, così come delineato dalla norme citate, è nel senso di una prevalenza della procedura antimafia sulla procedura concorsuale, ma non vi è dubbio pure che tale rapporto presuppone e non esclude la coesistenza fra le due procedure.

Correttamente quindi la pronuncia in commento ha cassato la sentenza della Corte di merito fondata sulla confliggenza fra la procedura concorsuale e la misura di prevenzione, almeno nei casi in cui quest’ultima colpisce tutti beni.

La pronuncia della Suprema Corte consente anche una riflessione sulla differenza fra revoca e chiusura del fallimento per mancanza di attivo.

La revoca e la chiusura del fallimento, ancorchè fondate su presupposti diversi (la prima sulla insussistenza dei presupposti del fallimento, l’altra sulla mancanza di attivo fallimentare) hanno lo stesso effetto immediato sui creditori del fallito che non potranno partecipare alla ripartizione dell’attivo nell’ambito del procedura concorsuale.

Tuttavia non va trascurato che in caso di chiusura del fallimento resta salva la possibilità della riapertura ai sensi dell’art 121, comma primo, l. fall. che contempla proprio il caso in cui entro cinque anni dal decreto di chiusura del fallimento “risulta che nel patrimonio del fallito esistano attività”.

Ora, l’insorgenza di attivo fallimentare è una ipotesi tutt’altro che astratta nel caso di sottrazione di beni al fallimento per il vincolo derivante dal sequestro ai sensi del codice delle leggi antimafia.

Come è noto, infatti, il sequestro previsto dall’art 20 della legislazione antimafia è una misura a carattere cautelare e non sottrae definitivamente all’imprenditore i beni colpiti.

Sotto questo profilo la Suprema Corte ha anche sottolineato che la chiusura di un fallimento “dichiarato” ne rende agevole la riapertura nel caso in cui si ottenga la revoca del sequestro (cosa che peraltro risulta essersi avvenuta nel caso di specie) o nel caso in cui sopraggiunga un attivo fallimentare a seguito delle azioni intraprese dal Curatore (azioni revocatorie, azioni di responsabilità etc.).

Questa soluzione, che è imposta dal combinato disposto dalle norme applicabili ratione materia, ha anche il pregio di sottolineare la priorità accordata alla tutela dei creditori che possono sperare nella riapertura del fallimento e di aggredire il patrimonio del fallito nel caso di revoca della misura di prevenzione non ancora definitiva.

La revoca del fallimento in caso di insussistenza di beni da assoggettare alla procedura fallimentare, così come ancor prima il rigetto dell’istanza di fallimento, comporterebbe l’onere per i creditori di avviare una nuova procedura prefallimentare e di una nuova delibazione sui presupposti del fallimento, con conseguente allungamento dei tempi per ottenere il soddisfacimento dei propri crediti attraverso la procedura concorsuale.

Sulla compatibilità fra la procedura fallimentare e il procedimento per misure di prevenzione si veda Corte di Appello Napoli, sez. I, 25.1.2016, n.7.

Per completezza sull’argomento si veda pure Ziino, Conflitti tra azioni esecutive civili e sequestri disposti dal giudice penale, su Eclegal, 2 novembre 2016; Ziino, Obbligazioni contratte dall’amministratore giudiziario nel procedimento per misure di prevenzione: quale tutela per i creditori?, su Eclegal, 27 settembre 2016.