1 Agosto 2017

Secondo la Corte di Cassazione gli atti processuali del giudizio di legittimità non possono essere firmati digitalmente

di Andrea Ricuperati Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. VI, ord., 23.3.2017, n. 7443 – Pres. Amendola – Rel. Vincenti

[1-2] Giudizio di cassazione – ricorso e controricorso – mancanza della firma autografa del difensore – sottoscrizione per autentica della procura speciale – conseguenze (C.p.c., artt. 83, 365, 370 – D.L. 18.10.2012, n. 179 [conv. dalla L. 17.12.2012, n. 221], art. 16-bis)

[3] Notificazioni in materia civile – a mezzo posta elettronica certificata – luogo – elemento costitutivo essenziale – esclusione – indirizzo PEC diverso da quello indicato come domicilio digitale – nullità sanabile – sussistenza (l. 21.1.1994, n. 53, art. 3-bis – C.p.c., artt. 156, 160, 291 e 366 – d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 [conv. dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221], art. 16-sexies)

 MASSIME

[1] Nel giudizio di cassazione il ricorso e l’eventuale controricorso (con o senza ricorso incidentale) debbono essere muniti di sottoscrizione autografa e non digitale.

[2] L’assenza di firma manoscritta del difensore sul ricorso o controricorso dinanzi alla Corte di Cassazione non vizia l’atto, qualora ad esso sia allegata la procura speciale munita di sottoscrizione autografa per autentica di quella della parte.

[3] Poiché il luogo della notificazione in materia civile non rientra fra gli elementi costitutivi essenziali del relativo procedimento, i vizi di individuazione di detto luogo – ivi compresa la trasmissione dell’atto ad un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato dalla controparte per le comunicazioni e notifiche nel giudizio di legittimità – sono fonte di mera nullità, come tale sanabile con efficacia retroattiva.

CASO

[1-2-3] La società Alfa proponeva nel 2016 ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia dichiarativa dell’inammissibilità dell’impugnazione da essa interposta contro un provvedimento del Tribunale Ordinario di Verona.

La società Beta resisteva al gravame e a propria volta proponeva ricorso incidentale, notificando il relativo atto mediante invio all’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) di uno dei difensori della ricorrente principale.

Alfa eccepiva l’inammissibilità del controricorso/ricorso incidentale avversario sotto due distinti profili: (a) perché risultava privo di firma manoscritta del difensore di Beta; (b) perché era stato notificato all’indirizzo PEC diverso da quello (dell’altro difensore della parte) che figurava nell’epigrafe del ricorso principale quale destinatario delle comunicazioni e notificazioni;

SOLUZIONI

[1-2] La Corte di Cassazione ha respinto la prima eccezione, osservando che:

  • nel giudizio dinanzi al Supremo Collegio non operano tuttora le disposizioni dei commi da 1 a 4 dell’art. 16-bis del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito in legge dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221), in materia di deposito telematico degli atti processuali;
  • rimane dunque intatto – in virtù degli artt. 365 e 370 c.p.c. – l’obbligo di firmare in modo autografo (= manoscritto) e non digitale il ricorso ed il controricorso, nonché di depositare in Cancelleria l’originale cartaceo dei medesimi;
  • nella fattispecie, peraltro, la presenza – all’interno della procura speciale – della firma autografa apposta per autentica della delega ad litem vale anche ad attribuire al procuratore la paternità del ricorso/controricorso, impedendone l’inammissibilità per tale motivo.

[3] Il Supremo Collegio ha rigettato anche la seconda obiezione, argomentando che:

  • la discrepanza tra l’indirizzo PEC di recapito dell’atto e quello indicato dal destinatario per le comunicazioni/notifiche attiene al luogo della notificazione, il quale non rientra nel novero degli elementi costitutivi essenziali dell’iter notificatorio: sicché la relativa difformità determina la mera nullità dell’atto, come tale suscettibile di sanatoria ex tunc per effetto della costituzione della parte destinataria della notifica o della rinnovazione (spontanea od ordinata) della notifica;
  • nella vicenda in esame, il vizio de quo risulta sanato in quanto la ricorrente principale ha preso posizione sul merito delle deduzioni e dell’impugnativa incidentale dell’avversaria.

QUESTIONI

[1-2] L’ordinanza in commento appare affetta da un triplice grave errore:

  • intanto, essa ha dimenticato che l’art. 16-bis del più volte menzionato d.l. n. 179/2012 concerne il (solo) deposito degli atti processuali e non la loro sottoscrizione;
  • in secondo luogo, ha arbitrariamente aggiunto al verbo “è sottoscritto”, contenuto sub 365 c.p.c., la locuzione “in forma autografa” (rectius, “manuale”) senza che alcun dato – né testuale né extratestuale – autorizzasse una simile integrazione ermeneutica; oltretutto ignorando che la firma digitale è a tutti gli effetti un tipo di sottoscrizione (cfr. gli artt. 1, comma 1, lett. s, e 21, comma 2, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, le cui disposizioni si applicano anche al processo civile, ai sensi del sesto comma dell’art. 2 dello stesso d.lgs. n. 82/2005 [cd. codice dell’amministrazione digitale]);
  • da ultimo, ha trascurato di tener presente che l’art. 1, comma 1, della l. 21 gennaio 1994, n. 53 non esclude quelli del giudizio di cassazione dal novero degli atti processuali notificabili dall’avvocato mediante PEC e che il comma 1-bis dell’art. 9 della stessa legge contempla una specifica modalità di deposito analogico di quanto notificato telematicamente, consentendone così l’ingresso in causa anche all’interno di processi esclusivamente cartacei (quali quelli avanti la Corte di cassazione o il giudice di pace), attraverso l’estrazione di copia analogica dell’originale informatico attestata conforme all’originale informatico a norma dell’art. 16-undecies, primo comma, del d.l. n. 179/2012.

[3] La pronuncia qui commentata s’appalesa criticabile anche là ove ha ritenuto viziata la notifica telematica eseguita ad un indirizzo PEC diverso da quello indicato dalla parte nel suo atto per le comunicazioni e notifiche relative al procedimento; si è invero trascurato di considerare che:

  • l’indirizzo utilizzato nel caso di specie apparteneva ad uno dei difensori della ricorrente principale (e non ad un terzo estraneo);
  • una corretta esegesi del combinato disposto degli artt. 366 c.p.c. e 16-sexiesL. n. 179/2012 cit. impone di concludere che, se nel giudizio di legittimità i difensori sono più di uno, essi hanno pari poteri (disgiunti) di ricezione telematica degli atti processuali diretti alla parte da loro rappresentata.

Lodevole, invece, appare la esplicita estensione alle notifiche telematiche del principio –enunciato sulla scorta del recente insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenze nn. 14916 e 14917 del 20 luglio 2016, in questa Rivista, edizione del 22.11.2016; per una delle successive applicazioni vedasi Cass. civ., Sez. VI, ord. 28.12.2016, n. 27241, ibidem, ed. 28.2.2017) a composizione del contrasto in precedenza sorto – secondo cui il collegamento (cd. riferimento) tra luogo e destinatario non rientra tra gli elementi costitutivi essenziali e, dunque, la sua assenza (o erronea – in tutto od in parte – individuazione) produce la mera nullità della notifica in materia civile, sanabile per raggiungimento dello scopo ex art. 156, ultimo comma, c.p.c. (a séguito della costituzione in giudizio del destinatario, ancorché eseguita al solo fine di rilevare l’invalidità) oppure in virtù della tempestiva rinnovazione (sia essa spontanea od ordinata dal giudice: cfr. art. 291 c.p.c.); sul punto la decisione del Supremo Collegio si colloca nel solco della linea liberale e “sostanzialista” inaugurata nella giurisprudenza di legittimità dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 7665 del 18 aprile 2016 (in questa Rivista, edizione del 4.7.2016), mirante a valorizzare la legale conoscenza dell’atto in capo al destinatario per il superamento di praticamente tutte le deviazioni del procedimento notificatorio dallo schema formale previsto dalla legge (cfr. da ultimo Cass. civ., Sez. VI – 1, ord., 14.3.2017, n. 6518).